Discorso sulla natura e le origini dei Tarocchi alla luce della filosofia dei Numeri - trattato di Alessandro Scalzaferri
Discorso sulla natura e le origini dei Tarocchi alla luce della filosofia dei Numeri
trattato
“La scienza dei numeri dovrebbe essere preferita nell'acquisizione rispetto a tutte le altre, a causa della sua necessità e dei grandi segreti e gli altri misteri che sono presenti nelle proprietà dei numeri. Tutte le scienze attingono da essa, ed essa non ha bisogno di nessuna di loro.”
Severino Boezio
Capitolo 2
Il titolo del presente trattato
Il titolo del presente trattato, in maniera esplicita e quasi programmatica, intende ricollegarsi allo storico Discorso sopra le origini della diseguaglianza di Jean Jaques Rousseau.
Nel 1754 il filosofo ginevrino s’impose all’attenzione dell’Accademia di Francia con un’argomentazione rivoluzionaria, incentrata sul cosiddetto stato di natura: una sorta di alba paradisiaca che avrebbe preceduto la civiltà e visto come protagonista il mito del buon selvaggio. Secondo Rousseau l’uomo, originariamente buono, esce dallo stato di natura, quando si afferma il principio di proprietà che legittima la diseguaglianza.
Rousseau, rigoroso e polemico, cercò anche di proporre, senza essere riuscito a farla trionfare, una nuova scuola pedagogica, fondata sugli interessi concreti della persona umana che va istruita senza coercizioni e senza vincoli di natura psicologica, etica, religiosa. Il suo trattato pedagogico del 1762, Emilio, a Parigi venne bruciato e contro il suo autore venne emesso un mandato d’arresto.
Rousseau, negli anni del trionfo della ragione, “nega il valore della cultura e della civiltà come fattori di benessere e di felicità per l’umanità; e ciò rappresenta una vera antitesi all’atteggiamento ottimistico proprio degli Illuministi. La civiltà determina nuove distinzioni di classi; permette il sorgere dall’insincerità e della convenzionalità; corrompe dunque gli uomini perché dà origine al dubbio, all’insoddisfazione continua, al predominio della ricchezza, a passioni non istintive e contro natura.” (Enciclopedia Filosofica Sansoni – pag.904, volume 5)
Il filosofo ginevrino, in maniera preromantica, guardava verso le origini incontaminate della specie umana, quando l’individuo era libero di muoversi in un territorio senza confini, con tutte le risorse naturali a sua disposizione e poteva conoscere il mondo seguendo il proprio istinto e i propri interessi. Era chiaramente la sua una provocazione, perché probabilmente un uomo così non è mai esistito e, se consideriamo realisticamente lo stato di natura dalla prospettiva di Hobbes, già di per sé esso segna il trionfo del più violento e del più prevaricatore, sul più debole e il più mite.
Comunque la lezione di Rousseau resta valida. Abbiamo voluto raccogliere il tema filosofico, finora troppo trascurato, ma fondamentale delle origini incontaminate della specie umana che era molto più libera di quanto lo sia l’uomo oggi, la cui psicologia, i cui comportamenti, i cui gusti e interessi sono in pratica resi omogenei e guidati dai mass media.
Ovviamente per una certa affinità con Rousseau e per continuità logica, il nostro Discorso tornerà a occuparsi dell’uomo originario, di Adamo, per cercare di risalire alle origini della specie, secondo una prospettiva non evoluzionistica.
Ci sembra essenziale e non eludibile risalire alle origini della vita e del mondo. I Trionfi sono stati un modo per descrivere la realtà nelle sue molteplici sfaccettature. Questo presuppone per gli Arcani maggiori un disegno logico e non certo casuale e naturalmente il trattato cercherà di captare, di scandagliare nei significati occulti, investigando nella loro simbologia.
I Trionfi sono un poco come certi carri allegorici del carnevale in uso nelle città italiane del Basso Medio Evo e proprio a queste festose allegorie crediamo che l’artefice si sia ispirato per raccontarci la sua visione del mondo, che era poi anche lo specchio della società del tempo, dove il Papa, l’Imperatore, la Ruota della Fortuna e il Folle erano certamente le figure più note e rappresentative.
Osservando certi comportamenti di tribù primitive, in Amazzonia, in Australia, in Africa, non possiamo che riconoscere un fondo di verità nel mito del buon selvaggio proposto da Rousseau.
Secondo la Bibbia, l’uscita dal Paradiso terrestre fu provocata dal peccato originale commesso dai progenitori, che infransero il divieto di mangiare il frutto proibito.
Se diamo per scontato che ogni racconto religioso ha un suo fondamento storico e non è semplicemente un mito, ne possiamo dedurre che un evento lacerante ha turbato l’equilibrio originario e creato i presupposti per un progressivo squilibrio, responsabile dell’invecchiamento e della morte, nella sua accezione più drammatica e dolorosa.
I nostri progenitori dovevano possedere ottime difese immunitarie (altrimenti si sarebbero estinti), il loro processo d’invecchiamento era abbastanza graduale e non esageratamente rapido, com’è diventato nei tempi storici a noi noti. Inoltre intuivano bene le proprietà medicinali delle piante e degli alberi da frutto (in base al principio alchemico che il simile cura il simile, in base ai colori e agli odori) e erano consapevoli dell’esistenza di un sistema energetico attraverso cui circolavano le cariche elettriche.
I meridiani energetici tuttavia restarono noti, in tempi storici recenti, al solo popolo cinese, l’unico che praticava l’agopuntura fin dai primordi, come attestano gli aghi di osso rinvenuti e risalenti a circa diecimila anni prima di Cristo.
Stando al racconto biblico si narra che Matusalemme visse fino a 999 anni. Una longevità oggi impensabile.
Un evento dirompente deve avere turbato l’equilibrio originario tra le varie creature che consentiva loro di vivere molto più a lungo e senza essere aggredite da malattie mortali che, con il passare del tempo, sono cresciute a dismisura e sono diventate sempre più subdole e precoci.
Ovviamente i fautori del progresso (le magnifiche sorti e progressive a cui allude ironicamente anche il Leopardi) saranno portati a sottolineare i successi della scienza moderna, e della chimica che ha prodotto farmaci indispensabili alla salute pubblica mondiale. Un plauso sentito vada alle menti fervide che hanno esplorato i segreti della natura e prodotto tante mirabili invenzioni. Non intendiamo negare il progresso. Vogliamo solamente affermare che si tratta di una tappa successiva, quando l’uomo ha abbandonato lo stato di natura per cadere nella barbarie e nell’ignoranza.
Esisteva una conoscenza primordiale, una consapevolezza d’essere un tutto con la natura. Tale stato paradisiaco, perduto irrimediabilmente, è la chiave per capire chi siamo stati, da dove siamo arrivati e verso dove stiamo andando.
Capitolo 3
Trionfi e Numeri
Nelle prime pagine della Metafisica scrive Aristotele: “Si dedicarono alle matematiche e per primi le fecero progredire quelli che son detti Pitagorici. Questi, dediti a tale studio, crederono che i principi delle matematiche fossero anche i principi di tutte le cose che sono. Or poiché principi delle matematiche sono i numeri, e nei numeri essi credevano di trovare, più che nel fuoco e nella terra e nell’acqua, somiglianze con le cose che sono e divengono (giudicavano per esempio che giustizia fosse una proprietà dei numeri, anima e mente un’altra, opportunità un'altra cosa; e similmente, per così dire, ogni altra cosa) e poiché vedevano espresse dai numeri le proprietà e i rapporti degli accordi armonici, poiché insomma ogni cosa nella natura appariva loro simile ai numeri, ed i numeri apparivano primi tra tutto ciò ch’è nella natura, pensarono che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose che sono, e che l’intero mondo fosse armonia e numero.” (Enciclopedia Filosofica Sansoni pag 24 vol.5)
“Aristotele dice appunto che il cosmo era per i Pitagorici armonia e numero. Armonie semplici ed armonie composite nelle cose: analoghe alle armonie dei numeri e dei suoni… Il numero fu per i Pitagorici, perché esprimente l’intelligibilità, la stessa essenza delle cose, essenza, come avverte Aristotele, non separata dalle cose e dalle azioni e insomma da ogni realtà storica, ma immanente…” (Enciclopedia Filosofica Sansoni pag 29,30 vol.5)
Ciascuno degli Arcani maggiori dei Tarocchi è contrassegnato da un numero che ne esprime l’essenza, visualizzata nella sua specificità e molteplicità. Per intendere pienamente e descrivere la natura degli Arcani non possiamo prescindere dal riferirci al numero che li contraddistingue.
“Nel pensiero atzeco i numeri hanno un’importanza cosmica. Ciascuno di essi è legato ad un dio, a un colore, a un punto dello spazio, a un insieme di influenze buone e cattive.” (Dizionario dei Simboli di Jean Chevalier e Alain Gheerbrant edito dalla Biblioteca Universale Rizzoli, Voce numero, pag.142)
Marcel Granet scrive: “L’idea di quantità non ha, praticamente, alcun ruolo nelle speculazioni filosofiche dei Cinesi. Tuttavia i numeri interessano appassionatamente i Saggi dell’antica Cina….Non mi scuso della minuzia delle analisi e della lunghezza di un capitolo (I numeri) in cui dovevo spiegare uno dei tratti fondamentali del pensiero cinese, cioè un rispetto estremo per i simboli numerici unito ad un’estrema indifferenza per ogni concezione quantitativa.” (‘Il pensiero cinese’ pag.111 Adelphi)
Il Discorso sulla natura e le origini dei Tarocchi, alla luce della filosofia dei numeri analizza ciascun Arcano, mettendolo in relazione col proprio numero corrispondente. Il Discorso non si limiterà però a studiare solo i Tarocchi; esso, da una prospettiva estesa, va inteso come Discorso sopra l’origine del mondo, alla luce della filosofia dei numeri, perché il sistema delle 22 icone degli Arcani maggiori racconta il mondo, la sua genesi ed il suo divenire.
Nel nostro Discorso, il significato della parola numero è abbastanza ampio. Non è rigorosamente e soltanto un segno matematico. Il numero è riconducibile alla sua essenza, sia in senso qualitativo, che quantitativo. I Trionfi sono visualizzati da 21 numeri scritti sopra ciascuno dei 22 Arcani maggiori; più lo zero che rappresenta il disporsi della monade (ossia l’unità originaria dalla quale discendono tutti i numeri) attraverso lo spazio e il tempo. Lo zero, numero vuoto, rende fattibile la connotazione di un sistema numerico decimale.
L’idea geniale ispiratrice dei Tarocchi è di potere riuscire a descrivere il mondo attraverso un sistema di 22 Icone, ovvero d’immagini che visualizzano tutti gli aspetti possibili della realtà, non vista in maniera statica, ma concepita nel suo autentico divenire, come se si trattasse di una rappresentazione teatrale con tanto di figuranti che fanno le loro apparizioni su carri allegorici.
Dobbiamo immaginare i Trionfi come delle maschere simboliche che fanno il loro ingresso trionfale e sfilano per rappresentare tutti gli aspetti della mutevole realtà che ci circonda, nella sua complessità e molteplicità.
Arcani e numeri secondo la tradizione
Per facilitare il lettore che non ha dimestichezza con i Tarocchi, mostriamo una prima tabella degli Arcani maggiori e dei numeri corrispondenti.
Il Folle – Arcano senza numero / Arcano numero zero
Il Bagatto –Arcano I
La Papessa – Arcano II
L’Imperatrice – Arcano III
L’Imperatore – Arcano IV
Il Papa – Arcano V
L’Innamorato – Arcano VI
Il Carro – Arcano VII
La Giustizia – Arcano VIII
L’Eremita – Arcano IX
La Ruota della Fortuna – Arcano X
La Forza – Arcano XI
L’Appeso – Arcano XII
La Morte – Arcano XIII
La Temperanza – Arcano XIV
Il Diavolo – Arcano XV
La casa di Dio – Arcano XVI
Le Stelle – Arcano XVII
La Luna – Arcano XVIII
Il Sole – Arcano XIX
Il Giudizio – Arcano XX
Il Mondo – Arcano XXI
Nei mazzi di Tarocchi, gli Arcani maggiori sono contrassegnati con i numeri romani che compaiono nella prima tabella. Tale numerazione dei Trionfi viene comunemente accettata dalla maggioranza dei moderni disegnatori di carte.
Nel presente Discorso si usa invece la numerazione araba della seconda tabella (la prossima) in quanto molto più pratica e rilevante e dal punto di vista della Cabala.
Ricostruzione dei Trionfi originari
Stilata in base alla ricostruzione dei Trionfi delle origini, mostriamo una seconda tabella degli Arcani maggiori e dei numeri corrispondenti.
Il Folle – Arcano numero zero
Il Mago – Arcano 1
La Vestale del Tempio della conoscenza – Arcano 2
La Dea-Madre – Arcano 3
L’Imperatore – Arcano 4
Il Gerofante – Arcano 5
L’Innamorato – Arcano 6
Il Messaggero degli Dei – Arcano 7
L’Eremita – Arcano 9
La Ruota del divenire – Arcano 10
La personificazione della Forza – Arcano 11
L’Appeso – Arcano 12
La Morte – Arcano 13
La trasformazione alchemica – Arcano 14
Il Diavolo – Arcano 15
La Torre – Arcano 16
Le Stelle – Arcano 17
La Luna – Arcano 18
Il Sole – Arcano 19
L’Apocalissi – Arcano 20
Palingenesi – Arcano 21
Capitolo 6
Qualche cenno storico
Nessuno sa esattamente quando siano nati i Tarocchi e sulle loro origini (leggende metropolitane fanno risalire addirittura agli Egizi questi archetipi) si sono scritte molte pagine, tutte appassionate che testimoniano il grande interesse verso gli Arcani. Il primo mazzo giunto sino a noi (miniato a mano da un artista di talento, influenzato dalla moda del gotico internazionale, anche se non completo, perché sono andate perdute due carte, anche piuttosto importanti, dal punto di vista concettuale: il Diavolo e la Torre) è noto come Tarocchi Visconti, essendo appartenuti a una nobile famiglia milanese che governava lo Stato di Milano. Siamo all’incirca nella metà del 1400, ma, probabilmente i Tarocchi furono concepiti molto prima, da una comunità eretica e perseguitata: i Catari, contro cui il Papa Innocenzo III nel 1208 indisse la famosa crociata, per arginare l’espansione di un movimento riformista che avrebbe provocato un pericoloso scisma della Chiesa di Roma.
Potrebbe stupire che nessun grande pittore del Rinascimento, affascinato dagli Arcani, sia stato tentato di riprodurli e di interpretarli. Il maestro del realismo fiammingo, Jean Van Eyck, avrebbe saputo certamente darci dei superbi capolavori.
I pittori famosi erano i prediletti dei committenti religiosi che ordinavano loro le consuete scene sacre, tratte dal Nuovo e dal Vecchio Testamento; i soggetti profani, diciamo minori, erano certamente opera d’artisti meno procurati e meno costosi, ma anche meno capaci di stupire l’immaginario collettivo.
Comunque se i grandi artisti si dimostrarono disattenti verso i Tarocchi, giudicati strumenti ludici non meritevoli della dovuta attenzione, dobbiamo osservare che essi non sfuggirono certo alle mire censorie degli uomini assoldati dall’Inquisizione, sorta proprio per arginare il dilagare delle eresie che si rifacevano espressamente alla parola di Gesù e criticavano il lusso e le ricchezze del clero, corrotto e simoniaco. Le Icone degli Arcani maggiori di chiara matrice ereticale furono contaminate e adattate alle precise esigenze degli inquisitori, per diffondere le idee della fede tra la gente comune, ancora intrisa di paganesimo e superstiziosa, incline al peccato e ai passatempi ludici, come il gioco delle carte. Al lettore rammentiamo che i Tarocchi sono complessivamente 78: 22 Arcani maggiori e 56 Arcani minori: 14 bastoni, 14 danari, 14 spade e 14 coppe. Originariamente è presumibile che gli Arcani Minori servissero soprattutto per giocare, mentre gli Arcani maggiori fossero usati per scopi divinatori e confezionare oracoli su misura, nei casi in cui era necessario un consiglio sull’azione da intraprendere, sulle sorti di una contesa, sulla fedeltà di una sposa e sulla nascita di un figlio.
Questa commistione di funzioni serviva per proteggere un’attività allora assai pericolosa come la divinazione, che poteva anche costare un’accusa di negromanzia: antica arte dell'evocazione degli spiriti e degli spettri dei morti, fondata su pratiche occulte, per predire il futuro o conoscere l'ignoto.
Nei Tarocchi, unico sistema iconografico d’idee che riesce a fondere Cabala con magia e religione, il Mago apre il ciclo degli Arcani maggiori. In maniera analoga, in questo trattato l’autore svolge lo stesso ruolo del numero 1: il Mago che dà inizio al gioco delle combinazioni, mescolando i quattro elementi fondamentali della vita: il Fuoco, la Terra, l’Aria e l’Acqua. Investendoci delle prerogative del Mago dei Tarocchi, possiamo assumere lo stesso ruolo del cartomante interprete delle sequenze degli Arcani maggiori dei Trionfi: nome altisonante con cui vengono anche designati i Tarocchi: suono più familiare e un poco plebeo, se raffrontato al primo vocabolo che pare persino troppo aristocratico e sublime. Questi due termini, Trionfi e Tarocchi, oscillano idealmente come un pendolo tra due estremità: una è la dimensione filosofica e metafisica degli Arcani; l’altra è la connotazione carnale e pratica delle carte con cui si fanno le predizioni per il futuro e si leggono gli intrecci del cuore umano.
Il sistema degli Arcani Maggiori
Abbiamo detto che gli Arcani maggiori sono complessivamente 22: 21 icone sono comunemente contrassegnate dai numeri romani della prima tabella, con la sola eccezione dell’Arcano del Folle, al quale, non viene attribuito un numero specifico, come in alcuni mazzi, abbastanza diffusi ancor oggi (Tarocchi di Marsiglia, Oswald Wirth).
La numerazione, comunemente accettata da vari autori, fa riferimento ai numeri romani. E’ la numerazione dotta che troviamo nei reperti archeologici, sui portali delle Chiese.
L’ipotesi ispiratrice di questo Discorso presuppone che tra ogni icona e il suo numero corrispondente esista un rapporto ben preciso e individuabile, fondato appunto sulla natura propria di ogni numero.
Dobbiamo quindi mettere da parte la numerazione degli antichi romani e adottare la più moderna numerazione araba, basata sull’introduzione di un sistema numerico decimale e sulla contemporanea assunzione del simbolo numerico dello zero, la cui storia è abbastanza sorprendente e sui cui vale un poco la pena di fermarci, proprio per la sua natura così particolare.
Nella numerazione latina lo zero ancora non esisteva: il dieci era indicato col segno X.
Sappiamo che lo zero fu introdotto in Europa dal matematico Fibonacci. “L’attività di mercante gli diede occasione di compiere per tutti i paesi del Mediterraneo frequenti viaggi durante i quali ebbe modo di conoscere il pensiero matematico dei Greci, quanto degli Arabi e degli Indiani. Tornato in patria, raccolse le nozioni apprese nel Liber Abaci (1202), la sua opera più importante. Leonardo Pisano detto Fibonacci introdusse nel mondo occidentale l’odierno sistema posizionale di numerazione e si considera quindi come il diffusore delle cifre arabiche.”(Enciclopedia Filosofica Sansoni pag 1470 vol.3)
Nei Tarocchi dorati dei Visconti (la prima documentazione in senso assoluto) tuttavia possiamo osservare che è attribuita al Folle la notazione numerica dello zero, la quale inspiegabilmente sparisce dalle versioni successive. Questo dimostra che l’artefice dei Tarocchi originari conosceva il simbolo dello zero, altrimenti non lo avrebbe usato in maniera così. Il fatto che l’abbia usato potrebbe indurci a supporre che l’intero sistema degli Arcani maggiori fu concepito a ridosso della pubblicazione del Liber Abaci e quindi diciamo intorno alla prima decade del XIII secolo. Unitamente allo zero, attribuito al Folle, nei Tarocchi Visconti, gli Arcani maggiori sono contrassegnati dai numeri romani. Fatto alquanto insolito, perché sarebbe stato più logico, per coerenza all’introduzione dello zero, conservare la numerazione araba, in chiave cabalistica più rilevante.
Possiamo osservare che tuttora lo scorrere del tempo si annota con le lettere romane; forse l’artefice dei Tarocchi utilizzando quella notazione voleva mettere in risalto l’andamento cronologico del suo sistema d’icone, che possedeva una sua intrinseca dinamicità e ogni successiva icona scaturiva dalla precedente. In tal caso però avrebbe usato una notazione numerica mista, il che potrebbe sembrare alquanto illogico. Spieghiamo l’incongruenza in questo modo: l’artefice dei Tarocchi nella versione originaria fece uso della notazione numerica degli Arabi, ma gli Inquisitori, per ragioni ideologiche, introdussero nuovamente la notazione tradizionale dei dotti e finirono poi con eliminare del tutto lo zero dalle versioni successive ai Tarocchi Visconti, dove lo zero è tuttora presente, perché il suo significato rivoluzionario non era stato inteso. Comunque non siamo certo noi a relazionare, in maniera del tutto arbitraria, lo zero con l’Arcano del Folle, ma quasi tutti gli interpreti finiscono con l’ammettere come logica ed intuitiva questa correlazione. Del resto essi vivono in una civiltà che ha fatto dello zero uno dei fondamenti matematici e quindi ne ammettono l’esistenza, anche se nelle Icone esso non appare.
Citiamo parte della voce zero tratta dal Dizionario dei Simboli di Jean Chevalier e Alain Gheerbrant edito dalla Biblioteca Universale Rizzoli.
“ 2. In Egitto nessun geroglifico gli corrisponde. Lo zero non è indicato da alcun segno, malgrado che taluni scribi calcolatori avessero avuto l’idea di lasciare uno spazio vuoto dove mancava una potenza di dieci. L’intuizione era simbolicamente assai giusta: lo zero è l’intervallo della generazione. Come l’Uovo Cosmico rappresenta tutte le potenzialità. Esso raffigura anche l’oggetto che, senza valore per se stesso, conferisce ad altri valore, poiché lo zero moltiplica per dieci i numeri posti alla sua sinistra. Esso assume anche il significato iniziatico del Folle o Matto dei Tarocchi, unica lama non numerata degli Arcani maggiori.”
Lo zero giunse sino a noi dal mondo arabo che lo aveva recepito dalla vicina India. Per la forma arrotondata assomiglia molto a un uovo, il che fa pensare al simbolo dell’uovo primordiale.
La funzione dello zero nel sistema numerico decimale è fondamentale, esso indica le decine, le centinaia, le migliaia, e così via, in un moto progressivo a spirale che ricorda tanto il simbolo Maya.
L’intero sistema degli Arcani maggiori ha un andamento numerico decimale e lo zero svolge la sua funzione essenziale, dinamica di svolta, perché mette in movimento un'altra decina.
“Il suo posto è il ventiduesimo, ma il suo valore simbolico equivale a zero, poiché il Matto è un personaggio che non conta affatto, in considerazione della sua inesistenza intellettuale e morale. Incosciente e irresponsabile, si trascina attraverso la vita da essere passivo, che non sa dove va e che si lascia condurre da impulsi irragionevoli.”( I Tarocchi – Oswald Wirth – Edizioni Mediterranee pag.266)
Più avanti Wirth, in maniera anche abbastanza esplicita, svela tutta l’impalcatura teista che sta alla base della sua interpretazione dei Tarocchi. “Poiché l’ineffabile ci sfugge, l’indiscreto dovrebbe accontentarsi dello spettacolo della creazione, che corrisponde all’inverso della divinità. Noi dobbiamo essere molto ragionevoli per non uscire dal campo limitato della ragione. L’infinito non è di nostra competenza e quando tentiamo di abbordarlo, fatalmente sragioniamo. (op.cit. pag.266)
Quasi tutte le opere che si possono leggere sui Tarocchi sono intrise di misticismo, di spiritualismo e gli interpreti abbondano di espressioni che tributano al divino la devozione che merita.
Di proposito facciamo questa citazione proprio per discostarmene alquanto, perché in questo caso Wirth vede piuttosto il lato negativo dell’icona e non riesce a coglierne l’aspetto dinamico e rivoluzionario di chi mette in discussione il sapere comune e stimola la ragione, attivando e stuzzicando, rilevando banalità e luoghi comuni.
La nostra visione laica e critica c’impedisce d’immergerci nei fluidi divini ancor prima d’averne scoperta la fonte. Quello che sappiamo, di cui siamo certi, sono i nostri strumenti logici.
Lo zero geometricamente è uno spazio vuoto, un insieme numerico privo delle sue valenze.
Lo zero non può essere assimilato al Nulla, lo zero è il passaggio, il ponte tra l’essenza fuori dal tempo e l’essere dispiegato nello spazio e nel tempo.
Lo zero va distinto altresì dal non-essere che è pertinente al caos originario indifferenziato.
La presenza dello zero nei Tarocchi di per sé giustifica e rende possibile una loro sistemazione in conformità a un sistema numerico decimale. Tale sistema è il più naturale possibile, perché il modo certamente più intuitivo e più primitivo per contare è stato fatto con l’uso delle dieci dita delle mani. Ancora oggi viene istintivo contare usando le dita, come fanno soprattutto i bambini.
Ora posizioniamo gli Arcani maggiori sulla base del sistema numerico decimale e mettiamo a confronto la prima con la seconda decina; tale disposizione può essere utile in futuro per scoprire certe corrispondenze abbastanza intuitive tra i vari Arcani.
1 Il Mago 11 La Forza
2 La Papessa 12 L’Appeso
3 L’imperatrice 13 La Morte
4 L’Imperatore 14 L’Alchimia
5 Il Papa 15 Il Diavolo
6 L’Innamorato 16 La Torre
7 Il Messaggero degli Dei 17 Le Stelle
8 La Giustizia 18 La luna
9 L’Eremita 19 Il Sole
10 La Ruota della Fortuna 20 L’Apocalissi
21 Mondo originario - Palingenesi
Per affinità e per genesi, il Folle può essere accostato sulla stessa linea della Ruota della Fortuna e dell’Apocalissi.
0.Il Folle < 10.La Ruota della Fortuna < 20.L’Apocalissi
Mentre il 21, posto in linea con il Mago e la Forza, potrebbe indicare la genesi, puramente simbolica, di un’ulteriore decina.
1. Il Mago < 11. La Forza < 21. Mondo originario
Riteniamo che il 21, accostando il numero 2, espressione dei dualismi, con il numero 1, la creatività, possa idealmente anche personificare il mondo ideale ed incontaminato, generato prima del peccato originario, agli albori dei tempi, quando i 4 elementi primordiali, simboleggiati da 4 animali sacri, venivano messi insieme per dare vita all’uovo originario, entro cui la ballerina gravida danza nuda. In tale caso il 21 andrebbe visto in una linea a sé, senza stabilire alcun tipo di corrispondenza.
Capitolo 8
Le Icone
Alle lame raffiguranti i vari Arcani abbiamo voluto attribuire il nome di icone, quasi per conferire loro un’aureola di sacralità e soprattutto per ricordare l’importanza delle immagini anche nel passato.
Oggi viviamo in un mondo che è in sostanza controllato e scandito dalle immagini che quotidianamente ci passano davanti agli occhi. Il vero potere lo detiene chi controlla soprattutto la televisione e il cinema. Anche nel passato ne erano ben consapevoli, anche se ancora non erano entrati nella civiltà delle immagini.
Possiamo ricordare la lunga battaglia iconoclasta che fu combattuta tra la Chiesa di Roma e la Chiesa bizantina. La tensione tra i due sommi padri della Chiesa cristiana portò al grande scisma: da un lato il Papa romano, dall’altro il Patriarca di Costantinopoli
Ben consapevoli del valore propagandistico e teologico delle immagini, gli ortodossi (che si giudicavano tali per essere essi stessi la personificazione, l’incarnazione di un giusto ragionamento) volevano bandire le immagini sacre dalle Chiese, perché il divino non poteva essere adeguatamente rappresentato da una raffigurazione sempre profana e inadeguata. Invece la Chiesa di Roma voleva fare breccia sull’immaginario collettivo di una popolazione che doveva essere impressionata, suggestionata e redenta anche attraverso la visione mistica del divino ineffabile, che ogni animo rozzo non sarebbe stato in grado di rappresentare mentalmente in una maniera altrettanto efficace e commovente.
Per questo nella pittura occidentale noi possiamo vedere i capolavori di Giotto, che seppe uscire dalla severità delle icone bizantine e trasferire nelle storie sacre un pathos umanistico sconosciuto alla ieratica rappresentazione bizantina, fredda e distaccata, immota. Nel mondo greco-ortodosso una tale sensibilità era impensabile e non percorribile, perché considerata offensiva, irriverente verso il divino.
Due mondi ideologicamente contrapposti non potevano che produrre pitture totalmente divergenti, che hanno reso possibile un’evoluzione (sostanzialmente laica) della pittura occidentale, anche se continuava a ritrarre crocifissioni e natività per il committente religioso.
Citiamo ancora un autorevole interprete, uno degli ultimi occultisti del XIX secolo: Oswald Wirth.
‘Un uomo di genio ha concepito i Tarocchi già completi? Questo è molto dubbio, se giudichiamo dalle modificazioni che i Tarocchi hanno subito attraverso il tempo. Gli esemplari più antichi non sono i più perfetti dal punto di vista simbolico: il loro simbolismo è ancora esitante, alla ricerca di se stesso. … Bisogna ammettere che tra i pittori d’immagini vi furono alcuni, dotati di una specie di senso divinatorio dei simboli, che introdussero nelle loro riproduzioni varianti molto felici, che in seguito prevalsero; mentre ve ne furono altri, trascinati da una fantasia ribelle alle misteriose direttive della tradizione, che riuscirono soltanto a sfigurare gli originali. Sebbene incessanti, le deviazioni non fecero scuola, perché un istinto vago ma sicuro riconduceva i pittori sulla retta via del simbolismo.’ (op.cit.pag.51)
Dunque Wirth sottolinea ‘le modificazioni che i Tarocchi hanno subito attraverso i tempi’.
Noi ci domandiamo quale fosse l’aspetto degli originali. Dal punto di vista di Wirth esistono interpreti fedeli della tradizione, intrisi di misticismo, che conoscevano il simbolismo degli ermetici, degli alchimisti, del filone occultista tardo medioevale.
Vorremmo osservare un fatto; non si tratta di una notazione marginale e insignificante ma fondamentale, per stabilire fin da adesso che un Arcano può essere raffigurato in modi sorprendentemente opposti. Ne abbiamo una prova visiva, oggettiva, che non è frutto di una personale speculazione.
L’Arcano numero 11, la Forza, è stato rappresentato nel corso dei tempi in due modi esattamente opposti: nei Tarocchi Visconti viene raffigurata una figura armata di una possente clava nell’atto di domare la ferocia di una belva; nei Tarocchi di Marsiglia una Donzella riesce con la sola forza delle mani a trattenere le fauci spalancate di un leone sul procinto di sbranarla. Ne abbiamo dedotto che le Icone originarie nei secoli erano state modificate, con l’intento di trasmettere messaggi sostanzialmente differenti, a dispetto della volontà del loro impotente artefice.
Dunque i Tarocchi non sono stati sempre gli stessi delle origini e noi non conosciamo gli originali, ma delle copie, probabilmente contraffatte, per l’interesse dei controllori dell’Inquisizione che non potevano lasciarsi sfuggire uno strumento così potente, caduto poi nella loro sfera di influenza.
Nell’iconografia classica la Torre, l’Arcano numero 16, è sconquassata da un fulmine poderoso caduto dal cielo ed inviato sui malcapitati dalla mano vindice della Provvidenza divina. Quest’immagine della Torre si presta a dare fondamento e sostegno ad ogni tesi teologica e spiritualista concepita sui Tarocchi.
Se dovessimo estendere anche all’Arcano della Torre la medesima logica iconografica scaturita dall’esame oggettivo dell’Arcano della Forza, noi vedremmo non solo una Torre abbattuta da un fulmine poderoso, ma anche una Torre in una versione diametralmente opposta. Essa potrebbe essere rappresentata come un edificio integro, avente una sua funzione pratica: quella di convogliare su un’apparecchiatura d’alchimista le poderose forze della natura.
Nessuno finora ha sottolineato, con la dovuta determinazione ed autorevolezza, che non sappiamo bene come realmente fosse l’Arcano originario della Torre nei mazzi più antichi, perché perduto irrimediabilmente, congiuntamente alla carta del Diavolo, vittime forse di ostracismo e di calcolata trascuratezza. O, perché no, forse sono state bruciate insieme a qualche strega in qualche rogo della Santa Inquisizione, perché considerate carte blasfeme e pericolose.
Le enigmatiche figure dei Trionfi negli ultimi secoli sono state monopolizzate da interpreti spiritualisti, postisi sulla scia del filone ermetico, alchemico, cui indubbiamente i Tarocchi appartengono.
Le nostre tesi portate avanti invece scaturiscono da una visione razionale e laica, che finora pare abbia trascurato i Tarocchi, considerati come strumenti esclusivi di cartomanti e indovini.
Dunque veniamo al punto cruciale che dovrebbe animare ogni interprete dei Tarocchi: la versione originale dei Tarocchi è sconosciuta; noi dovremmo essere in grado di ricostruirla alla luce della ragione, alla luce della filosofia dei numeri che sono l’anima stessa originaria degli Arcani maggiori.
La presunzione degli antichi occultisti era di raccontare una storia dei Tarocchi non solo plausibile, ma fondata e documentata, perché si consideravano gli illuminati e possedevano la verità, per averla ricevuta come dono divino sulla via di Damasco.
Non sono questi gli itinerari da noi percorsi; con il nostro Discorsoprendiamo le mosse dal titolo di un saggio fondamentale, scritto da un esponente dell’Illuminismo, critico anche verso i suoi stessi compagni di viaggio: Jean Jaques Rousseau.
Capitolo 9
Nomenclatura degli Arcani Maggiori
Anticamente il nome, in sintesi, denotava le qualità auspicate sin dalla nascita per quella certa persona, che avrebbe poi dimostrato veramente di possedere nel corso della vita futura.
Il Battesimo segnava l’ingresso del nuovo adepto nella comunità dei credenti e l’imprimatur alla fonte dell’acqua benedetta conferiva alla cerimonia un valore simbolico, che permane ancora oggi.
Parallelamente al passare dei tempi, l’imposizione dei nomi è diventata sempre più anonima, più casuale, o il frutto di mode passeggere. Spesso si rincorre il nome dell’attore famoso, del calciatore più bravo, della cantante più celebre, della modella più pagata. In tal caso il nome scaturisce dalla simpatia verso una persona nota e nella scelta non c’è alcuna volontà d’indicare una precisa connotazione psicologica, ma solo d’augurare al nascituro la fama, la fortuna e la ricchezza del personaggio prescelto e prediletto.
2. La Papessa 12. L’Appeso
3. L’Imperatrice 13. La Morte
4. L’Imperatore 14. La Temperanza
5. Il Papa 15. Il Diavolo
L’aspetto ideologico non è del tutto estraneo alla stessa nomenclatura e iconografia dei Trionfi. Le carte e i relativi giochi, un tempo, erano, insieme ai dadi e alla morra numerica, uno dei passatempi più in voga, paragonabili all’evasione collettiva offerta dal football in televisione.
Già a prima vista, anche agli occhi di un profano, la nomenclatura degli Arcani maggiori ha tutta l’aria di scaturire dalla cultura medioevale, che viveva drammaticamente il conflitto tra il potere temporale dell’Imperatore e la potestà spirituale spettante al Papa di Roma. Sullo sfondo spicca il chiaro trionfo della Morte, la speranza rigeneratrice dell’Angelo della Temperanza; intravediamo la pubblica gogna riservata all’Appeso e il ghigno diabolico dell’Angelo del Male, padrone assoluto del mondo terreno.
L’unzione battesimale del secondo Arcano, la Papessa, tuttavia suona come blasfema e sembra davvero irriverente. A suo tempo faremo le nostre considerazioni, per ora ci sembra di dovere rilevare che il termine sancisce in maniera provocatoria tutta l’autorevolezza e la sacralità che spetta alla custode del Tempio della conoscenza, insieme alla mitica Sfinge, da tempo immemorabile.
Il quarto e il quinto Arcano, esprimono, l’uno a ridosso dell’altro, il conflitto tra il Papa e l’Imperatore che ha contrassegnato alcune delle pagine più note della storia medievale su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro, perché allora ogni cambiamento politico e sociale passava prima attraverso la sfera religiosa, che aveva una priorità oggi impensabile.
Una notazione critica sulle manipolazioni affatto neutrali ma sostanziali della nomenclatura dei Tarocchi è doverosa ed essenziale.
L’Arcano numero XVI, denominato ancora Torre, nei Tarocchi Visconti, diventa nelle versioni successive più note la casa di Dio: come a volere eternare la punizione dei peccatori che cadono sotto la mano vindice della Provvidenza, da cui dipendono i destini dei miseri mortali, sempre soccombenti di fronte alle poderose forze della natura che l’uomo presuntuoso non riesce a controllare, malgrado l’effimere costruzioni dei suoi manufatti, destinati irrimediabilmente a vacillare, come la biblica Torre di Babele.
Dopo la Riforma protestante, anche la nomenclatura dei Tarocchi aiuta le preoccupazioni della Controriforma e l’Icona della casa di Dio, ex Torre, trasmette l’ideologia della punizione divina contro ogni forma di eresia e d’illusoria velleità di porre l’uomo al centro di una visione laica del mondo, svincolata dal divino.
Forse, ipotizziamo, la Torre originaria non vacillava per nulla, era semplicemente un laboratorio d’alchimista per gli esperimenti.
Se pensiamo ai processi contro Giordano Bruno e contro Galileo Galilei, ci rendiamo conto di quanto il monismo teocratico abbia osteggiato nei secoli il cammino della ragione e abbia tentato in ogni modo d’ostacolare la scienza, diffondendo paure, superstizioni, alimentando infondate credenze.
I Tarocchi sono stati un segmento importante della conflittualità, sempre risorgente e mai spenta, tra teocrazia e laicismo. Guerre di religione, camuffate o palesi, tuttora insanguinano il mondo. Gli orrori dell’intolleranza e della superstizione risorgono e mai saranno stigmatizzati a sufficienza.
Capitolo 10
Uno sguardo anche alla Cabala
Alcuni interpreti mettono in relazione i 22 Arcani maggiori con le 22 lettere dell’alfabeto ebraico e con l’antico albero della cabala giudaica, i suoi dieci punti essenziali ed i relativi 22 percorsi possibili.
Siamo in questo caso in presenza di un’interpretazione dei Tarocchi alla luce dell’antica cabala giudaica, dove misticismo e divinazione s’intersecano e rendono l’occultismo più misterioso ed affascinante. E’ una speculazione ardita, ma consona alla natura di quello che si sta esaminando e quindi va presa in considerazione.
Ne parliamo adesso, per sottolineare che la nomenclatura tradizionale degli Arcani maggiori non tiene conto dei nomi propri dei 10 Sephirot della cabala giudaica.
Citiamo l’Enciclopedia Filosofica Sansoni per comprendere meglio la complessa natura della Cabala, cui certamente i Tarocchi non sono estranei.
‘Benché non sia facile definire con precisione la Cabala, se ne possono però assegnare degli elementi costanti. In primo luogo la visione della realtà formata dal mondo fisico, da Dio – ineffabile per l’umana conoscenza, ma presente in tutta la realtà concreta – e da una serie di manifestazioni di Dio, che si possono considerare anche come esseri intermediari, di nome e caratteri variabili, indicati come ‘Sefirot’ ed ancora da una complessa angelologia e da una visione positiva e quasi manichea del male. Nella Cabala, poi, è individuabile una particolare metodologia, che è derivata sia da una esoterica tradizione orale, sia da una illuminazione, sia specialmente dalla combinazione delle lettere dell’alfabeto ebraico considerata capace di svelare la realtà occulta. Quest’ultima metodologia è fondata su una tecnica complessa, indicata con i nomi di Notarikon (parole cioè nate dalla giustapposizione delle prime, delle seconde, delle terze e delle ultime lettere delle singole parole di una frase) Gematria (parole nate modificando, secondo certe regole che si fondano sul valore numerico delle lettere dell’alfabeto ebraico, le lettere di altre parole) e Temurah (parole nate dalla combinazione degli altri due metodi). Infine si può indicare nella Cabala una doppia finalità, teorica e pratica, la prima rappresentata da una conoscenza superiore a quella razionale e tradizionale, la seconda da una catarsi individuale e cosmica. A tutto questo si può aggiungere l’esistenza, nella Cabala, di una credenza nella magia e di una simbologia non facilmente definibile.’ (Enciclopedia Filosofica Sansoni vol I°, pag 1147)
Questa citazione autorevole era necessaria per mostrare l’esistenza di una Cabala molto più complessa di quella comunemente nota che invece ne restringe il raggio d’azione, riducendola, in maniera assai limitativa, ad una pura e semplice operazione di divinazione, fatta analizzando solamente numeri e lettere dell’alfabeto.
Anche noi, nel prosieguo del nostro Discorso, quando useremo la parola Cabala lo faremo più con occhio verso l’antica cabala naturale di ascendenza pitagorica (vedi presentazione); quindi non ci riferiremo all’antico misticismo giudaico che la parola Cabala propriamente tendeva ad esprimere.
Operiamo in un contesto assai diverso da quello dei progenitori dell’antica cabala giudaica e dobbiamo tenere conto che esiste un computer fondato sul linguaggio binario scoperto da Leibniz e non del tutto ignoto ai cinesi e che siamo passati attraverso la legge di Einstein che mette in relazione l’energia con la massa per la velocità della luce al quadrato. E infine abbiamo visto con gli occhi del microscopio elettronico il mondo infinitesimale entrando in una vera e propria dimensione a ridosso del visibile e sappiamo anche dell’esistenza della doppia elica del filamento del codice genetico.
Il mondo della scienza ha fatto negli ultimi cinque secoli passi da gigante e questo non può che dare nuova linfa al complesso sistema degli Arcani maggiori dei Tarocchi, che vanno interpretati anche tenendo conto delle nostre attuali conoscenze che gli alchimisti del 1400 non potevano certo possedere.
Se pensiamo poi che un insigne fisico come Isacco Newton è stato in segreto un cultore di alchimia e di Cabala, non possiamo negare che vi sia stata una continuità tra la ricerca sperimentale degli occultisti del rinascimento e il rigoroso metodo scientifico inaugurato da Galileo Galilei.
A tale proposito vogliamo ricordare dell’esistenza del baule segreto di Isacco Newton che può essere considerato come l’ultimo grande alchimista e il primo grande fisico sperimentale: segno che l’obiettivo di quei filoni era il medesimo: scoprire i segreti della natura.
Capitolo 11
Filosofia dei Numeri
Secondo la filosofia dei numeri ad ogni numero corrisponde un ente numerico, che non esprime la pura e semplice quantità, bensì una qualità intrinseca, propria e profonda, che lo contraddistingue dagli altri enti numerici.
L’universo, le sue creature, i fenomeni sono riconducibili a Numeri, intesi come enti dotati di certe proprietà.
Un computer memorizza informazioni che sono ricondotte ad una sequenza di numeri, in base ad un codice binario scaturito da sequenze di uno e zero.
Lo zero originario contiene tutti i numeri possibili che sono infiniti. Il sistema numerico decimale, oggi universalmente accettato, assegna ai primi dieci numeri il primato sugli altri.
Descriviamo le operazioni cabalistiche fondamentali che useremo nel presente trattato.
Un numero di due, o più cifre, è riducibile ad un numero di una sola cifra. Tale operazione è detta riduzione. Il numero ottenuto dal processo di riduzione è detto ridotto, ed esprime l’essenza di un numero a più cifre.
I primi 9 numeri non sono riducibili ad un altro numero.
Il numero 10 è riducibile al numero 1 e allo zero originario.
Il numero 11 è riducibile al numero 2 (1+1)
Il numero 12 è riducibile al numero 3 (1+2)
Il numero 13 è riducibile al numero 4 (1+3)
Il numero 14 è riducibile al numero 5 (1+4)
Il numero 15 è riducibile al numero 6 (1+5)
Il numero 16 è riducibile al numero 7 (1+6)
Il numero 17 è riducibile al numero 8 (1+7)
Il numero 18 è riducibile al numero 9 (1+8)
Il numero 19 è riducibile al numero 1 (1+9=10=1+0)
Il numero 20 è riducibile al numero 2 (2+0)
Il numero 21 è riducibile al numero 3 (2+1)
Il numero 22 è riducibile al numero 4 (2+2)
Il numero 23 è riducibile al numero 5 (2+3)
Il numero 24 è riducibile al numero 6 (2+4)
Il numero 25 è riducibile al numero 7 (2+5)
Il numero 26 è riducibile al numero 8 (2+6)
Il numero 27 è riducibile al numero 9 (2+7)
Il numero 28 è riducibile al numero 1 (2+8=10)
Il numero 29 è riducibile al numero 2 (2+9=11)
Il numero 30 è riducibile al numero 3 (3+0=3)
Il numero 31 è riducibile al numero 4 (3+1=4)
Il numero 421 è riducibile al numero 7 (4+2+1)
Il numero 666 è riducibile al numero 9 (6+6+6=18=9)
Il numero 2022 è riducibile al numero 6 (2+2+2=6)
Ogni numero può essere scomposto e frazionato alla luce di tutti i numeri che lo precedono, sommati insieme. Questa operazione, detta di scomposizione, o frazionamento, porta ad un numero che chiameremo riflesso.
1 = 1
2 = 1 + 2 = 3
3 = 1 + 2 + 3 = 6
4 = 1 + 2 + 3 + 4 = 10
5 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15
6 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 = 21
7 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7= 28
8 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 = 36
9 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 = 45
10 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 + 10 = 55
11 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 + 10 + 11= 66
12 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 + 10 + 11 +12 = 78
13 = 1+2+3+4+5 +6 +7+8+9+10+11+12+13 = 91
14 = 1+2+3+4+5 +6 +7+8+9+10+11+12+13+14= 105
15 = 1+2+3+4+5 +6 +7+8+9+10+11+12+13+14+15= 120
16=1+2+3+4+5 +6 +7+8+9+10+11+12+13+14+15+16=136
17=1+2+3+4+5 +....+10+11+12+13+14+15+16+17=153
18=1+2+3+4+5 +....+10+11+12+13+14+15+16+17+18= 171
19=1+2+3+4+5 +....+11+12+13+14+15+16+17+18+19= 190
20=1+2+3+4+5 +....+12+13+14+15+16+17+18+19+20= 210
21=1+2+3+4+5 +..+13+14+15+16+17+18+19+20+21= 231
22=1+2+3+4+5 +.+14+15+16+17+18+19+20+21+22= 253
23=1+2+3+4+5 ..+15+16+17+18+19+20+21+22+23= 276
24=1+2+3+4+5 ....16+17+18+19+20+21+22+23+24= 300
25=1+2+3+4+5 ..+17+18+19+20+21+22+23+24+25= 325
26=1+2+3+4+5 .+18+19+20+21+22+23+24+25+26= 351
27=1+2+3+4+5 .+18+19+20+21+22+23+24+25+26+27= 378
28=1+2+3+4+5 .+19+20+21+22+23+24+25+26+27+28= 406
29=1+2+3+4+5 +20+21+22+23+24+25+26+27+28+29= 435
30=1+2+3+4+5 ..+21+22+23+24+25+26+27+28+29+30= 465
31=1+2+3+4+5 .+22+23+24+25+26+27+28+29+30+31= 496
Le cifre dei numeri riflessi vanno lette separatamente e sono dette valenze.
Ad esempio il numero 10 ha il suo riflesso in 55 e la sua valenza si manifesta nel numero 5 ripetuto 2 volte e 5+5 equivale ancora a 10. Il numero 10 presenta una cadenza ciclica che passa attraverso il riflesso 55 per tornare ancora al numero di partenza: il 10.
Nei Tarocchi il 10 viene raffigurato come la grande Ruota del divenire che gira impietosamente e non guarda in faccia nessuno.
I primi 27 numeri riflessi : 1 - 3 - 6 - 10 - 15 - 21 - 28 - 36 - 45 - 55 - 66 - 78 - 91 - 105 - 120 - 136 - 153 - 171 - 190 - 210 - 231 - 253 - 276 - 300 -325 - 351-378 sono riducibili a
1 / 3 / 6 / 1 / 6 / 3 / 1 / 9 / 9
1 / 3 / 6 / 1 / 6 / 3 / 1 / 9 / 9 /
1 / 3 / 6 / 1 / 6 / 3 / 1/ 9 / 9/
Tale sequenza di nove numeri 1 / 3 / 6 / 1 / 6 / 3 / 1 / 9 / 9 si ripete all’infinito, in maniera periodica.
Tutti i numeri riflessi sono riducibili a soli 4 numeri: 1 / 3 / 6 / 9 che sommati danno 19, riconducibile a 10, a sua volta riconducibile all’unità originaria: ossia 1.
La successiva tabella aurea indica le corrispondenze tra lettere dell’alfabeto, numeri e Trionfi.
Tabella aurea:
lettere numeri Trionfi
a 1 Mago
b 2 Papessa
c 3 Imperatrice
d 4 Imperatore
e 5 Gerofante
f 6 Innamorato
g, j 7 Carro
h, k 8 Giustizia
i, y 9 Eremita
l 10 Ruota Fortuna
m 11 Forza
n 12 Appeso
o 13 Morte
p 14 Temperanza
q 15 Diavolo
r 16 Torre
s 17 Stelle
t 18 Luna
u, w 19 Sole
v 20 Giudizio
z, x 21 Mondo
Anche il nome di una persona può essere ricondotto ad una sequenza di numeri e ad una successione di vari Arcani maggiori.
Capitolo 12
Esegesi dell’Arcano Numero 1
Sentenza guida
Creatività e iniziativa: le virtù
incantamento e illusione: i vizi.
Cerca d’essere parimenti virtuoso e ludico.
Lasciati alquanto meravigliare
dal gioco, ma non ti fare incantare troppo
dalla magia dei mescolamenti.
L’oblio delle origini rende ciechi e sordi.
Rischiara la tua coscienza nei ricordi
degli albori paradisiaci.
La vita assomiglia ad un gioco:
talora meraviglioso, talora beffardo.
Inventa, moltiplica, grazie alle tue capacità
ed ingegno. Esercita la tua creatività.
I King e i Tarocchi: strumenti di divinazione
Possiamo ipotizzare che i Tarocchi originari fossero accompagnati da una specie di guida che illustrava il significato dei vari Arcani e spiegava come usare le carte per giocare. Presumiamo che tale manuale si sia perso, o forse sia stato bruciato, insieme ad altri libri eretici, nei roghi della Santa Inquisizione. Tale ipotesi non é azzardata, ma alquanto plausibile.
Nel presente trattato filosofico abbiamo voluto associare ad ogni Arcano una sentenza, sulla scia del famoso Libro dei mutamenti della Cina antica, che disponeva di uno strumento di divinazione sofisticato, basato su una serie di combinazioni di segni, brevi o lunghi, distribuiti lungo una successione di sei linee, che caratterizzano appunto i King.
La sentenza associata ad ogni Arcano ne fa rivivere lo spirito antico, intriso di sapienza e d’amore verso tutte le creature, nella speranza che la comunione universale possa finalmente superare gli egoismi individuali e la volontà di supremazia del più forte e fortunato sul meno favorito dalla sorte.
Il lettore può usare la sentenza come uno strumento orientativo per leggere le carte senza ulteriori aiuti esterni. La sentenza è una facile guida per tutti, nelle piccole difficoltà quotidiane.
Il Mago secondo l’iconografia della tradizione
Il Mago sembra scaturire dal nulla, d’improvviso, insieme al complesso corredo d’illusionista, come i funghi che si alimentano dell’humus del bosco e spuntano dalla terra dopo una pioggia abbondante. Prende vita da un vortice radiante, che non sparisce del tutto, ma gli resta accanto, sospeso in aria, sotto forma del simbolo numerico dell’infinito, dorato e luminoso, che soltanto un attento osservatore riesce a scorgere, perché a tratti si confonde con le falde del suo stravagante copricapo luminescente, capace di sprigionare gli effetti più sorprendenti.
Nell’iconografia della tradizione il Mago è rappresentato in piedi dietro il suo tavolo per fornire, al momento opportuno, i segni tangibili delle sue grandi facoltà. Dispone accuratamente la spada nel mezzo, poi da un lato colloca un bisante d’oro e dall’altro un calice di cristallo. Con la mano destra prende a sfiorare il nobile metallo come per assimilarne tutto il prezioso flusso energetico, con quella sinistra impugna la magica bacchetta, fatta di legno di noce, con l’evidente intenzione di captare le innumerevoli forze esterne presenti attorno a lui, per convogliarle poi dentro la coppa, sotto forma di un unguento miracoloso.
Il potere del Mago di agire sulle cose e di trasformarle è collegato alla natura del numero 1, padre generatore di tutti i numeri possibili. Per questo motivo la sua bacchetta, nella parte superiore è istoriata dalla prima serie dei dieci numeri, fusi in oro zecchino e applicati in ordine crescente: 1, 2, 3 , 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Gli occhi sono azzurri, il volto regolare e gioviale, la capigliatura bionda e ricciuta, il sorriso spontaneo, il portamento eretto. Nell’insieme denota spirito d’iniziativa, pare soddisfatto e sul punto di realizzare una delle sue illusioni.
Il Mago si sente come il punto geometrico, generatore di tutte le forme, pronto a muoversi nello spazio infinito senza alcuna limitazione. Avverte il fremito dello sperma cosmico contenuto nella sua bacchetta ed è consapevole che, in virtù di quel fluido interiore, può realizzare qualunque progetto.
Il primo Arcano raffigura il Mago, in grado manipolare le forze primarie insite nei 4 elementi fondamentali della vita: il Fuoco, la Terra, l’Aria e l’Acqua, simboleggiati rispettivamente dal Bastone, dall’Oro, dalla Spada e dalla Coppa.
Le valenze del Mago
Ovviamente il Mago, punto di riferimento iniziale per tutte le creature, dà inizio al gioco della vita, al processo organizzativo delle cose.
Estroverso, attivo, giovane, sorridente, convincente il Mago possiede una forza positiva, creativa ed esplorativa capace di produrre grandi trasformazioni.
Essendo veramente abile può illudere la vista e la coscienza dei più deboli e degli ingenui. Essendo trasformista e illusionista può anche ingannare e servirsi dei suoi poteri per obiettivi oscuri, per ottenere vantaggi materiali e per dominare gli altri.
Dotato di grandi capacità intuitive, legge nel cuore delle creature e dimostra anche di possedere un innato talento artistico e una buona dose di poteri non comuni, come la preveggenza.
La sapienza del Mago è innata, nel senso che nessuno gli ha insegnato nulla. Autodidatta è fiero di sé, al punto da considerare tutti gli altri inferiori. Volendo potrebbe manipolare le persone facilmente, ma si tratta di una superiorità intellettuale e spirituale che difficilmente sconfina nell’ambizione materiale.
Visibilmente il Mago riassume le 4 virtù del saggio che sono simbolicamente condensate negli strumenti del suo potere magico: la bacchetta di legno, la coppa, la spada e la moneta d’oro.
Potrebbe essere equiparato a un Demiurgo in grado di manipolare i 4 elementi fondamentali della vita: l’Aria, l’Acqua, la Terra e il Fuoco.
Il mondo scaturisce dall’unione dei 4 elementi fondamentali ed è stato organizzato mescolando gli elementi in misura variabile. Il Mago è in grado di riconoscere gli elementi e li sa aggregare tra di loro.
Il legame che unisce i vari elementi ha in sé qualcosa di magico, di misterioso, d’ineffabile. Il Mago conosce molti segreti, e ostenta sicurezza, accompagnata anche da una certa dose di compiaciuto esibizionismo.
Il Mago è il simbolo vivente dell’organizzazione del mondo che è opera di Dei: essenze che si sono unite per aggregare un prodotto complesso, detto impropriamente creato, che va inteso invece come organizzato.
La strutturazione del mondo non è casuale ma consensuale, frutto di un libero atto voluto. I 4 elementi fondamentali hanno partecipato attivamente ai legami primordiali ai quali hanno contribuito i vari Dei che si sono spontaneamente uniti per dare vita ad un progetto collettivo: il mondo.
Il Mago sa di sapere, sa tacere, sa osare e sa volere, ma tutto ciò che sa giace nel fondo della sua coscienza, per cui deve costruirsi di nuovo, come se partisse da zero, fortificarsi lo spirito attraverso l’umiltà socratica di chi dice di non sapere.
Il Mago si pone al principio d’ogni processo; al punto d’arrivo, che riesce a intravedere e conseguire prima degli altri, perviene in maniera autonoma, senza subire i condizionamenti della realtà esterna.
Il Mago possiede una libertà originaria. Egli si pensa, pensa se stesso, non è pensato, né creato. Non conosce ancora la natura del male, la sua esistenza non è marcata dal peccato originario, perché esiste prima del mondo, come principio di se stesso. Nessuno l’ha progettato essendo lui l’artefice del suo mondo interiore.
Sotto il profilo tipologico il Mago personifica un’unicità non ancora ben differenziata, per cui partecipa in ugual misura delle caratteristiche sessuali maschili e femminili. L’androgino puro rappresenta l’aspirazione del saggio che desidera liberarsi dei vincoli carnali. Questo non implica per il Mago una qualche forma d’astinenza sessuale, anzi il suo corpo è pieno d’energia creativa e il suo sperma cosmico (energia mentale inesauribile) può essere liberato da un momento all’altro. Capace di trovare una forma di conciliazione ai contrasti emergenti, il Mago è proteso a costruire il suo futuro con ottimismo e spirito d’avventura.
Ama rischiare, non disdegna d'affrontare il pericolo e vuole aiutare gli altri che sono in difficoltà. Agisce in maniera istintiva e a volte è troppo impulsivo. Indubbiamente gli piace mettersi in mostra ed essere il centro dell’attenzione di tutti. L’esibizionismo fa parte del suo carattere perché, per indole, non è abituato a nascondersi. Affabile e sincero, vuole il dialogo e cerca di agevolare sempre ogni tipo di comunicazione.
Posto in un contesto ostile e negativo perde le sue positività e si accentuano i fattori individualistici, illusori e magici. Questa particolare situazione tende pericolosamente a isolarlo, a porlo in contrasto con il mondo e con le regole comunemente accettate da tutti.
Portato a trasformare le cose grazie ai suoi poteri soprannaturali, evidentemente si troverà a suo agio nel proporre audaci riforme, ardite rivoluzioni, sovvertimenti delle norme sociali e morali. La sua mente elastica non accetta imposizioni dall’esterno, qualunque sia la loro natura: politica o religiosa, etica od ideologica. Pertanto il suo temperamento lo porta a lottare per un mondo sempre più giusto, in sintonia con i grandi ideali e principi dai quali si sente animato.
La Cabala applicata al Mago
1 = 1
L’equivalenza cabalistica dice che il numero 1 è l’unico numero che equivale a se stesso, che deve tutto a se stesso, che non condivide la sua natura con altri.
Il Mago nella sua unicità è solo con se stesso, centro propulsore del suo mondo interiore. Gli strumenti del suo potere gli servono per organizzare un mondo, per uscire dal suo isolamento, che altrimenti lo paralizzerebbe in una spirale senza fine.
Il primo Arcano dei Tarocchi è la figura centrale, nobile, che ispira l’intero processo di aggregazione del mondo, che è un’emanazione degli Dei, delle essenze originarie.
Il mondo non è stato creato, perché nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, secondo un principio che era già ben noto agli alchimisti, precursori della moderna chimica, di cui Lavoisier è stato il fondatore.
Capitolo 13
Dualismo intrinseco
Dobbiamo considerare ciascun Arcano non in maniera statica, ma in movimento; visualizziamolo come un grande pendolo che oscilla: da un lato va verso il sublime, dall’altro sfiora la bassezza, la meschinità. E questo perché ogni Arcano ha una intrinseca positività e negatività che si manifesta a seconda dei casi.
Bagatto Mago Demiurgo
Il Mago oscilla tra lo splendore grigio del Bagatto e la luminescenza ardita del Demiurgo, che sono in sintesi delle formulazioni più concrete e materialiste l’una; più filosofiche e spirituali l’altra.
E questa metamorfosi continua non può essere affidata del tutto al caso. Non possiamo neppure banalmente affermare, come fanno taluni interpreti, che la negatività si manifesta quando la carta si presenterà capovolta.
Il mazzo deve sempre essere ordinato regolarmente e mescolato un certo numero di volte e il rituale non sarà mai del tutto un puro accessorio decorativo, ma il modo stesso di maneggiare, di mescolare e di tagliare il mazzo sono essi stessi parte integrante dell’operazione di lettura degli Arcani che deve essere sempre fatta seguendo un preciso cerimoniale avente un suo significato logico e mistico.
Bisogna rispettare il mazzo che non è solamente un puro ammasso cartaceo, ma un concentrato di cultura e di storia, come sono i monumenti. I Tarocchi rappresentano la nostra memoria, la nostra storia, le nostre speranze, le nostre paure e per questo andranno maneggiati con tutto il rispetto che si deve ad un’opera dell’ingegno.
Il dualismo applicato al Mago.
L’Arcano del Mago personifica l’intraprendenza, la voglia di esplorare e di progettare, l’iniziativa personale, l’intelligenza, la prontezza, la sagacia, l’abilità, doti mentali non comuni, grande capacità organizzativa, spirito d’iniziativa e tutte le altre qualità intellettuali affini. Dal punto di vista morale l’agire del Mago è solitamente in perfetta sintonia con obiettivi sani e buoni e la sua valenza è complessivamente positiva.
Il Mago come ogni carta possiede anche una sua valenza negativa nella direzione della dimensione illusoria e ingannevole, rivolta a stupire il prossimo, a servirsene per i propri obiettivi meschini ed egoistici, per la propria voglia di primeggiare e dominare anche a fini di lucro.
Gli spazi che compongono la Stella di Davide.
Un oracolo affidato alla voce dei Tarocchi utilizza di preferenza i soli Arcani maggiori, che sono 22 e dispone 7 carte all’interno degli spazi, detti case, che compongono la Stella di Davide.
Ogni casa è contrassegnata da un numero e riceve un’impronta proprio dal numero che la contraddistingue.
Il numero 1 connota la prima casa.
Il numero 2 connota la seconda casa.
Il numero 3 connota la terza casa.
Il numero 4 connota la quarta casa.
Il numero 5 connota la quinta casa.
Il numero 6 connota la sesta casa.
Il numero 7 connota la settima casa.
La valenza negativa del Mago scaturisce dalla carta quando questa cade nella casa numero 2 e nella casa numero 6. Entrambe le case ospitano i dualismi e questi interagiscono sul Mago in maniera esagerata, provocando un circuito nella polarità dell’uno.
Quando l’Arcano del Mago cade sulla prima casa questa accentua, duplica, esalta e fortifica tutte le potenzialità del Mago perché tra la casa e il Mago c’è una evidente corrispondenza, inoltre la presenza del Mago risulta particolarmente favorevole alla situazione.
Solamente quando l’Arcano del Mago cade nella seconda casa prenderà il sopravvento la dimensione illusionistica, volta a confondere il prossimo, a trasmettere sensazioni ingannevoli per puro calcolo personale e il Mago perseguirà obiettivi meschini, vili e materiali. La presenza del Mago in questo caso non è certamente favorevole al consultante.
L’Arcano del Mago invece nella terza casa indica doti allo stato latente che debbono crescere ed essere coltivate, potenzialità che debbono svilupparsi. La figura del Mago è decisamente più propensa ad aiutare presenze femminili, giovani vite e fa sentire la sua influenza benefica sulle situazioni nuove.
Nella quarta casa l’Arcano del Mago assume un ruolo decisamente paternalistico, dominante, autoritario e tende ad isolarsi molto dal contesto delle persone che lo circondano, a primeggiare. La presenza del Mago fa riferimento alle figure maschili ed estende il suo influsso sul capo famiglia, sul leader.
L’Arcano del Mago posto invece nella quinta casa interagisce con la sfera mistica, con il capo spirituale, con la religiosità del contesto che assume toni magici e si contorna di amuleti, di influssi. Qui il Mago cerca di nascondere le proprie facoltà, per non apparire, non essere individuato; agisce per interposta persona più che direttamente. La sua azione risulta egualmente benefica, fortifica le energie che sono latenti.
Nella sesta casa l’Arcano del Mago rimane in un certo senso bloccato e non riesce ad esprimersi compiutamente, perché entra in antagonismo con i suoi avversari, per lo più presenze muliebri particolarmente attraenti e dotate, capaci d’influire sulla situazione.
L’Arcano del Mago nella settima casa assume il ruolo benefico del deus ex-machina che risolve la situazione e si pone al servizio della persona che lo invoca aiutandolo a conseguire positivamente il proprio obiettivo.
Complessivamente la dimensione del Mago è sempre creativa ed ottimistica e finalizzata ad esiti positivi per colui che si affida al responso dell’oracolo, ricorrendo all’ausilio dei Tarocchi.
Questa scrupolosa casistica, insegna che un Arcano va visto nella casa che lo ospita ed essa lo determina come fosse un astro che influisce sul nostro comportamento.
I primi sette numeri connotano ciascuna delle sette case, che sono una visualizzazione e una proiezione del numero stesso.
Capitolo 14
Il Mago nei Tarocchi Visconti
La figura del Mago è seduta su una panca lignea, intagliata a motivi geometrici. Lo sguardo è attento e concentrato, non sembra osservare il tavolo rettangolare che gli sta di fronte. Solamente nelle versioni successive il Mago sarà raffigurato in piedi, ma la differenza non è da poco. La posizione seduta sottolinea tutta la concentrazione del Mago che fa scaturire i suoi poteri non dagli strumenti magici a sua disposizione, ma dalla sua attività mentale che viene appunto favorita ed accresciuta dal fatto che il Mago Visconti sta seduto proprio per attingere il massimo grado di concentrazione.
Il tavolo, stretto e rettangolare ricorda il classico modello della panca, soprannominata fratino, perché in uso nei conventi dei religiosi. Sulla sua destra sta un tipico cumulo di farina, pronto a essere lavorato, prima di un impasto; sulla sinistra un bicchierino per versare l’acqua che solitamente viene mescolata negli impasti; infine un coltellino che potrebbe fungere per sminuzzare altri ingredienti, come il lievito. Due altri elementi potrebbero benissimo essere burro, e, o canditi, perché trattarsi di un preparato per metà dolce e per metà salato. La bacchetta magica non sta poggiata sul tavolo, né viene tenuta nelle mani del Mago; pare piuttosto levitare in aria e partecipare attivamente al prodigio del tavolo che resta in piedi, anche se manca di una gamba e, secondo le leggi della fisica, dovrebbe cadere in terra da un momento all’altro.
Singolare è senza dubbio il tavolino con due gambe anteriori sul davanti ed una sola gamba sul retro. Abbiamo osservato che il tavolo dovrebbe cadere, ma il Mago presumibilmente grazie all’energia sprigionata dalla sua lunga bacchetta magica pare tenerlo in piedi. Se osserviamo bene la posizione delle mani, ci accorgiamo in particolare che dalla mano destra s’irradia l’energia necessaria a compensare proprio la mancanza della gamba. Certo non possiamo supporre che il disegnatore maldestro l’abbia dimenticata.
Leggiamo cosa dicono le gambe di legno alla luce della filosofia dei numeri. Una gamba sta per numero 1. Due gambe stanno per numero 2. Nessuna gamba sta per zero. Leggiamo i numeri come se si trattasse di un’iscrizione araba: da destra verso sinistra. Ne viene fuori un 1202: anno in cui è comparsa la prima edizione del Liber Abaci di Leonardo Pisano, il noto divulgatore in Europa dei numeri della tradizione indiana-araba. Fino ad oggi nessuno ha messo in risalto questa particolare coincidenza. Il Mago sta compiendo un prodigio: riesce a fare stare in piedi una gamba senza tavolo.
Oswald Wirth alcuni secoli dopo, sulla scia dei Tarocchi di Marsiglia, lo mostra in piedi mentre esibisce i 4 semi degli Arcani Minori: coppa, spada, danaro e bastone.
Il Mago dei Tarocchi Visconti nella sua essenza specifica viene del tutto ignorato, quasi vilipeso.
Torniamo alle gambe del tavolo e ai numeri indicati: 0 1 2 2. Con i quattro numeri possiamo formare a sua volta i numeri: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10, ovvero tutta la prima decade.
La seconda decade scaturisce fuori se leggiamo il numero nel verso occidentale, da sinistra verso destra 2021. E il 21 chiude l’intera rappresentazione dei Tarocchi: ne è la sintesi.
Anche la prospettiva del tavolo del Mago dei Tarocchi Visconti, vista appunto da destra verso sinistra, ci conferma il verso giusto per decifrare il numero 1202 che sta scritto simbolicamente al di sotto del tavolo.
0 1 2 2: la complessa filosofia dei numeri, visualizzata simbolicamente da quelle gambe di legno che sorreggono e non sorreggono il tavolo, alimenta i Tarocchi.
La bacchetta magica non sembra essere neppure sfiorata dalle mani del Mago, che possiede una sua forza interiore proprio nelle mani. Quindi sono, o meglio saranno le mani a conferire alla bacchetta, in altre circostanze, un potere che le deriva appunto dalle mani e non è una proprietà della bacchetta. Le mani sono due, appunto il numero 2.
Simbolicamente adagiati sul tavolo ci sono tutti e 22 i Tarocchi, anche se non li vediamo. Il Mago è il divulgatore dei numeri arabi e l’inventore dei Tarocchi, che sono la visualizzazione di quei numeri e di quei simboli.
Se il Mago nel corso dei tempi ha subito le modificazioni e le semplificazioni dei Tarocchi di Marsiglia e di Wirth lo deve soprattutto all’ignoranza e alla faciloneria con cui è stato liquidato e messo nel cassetto.
Il Mago quasi mestamente guarda verso il basso, verso le gambe ideali del tavolo che è sotto di lui. Sono le gambe che sorreggono il tavolo. Sembra quasi una banalità. Noi al contrario ci dimentichiamo che la nostra struttura biologica è fatta di basi semplici che si sono combinate secondo un criterio logico matematico.
L’abito del Mago è rosso. Rosso anche il cappello. Entrambi hanno la medesima guarnizione di pelliccia pregiata, forse di ermellino. Il copricapo ha una foggia orientaleggiante. Le falde sono ampie e tondeggianti. Il fondo della stanza sembra essere ricoperto di una carta da parati damascata.
Luigi Scapini, nella sua moderna riproposizione dei Tarocchi Medioevali, ricalca abbastanza fedelmente l’icona dei Visconti. Il suo Mago sta però in piedi e sul tavolo vi sono alcuni dei simboli dei 4 semi tradizionali delle carte: le spada, i danari, la coppa. Anche il tavolo singolare è il medesimo. Eppure il Mago originario dei Visconti non sembra fare alcuna allusione ai semi rappresentati dagli Arcani minori, anche se quasi tutti gli interpreti ne parlano.
Il Mago ci sta dando una prova dei suoi poteri. Con la bacchetta riesce a fare stare in piedi un tavolo che altrimenti per le leggi della fisica dovrebbe cadere. Forse con del cibo appropriato alimenta la propria energia e quella della stessa vara magica. Sembra mostrare che ogni incantamento scaturisce dalla fusione perfetta con le forze della natura. Anche i colori del suo abito rosso, verde e bianco non sono casuali, sono i segni visibili e i simboli del suo agire magico. Rosso è il fuoco, verde la terra, bianca l’acqua. Gli stessi utensili per mangiare possono anche essere interpretati come emblemi degli Arcani Minori. Questa icona del Mago Visconti ha qualcosa in più rispetto alle altre: lo mostra nell’esercizio delle sue funzioni magiche in una maniera più concreta e ci fornisce degli utili dettagli sulle regole d’utilizzazione e di trasformazione che presiedono ogni tipo d’incantamento. Le 4 gambe anteriori del tavolo alludono ai 4 semi dei Tarocchi. Una gamba posteriore allude all’Uno originario. La gamba assente e non visibile allude allo zero originario. Il Mago si colloca entro un percorso definito, non illude, non crea dal nulla, semplicemente trasforma
Capitolo 15
Interferenze dell'Inquisizione
L’Arcano del Bagatto alle prese, nella tradizione iconografica, con i 4 strumenti del suo potere - la bacchetta magica, la coppa, la spada e la moneta d’Oro - raffigura un prestigiatore che mostra il suo armamentario per dare uno spettacolo dei suoi straordinari poteri al popolo ignaro e meravigliato.
Il termine bagattella un tempo indicava un gioco di prestigio fatto con i bussolotti e oggi sta ad indicare, nell’accezione più comune, una cosa senza troppa importanza. Dunque la parola stessa Bagatto (la cui discussa etimologia deriverebbe da Bagdad, città di provenienza di caratteristici giocolieri) sta a indicare un giocoliere qualsiasi, come tanti, su cui la Chiesa di Roma aveva già diretto i suoi strali e le sue censure.
Bisognava arginare il dilagare delle eresie e vigilare su ogni attività ludica. E’ noto, infatti, che i giochi di carte nel Medioevo erano severamente vietati perché considerati futili, ingannevoli e blasfemi. Nonostante tutto, i giochi proliferavano.
I revisori attenti dell’Inquisizione avevano preso di mira un mazzo di carte originario delle terre della Provenza, dove gli eretici erano più forti e organizzati. Con esso i cultori dell’occultismo erano abituati a fare delle previsioni del futuro e alcuni erano stati arsi nei roghi per non rivelare il loro significato e i rituali magici ad essi collegati
L’apparato dell’Inquisizione fu il primo a percepire il significato eversivo dei Tarocchi e cercò di appropriarsene, facendo questo semplice ragionamento: “se non è possibile arginare il dilagare del gioco delle carte, tanto vale assimilarlo ed in certo senso collocarci sopra i sacri simboli della fede”.
Il primo Arcano originariamente raffigurava il Mago, che era in grado manipolare le forze primarie insite nei 4 elementi fondamentali della Vita: il Fuoco, la Terra, l’Aria e l’Acqua, simboleggiati rispettivamente dal Bastone, dall’Oro, dalla Spada e dalla Coppa. Ovviamente il Mago dava inizio al gioco della vita, al processo organizzativo delle cose, il punto di riferimento iniziale per tutti, ma questa visione - che implicitamente contrastava con il sublime concetto di creazione - venne svilita e ridicolizzata, cambiando il contesto in cui operava il protagonista, mettendogli sotto il naso uno sgangherato tavolino dove sono adagiati gli strumenti del suo lavoro ed affibbiandogli il nome di Bagatto: rappresentazione divertita e beffarda che trasforma il Mago in una sorta d’istrione ed illusionista che popola le variopinte piazze delle città del tempo.
L’apparato di controllo messo in piedi dall’Inquisizione preferisce legittimare un Arcano che incarna il gioco, che oramai fa parte dei rituali che piacciono tanto alla gente.
La Chiesa demonizza il gioco d’azzardo da un lato, ma dall’altro - com’è logico - cerca di assimilarlo e di farlo suo. L’obiettivo è dunque quello di cristianizzare i Tarocchi, di contaminarli attraverso il credo cui tutti devono uniformarsi.
Magia: “è l’arte di sottoporre al proprio potere, per mezzo di pratiche occulte di varia natura, forze considerate immanenti nell’universo fisico e spirituale. Il nome rievoca i Magi, che formavano una casta sacerdotale presso i cristiani; e Magi furono detti, nell’antichità classica, i Caldei, cioè i sapienti della religione babilonese. Le Origini della magia sono remotissime e vanno ricercate, oltre che in Persia e in Mesopotamia, nel complesso mondo religioso egiziano e giudaico..” (Enciclopedia Filosofica Sansoni pag 198 vol.4)
E’ chiaro che la religione vede nella magia un pericolo e un male dell’antico e mai del tutto scomparso paganesimo, che ripetutamente cerca d’estirpare definitivamente nel corso dei secoli, senza peraltro mai riuscirvi.
Il Mago originario dei Tarocchi non è una figura ridicola e istrionica, bensì una figura centrale, nobile, che ispira l’intero processo di aggregazione del mondo, che è un’emanazione degli Dei originari.
Capitolo 16
Arcano numero 2:
la Vestale del Tempio e la Sfinge guardiana
Sentenza guida
Ascolta il libro della tua coscienza.
Impara dalle contraddizioni
e sappi volgerle al positivo.
Non ci sono verità eterne
scritte in nessun libro cartaceo.
I sapienti, approdati al Tempio della conoscenza,
avrebbero potuto risparmiarsi
tanto estenuante cammino,
se avessero cercato le risposte
nella natura e nelle piccole cose,
solo apparentemente insignificanti.
La vita non scaturisce dall’Uno immoto e statico,
ma è propria del dualismo insito nelle cose;
quindi abbandona la pigrizia e l’inattività
e allena i muscoli del tuo corpo.
Parimenti stimola anche il cervello
senza accettare nulla per vero.
Qualsiasi rogo, o censura dei libri
inaridisce la mente e fa trionfare l’ignoranza.
Vorremmo ribadire che quest’idea della sentenza, da anteporre alla descrizione di ciascun Arcano, è scaturita pensando allo straordinario e complesso strumento divinatorio che sono i King. Segnaliamo l’autorevole versione pubblicata dalla casa Editrice Astrolabio. Essa è preceduta da una prefazione scritta da C.G. Jung nel maggio del 1949. La traduzione del Libro dei Mutamenti in inglese risale a Richard Wilhelm e durò oltre dieci anni e vide la luce a Pechino nel 1923.
Dobbiamo confrontarci con altre forme divinatorie, e soprattutto oggi, nell’epoca della rivoluzione informatica, va ribadita la funzione insostituibile del libro.
Una ricostruzione dell’Arcano originario
Uno dei simboli chiave dell’Arcano numero 2 è il Libro, che non sarà mai la verità, ma un punto di vista, da leggere, da sfogliare con curiosità, per apprendere elementi incomprensibili che sfuggono alla nostra conoscenza, che deve rinnovarsi alla luce della ragione, per non cadere preda della barbarie informatica, che ci ha portato ad essere sempre più dipendenti dal web e dal computer in maniera passiva, acritica.
Un monolito, vagamente a forma di numero 2, giganteggia sullo scosceso pendio che conduce al Tempio della conoscenza. Il monolito poggia su una distesa di lava nera solidificata, che già di per sé costituisce un ostacolo che sbarra il passo di chi, per caso, si aggira senza una meta precisa in quei paraggi. Anche la luce pare arrestarsi, intimidita ed imponente, di fronte al Tempio che è illuminato soltanto per metà. La colonna di sinistra è di un azzurro scuro impenetrabile simile a cielo e sembra essere permeata della stessa sostanza dell’aria circondata dalle tenebre più profonde della notte. La colonna di destra invece è rossa e pare essere costituita dalla stessa sostanza del fuoco.
Una Sfinge, apparentemente mansueta, adagiata in terra, al lato di una specie di sedile che sporge dal monolito, vigila l’ingresso del Tempio. La sua natura ambigua e misteriosa, animalesca ed umana insieme, non può che incutere rispetto. Se un occasionale viandante dall’animo impuro tentasse di profanare quel sacro sito ne sarebbe immediatamente atterrito e fuggirebbe via in preda al panico più profondo. Se, invece, dalla sua avesse come alleata un’elevata spiritualità in grado di proteggerlo, riuscirebbe ad ascoltare la voce della Sfinge che eternamente pone le tre fatidiche domande, cui i pensatori di tutti i tempi si sono sforzati invano di dare una risposta coerente.
Le valenze della Vestale
Introversa, passiva, severa, senza sfarzo, indifferente alla quotidianità, la Vestale assume una posa statuaria.
Immobile e pensosa non sembra disposta a comunicare col mondo circostante e neppure appare propizia a diffondere il sapere di cui è depositaria. Siamo di fronte ad una donna silenziosa e misteriosa che personifica l’Arcano nella sua forma più pura.
La Vestale gestisce il sapere e alimenta il mistero. Per il Mago invece tutto è potenzialmente chiaro: sa, vuole sapere ed è disposto a far partecipi i migliori delle sue scoperte.
La Vestale, guardiana emblematica, innanzi tutto è guardiana dell’anima, nel senso che la parte conscia della psiche è vigilata dalla parte inconscia.
La Vestale sa di sapere, ma preferisce occultare la verità che è disseminata in moltissimi libri. Ogni libro è una voce discordante dalle altre.
L’unità coerente ed originaria del Mago si è frammentata, suddivisa nella immensa biblioteca, fitta di dualismi, dove ogni libro interpreta un aspetto della verità, ma non la possiede interamente.
La Vestale enuncia la scissione dell’Uno, annuncia ogni tipo di dualismo.
Gli elementi maschili e femminili coesistenti nell’androgino numero 1, ora si sono differenziati e vivono separatamente uno di fronte all’altro, come le due colonne del Tempio che tangibilmente esprimono i dualismi universali più comuni: il giorno e la notte, il bene e il male, il fattore positivo e quello negativo, il conscio e l’inconscio, il maschile e il femminile.
Nell’Arcano della Vestale i dualismi non sono risolti, ma si fronteggiano pronti a produrre un effetto finale, che sarà dato dal risultato dell’incontro/scontro delle rispettive polarità.
La natura della Vestale è pregna di dualismi, li conosce, li controlla, ma tende a mantenerli separati.
Nella Vestale le connotazioni sessuali femminili predominano, ma le pulsioni sessuali vengono deviate in piaceri intellettuali, che talora scivolano verso le perversioni più celebrali.
La Vestale, per temperamento, tende all’isolamento mistico, al fanatismo esoterico, al culto dell’occulto; la sua cerchia di affetti è di tipo particolare, elitario, i suoi iniziati sono pochi e rari.
Sacralità del libro; scriventi e parlanti
Possiamo supporre che esista un sapere innato ed originario che non dipende da apporti e contributi esterni; invece la conoscenza, intesa come prodotto culturale, è frutto dell’azione di coloro che gestiscono ed amministrano la sacralità del libro.
I depositari e custodi di tale sacralità sono i sacerdoti, i profeti, i filosofi, i re, i quali costituiscono una casta a parte, detengono il potere culturale, sociale, politico ed economico. Al di sotto vivono, del tutto emarginati dal meccanismo culturale, gli individui ordinari che si limitano a parlare, a ripetere quanto viene loro inculcato fin dalla nascita.
Il popolo degli scriventi (gli intellettuali produttori di scrittura) domina in tutti i sensi il popolo dei parlanti (i consumatori, i lettori passivi, i fruitori condizionati dai mezzi di comunicazione di massa).
Il sapere della Sfinge è innato ed originario. Il suo sapere atterrisce perché è autentico, profondo e non è il frutto di una manipolazione culturale. Sa di sapere, ma non fa partecipare nessuno ai grandi misteri.
Il connubio Vestale/Sfinge scaturisce direttamente dall’inconscio e genera ogni tipo di meccanismo di controllo della coscienza, di cui il libro è chiaramente il più importante e sofisticato prodotto.
Se i dualismi permanessero eterni senza confrontarsi e trovare un superamento reciproco, il numero 2 produrrebbe un immobilismo universale.
Sfinge ed enigmi esistenziali
La Sfinge custodisce gelosamente un sapere esclusivo a cui il popolo dei parlanti non riesce e non deve accedere in modo alcuno. La funzione della Sfinge appare quella di scoraggiare gli uomini comuni a varcare la soglia del Tempio della conoscenza.
Secondo il mito greco è la Sfinge che propone ai passanti l’enigma che nessuno riesce a risolvere e che solo Edipo ha svelato.
"Chi siamo? Donde veniamo? Dove andiamo?”
Edipo è il sapiente anomalo, il diverso e il popolo degli scriventi vede in lui un pericolo per il potere che essi detengono, di cui la Vestale è depositaria.
La soluzione che Edipo fornisce del celebre enigma della Sfinge non è stata trascritta seriamente su nessun libro, perché essa renderebbe vuota ogni biblioteca e spodesterebbe per sempre il popolo degli scriventi.
In forma poetica abbiamo cercato di dare una forma alla risposta di Edipo.
'Siamo voci silenti nella notte,
veniamo dalle sfere di luce,
risaliamo l'iridescente arcobaleno'.
Noi, figli delle stelle, siamo caduti in un baratro di tenebre e dobbiamo riscoprire le origini, risalendo verso la luce dell’arcobaleno.
La risposta integrale ai quesiti esistenziali è parimenti possibile solamente nelle condizioni dell’uomo originario. Fuori dallo stato di natura la risposta ai quesiti esistenziali è fattibile, ma sempre approssimativa; e verrà sempre messa in discussione dalle forze occulte che controllano il potere e l’informazione.
Tali forze oscure e misteriose verranno analizzate meglio nel capitolo 38: Approssimarsi all’occulto.
Un dato non è da sottovalutare, anzi è essenziale: il mito condanna Edipo, ma dice che Edipo ha risposto, perché ha attraversato, in una breve frazione temporale, quello stato dal quale ci siamo allontanati per sempre.
'La risposta di Edipo è stata ridotta nella forma più ovvia, più immediata, meno celebrale possibile, perché tale è l’essenza stessa del sapere, mentre la conoscenza ha attributi molto più complicati, meno naturali, che è difficile trasmettere, per le barriere che intervengono nel processo di comunicazione interpersonale.
L’Arcano della Vestale tra positività e negatività
L’Arcano della Vestale indica: presenza di un forte contrasto; situazione difficilmente gestibile; persona che non vuole comunicare e farci sapere quello che sa; situazione problematica, propria di un ambiente esclusivo, ristretto a pochi privilegiati; messaggio indecifrabile; ostacolo arduo e forse insormontabile; presenza femminile indifferente e al limite ostile; volontà frustrata di leggere, di conoscere, di attingere l’ineffabile; barriera frapposta sul cammino dell’obiettivo da raggiungere.
Queste sono ovviamente le valenze negative di quest’Arcano quando predominano su quelle positive, che si manifestano in particolare quando l’Arcano è sotto l’influsso della casa numero 3, della casa numero 4 e della casa numero 7; tali positività, discernibili con una certa difficoltà, sono ad esempio la sincera volontà di capire i fenomeni, di comunicare un messaggio, di custodire un segreto che ci è stato affidato, di trasmettere ad altri la nostra sapienza, cosa più difficile di tutte, infatti la comunicazione è sempre alterata da fattori esterni di disturbo di diversa natura.
Connotazione della Vestale nelle 7 case della consultazione
Nella prima casa la Vestale indica che il consultante è assillato da domande a cui non riesce a dare risposta, il che sarebbe abbastanza comune a molte persone, ma in questo caso la questione è vitale e lo coinvolge in pieno. Comunque alcuni degli interrogativi saranno risolti e la sottile negatività della Vestale si attenua perché esiste la possibilità che l’intraprendenza, l’ottimismo e la baldanza giovanile possano farcela contro le forze ostili scese in campo. I dualismi di fatto nella prima casa tendono ad annullarsi ed a comporsi pacificamente.
Nella seconda casa, per la ovvia affinità e reciproca influenza, le valenze negative dell’Arcano si accentuano, diventano più impalpabili, più occulte, ma sono egualmente e forse più minacciose. Enigmi, libri e scriventi sono contrari ai progetti del consultante.
Nella terza casa la negatività della Vestale è latente, sta nascendo proprio allora e può essere in un certo senso contrastata. I dualismi insiti nella Vestale possono essere superati grazie alla presenza di donne che ci sono amiche.
Nella quarta casa le problematiche sono superate perché ne abbiamo capito la natura e siamo in grado di affrontare le circostanze negative. Chi ci è ostile, diventa sempre più prevedibile e alla nostra portata, per cui si scontra con la nostra capacità di reagire, con la nostra sana concretezza che alla fine supererà ogni dualismo.
Nella quinta casa la Vestale simboleggia una presenza, quasi sempre femminile, indifferente alle nostre domande di aiuto, custodisce gelosamente segreti che non riusciamo a capire, ci impedisce di accedere alla meta che desideriamo conquistare, confonde la nostra mente e nasconde la verità.
Nella sesta casa la Vestale eserciterà una certa attrattiva, un certo fascino, riuscirà a bloccare la nostra volontà di reazione e si contrapporrà ad un'altra persona, o situazione, più favorevole o benevola. Noi dovremo cambiare strada ed intraprendere un altro cammino, quello opposto.
Nella settima casa la presenza della Vestale è per molti versi illuminante e i suoi libri possiedono le risposte che cerchiamo e sapremo decifrare. Saremo consapevoli del messaggio e riusciremo a vincere, perché ci saremo evoluti, sul piano intellettuale e morale, grazie ai libri, alle guide spirituali, al superamento dei dualismi sterili.
L’apparato dell’Inquisizione promuove la Papessa
L’idea che fosse una donna a tenere strette tra le mani le chiavi del sapere, ai più, risultò subito odiosa e incomprensibile; ma nello stesso tempo l’Arcano della Vestale, seduta a proteggere il Tempio dalla profanazione del volgo ignorante, dovette anche piacere all’apparato dell’Inquisizione, che condivise la mitica collocazione della Sfinge per atterrire gli incauti viandanti con la sua presenza. Meglio poi se la donna si ammantava di purezza e di santità, ricevendo una sorta d’investitura. La verginità si addiceva al suo ruolo, la depositaria della conoscenza doveva mantenersi casta e non essere profanata come l’inaccessibile Tempio della conoscenza.
Il processo di revisione cambia il nome di Vestale in quello di Papessa: l’ardire degli Inquisitori non ha limiti, conferiscono alla Vestale un potere sacrale che la pone al di sopra dei comuni mortali, perché la sua unzione discende direttamente dall’emissario di Cristo in terra: il Papa. Come a dire anche che ogni conoscenza umana è consentita e legittimata dal Pontefice, dalla sua Chiesa e dal suo apparato di controllo della fede.
Il termine di Papessa, per un certo verso anche blasfemo, invece rafforza il sistema d’idee degli Inquisitori, legittima la concubina del Papa, la consacra a un ruolo di depositaria della fede e rintuzza le offensive degli eretici che accentuano invece la peccaminosa lascivia dei Pontefici e rivendicano la castità come un bene prezioso dello spirito.
La Papessa e i Tarocchi Visconti
La Papessa raffigurata nei Tarocchi Visconti è una donna di fattezze grassocce, il cui paludamento piuttosto pesante copre l’intero corpo e lascia visibili solamente il volto e le due mani. Seduta su una sedia lignea stringe nella destra il sacro pastorale simbolo della fede (identico a quello che il Papa sorregge però nell’altra mano) e nella sinistra un libro chiuso, simbolo del sapere riservato agli eletti e inaccessibile ai profani. Libro e pastorale già di per sé visualizzano un dualismo sostanziale: la ragione da un lato e la fede dall’altro.
I capelli sono coperti da una cuffia che le stringe il viso e lo rende perfettamente ovale. Il copricapo a tre livelli, presenta tre corone, una sull’altra, che si restringono verso il vertice. Si tratta della tiara pontificale. Traspare una figura muliebre totalmente spogliata di ogni attributo femminile di avvenenza. L’abito castiga e imprigiona la Papessa. La castità sacrale è un valore che viene proposto ed idealmente si contrappone alla sensualità peccaminosa. La Papessa non attrae la nostra visione, quasi voglia sfuggirci e rendersi eterea e inafferrabile. La sua personalità appare chiusa, velata, protetta, come quel libro stretto nelle mani e sottratto a ogni ingerenza volgare. Questa icona è stata sottratta dagli Inquisitori alla sua areola pagana originaria ed anche il nome di Papessa tradisce una precisa volontà di ribattezzare la guardiana del Tempio della conoscenza in una figura carismatica familiare. Forse, non sappiamo con quale intenzione, si vuole alludere alla leggendaria figura della Papessa: una donna che realmente ascese al trono di Pietro, riuscendo a nascondere la propria identità femminile e farsi notare per la propria sapienza e acume intellettuale.
Che non sia stata poi proprio una donna a rivendicare con questa allusione storica, la paternità dell’originaria creazione dei Tarocchi? E’ una supposizione anche questa e perlomeno chiarirebbe l’intrigante nome della Papessa, che esce fuori dai canoni ufficiali e comunque suscita in tutti noi un certo scandaloso sdegno.
Non si fa amare e non rimane simpatico quest’Arcano, aristocratico e sprezzante verso il volgo ignorante e ciarliero, ridanciano e sguaiato, rozzo e volgare. Traspare un dualismo intrinseco, essenziale, da questa icona che non si ama, ma si lascia rispettare ed incute in tutti soggezione e rispetto.
Il Tao
1 > 2 < 1
Nel numero 2 confluiscono due unità, differenziate e bipolari. Nel pensiero cinese il Tao è l’equivalente del nostro dualismo, ma assume un significato ben più vasto e profondo che vale la pena analizzare per attingere meglio l’essenza del dualismo presente in natura.
“Tao: il senso esatto della parola cinese è: cammino, via. Tutti i concetti della filosofia cinese si possono ricondurre alla contrapposizione tra yin e yang. Esso non è affatto la somma, perché yin e yang si sostituiscono a vicenda l’uno all’altro, o sussistono simultaneamente, ma in rapporto di opposizione. Si potrebbe considerare il Tao, ma una definizione è sempre riduttiva, come il regolatore della loro alternanza. Si spiegherebbe così la regola essenziale che si trova alla base di ogni mutazione, reale o simbolica; ciò permetterebbe di considerarlo come un principio d’ordine, che governerebbe indistintamente l’attività mentale e il cosmo.” (Dizionario dei simboli, Tao, BUR)
Equivalenze cabalistiche
2 = 1 + 1
La Vestale riproduce il Mago come in uno specchio che sdoppia la personalità dell’Uno e crea un magico antagonismo speculare tra le due creature opposte: Ogam e il Mago, le due polarità opposte si fronteggiano, come il misterioso ed oscuro inconscio posto di fronte alla schietta e luminosa coscienza.
2 = 0 + 2
Lo zero ovviamente precede anche il numero 2, ma la Vestale è sempre sé stessa e non si lascia ridurre ad altro, i suoi mutamenti sono repentini ed imprevedibili, non si lascia imprigionare entro uno schema logico, piuttosto è calamitata verso l’abisso della follia.
Dal punto di vista geometrico la figura che meglio rappresenta il numero 2 è costituita da due punti, posti su di una linea retta.
Scrive Joseph Needham “La scienza è stata obbligata a ‘modernizzarsi’…e a prendere in considerazione le parti dell’universo, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. La filosofia dell’organismo non era un prodotto del pensiero europeo: sospettiamo che essa nella sua forma sistematica confuciana possa avere influenzato Leibniz. …Fra tutti gli studi e le scoperte effettuate da Leibniz sulla Cina, si rinviene un’interpretazione matematica dei diagrammi del Libro dei mutamenti… Questa storia straordinaria è riferita da H.Wilhelm in ‘Leibniz and ‘I Ching’…A Leibniz venne in mente che sarebbe stata possibile ed anche utile un’aritmetica avente come base il 2…Leibniz s’era messo in contatto con un missionario gesuita in Cina, Joachin Bouvet, il quale era particolarmente interessato al Libro dei Mutamenti e col quale Leibniz intrattenne una lunga corrispondenza dal 1697 al 1702. …gli esagrammi dell’I Ching potevano essere interpretati come un’altra maniera di scrivere numeri secondo il sistema binario, se si fossero prese le linee continue per rappresentare l’1 e le linee spezzate per rappresentare lo zero…”
Le linee essenziali del presente Discorso ci portano a fare le seguenti affermazioni: il Nulla originario è una pura astrazione concettuale; Il Nulla semplicemente non è, non diviene, non genera, non occupa spazio; il caos originario è un ammasso indifferenziato, un non-essere da cui scaturiscono tutte le possibili essenze originarie; l’essenza pensa se stessa con una precisa forma e finalità e la sua dimensione è puramente concettuale.
L’alambicco della coscienza.
Assorto a distillare, nell’alambicco della coscienza, il caso con la Cabala, lo scettico artefice dei Tarocchi insegue l’entità spuntata dall’indistinto e nascosta nei labirinti della memoria.
Gli occhi stanchi si sentono colpevoli dell’ignoranza.
Il filosofo incespica sulle parole che un oscuro demone apparecchia apposta per non farsi trovare.
Fuori dallo stato di natura nessuno riesce più a condividere le emozioni e le vibrazioni affievolite non trovavano le giuste corrispondenze.
Le celesti doti restano confinate nella poesia e nel quotidiano chiacchiericcio si snoda l’esistenza violenta e vuota.
Il resto del vivente in silenzio mostra indifferenza verso il destino dei Catari ingiustamente perseguitati.
Le verità, talora faticosamente agguantate dai viandanti del sapere, si smarriscono nell’oblio risorgente che tutti confonde.
Si ripropone sempre l’interrogativo esistenziale perpetuato in una scalata infinita.
Il dannato Sisifo, che spinge il masso verso la vetta della montagna e nuovamente ripete la medesima fatica, incarna la metafora perfetta della condanna che il censore in ascolto riserva all’umanità, fino al giorno liberatore dell’Apocalissi.
Non sapere: per smarrirsi nel labirinto delle ipotesi e scontare il peccato originario.
Capitolo 17
Arcano Numero 3: l'Imperatrice
Sentenza guida
La madre dei tuoi figli sia l’Imperatrice del tuo cuore.
Abbracciala, rispettala, stringila forte.
Eterna apparenti e passeggeri
momenti di tenerezza con preziose carezze.
Il corpo sia fonte di piacere.
Impara a conoscere i flussi energetici
che attraversano le tue fibre.
Afferra l’eterno in un carnevale d’abbracci.
Spontaneo amore ti sorrida.
Notti d’incanto ti aspettano.
Afferrale. Non macerarti nell’astinenza e nel digiuno.
Chi ti promette il Paradiso il cielo
disconosce il divino che alimenta
l’infinitamente piccolo.
Cellule fatate e miracolose
costruiscono organismi
perfetti, prima che il peccato originario
turbasse l’equilibrio e l’armonia primordiale.
Approccio critico all’Imperatrice
Una ricostruzione dell’Arcano originario
Sovente abbiamo riflettuto su una plausibile e quanto più veritiera possibile ricostruzione dell’Arcano originario.
L’Imperatrice (Arcano numero 3) a ridosso dell’Imperatore (Arcano numero 4) appariva a prima vista intoccabile. Logica la sua collocazione, il suo ruolo. Tuttavia possiamo ipotizzare che la nomenclatura e l’effigie originaria dell’Arcano numero 3 sia stata mutata dagli Inquisitori che si erano trovati di fronte ad una Dea-Madre, pagana gravida e nuda, divenuta poi la solenne Imperatrice, sposa legittima dell’Imperatore.
Ad un osservatore, a prima vista, tale ricostruzione potrebbe sembrare un’apparente forzatura, anche del tutto gratuita e senza un fondamento. Tuttavia noi eravamo rimasti sorpresi da un’anomalia iconografica, alquanto illogica, quando alla fine del ciclo degli Arcani maggiori, nella versione dei Tarocchi di Marsiglia, alla posizione numero 21, avevamo incontrato una donna, nuda e gravida che danza entro un uovo primordiale, simbolo della vita e della genesi del mondo. Tale Arcano numero 21, nei Tarocchi più antichi, i Visconti, veniva raffigurato in una maniera del tutto naturale, con un mappamondo sorretto da alcuni amorini alati, come illustreremo più avanti in maniera approfondita e dettagliata.
Per quale ragione sia scaturita fuori, ad un certo momento storico, invece una raffigurazione alquanto cervellotica ed innaturale del Mondo è del tutto inspiegabile; a meno che alcuni miniaturisti (forse poco ispirati, o forse ben motivati: questo dilemma non lo scioglieremo mai) si siano rifatti ad una versione anteriore a loro nota, di cui non abbiamo oggi più traccia, ed abbiano voluto invece trasferire l’Imperatrice originaria, la Dea-Madre pagana gravida e nuda al posto oggi occupato dal ventunesimo Arcano numero.
Quindi potremmo sostenere, con una certa ragione, che non solamente la nomenclatura, ma l’effigie originaria dell’Arcano numero 3 fu volutamente mutata dagli Inquisitori: la Dea-Madre divenne la casta Imperatrice, sposa legittima dell’Imperatore. Tale sottile metamorfosi parrebbe alquanto naturale e anche logica, perché rispetta il sistema degli Arcani maggiori e lo legittima, rendendolo anche più coerente, secondo l’ottica medioevale.
L’Arcano originario, la Dea-Madre fu integralmente rivisitato, ed a ragione, secondo le prospettive degli Inquisitori, che affidarono alla casta e fedele Imperatrice il ruolo della madre, della donna che genera altra vita.
L’Imperatrice raffigurata nei Tarocchi Visconti
L’Imperatrice raffigurata nei Tarocchi Visconti indossa un doppio mantello: il primo inferiore, più ampio e meno vistoso è azzurro, il secondo superiore è damascato d’oro.
“L’azzurro è il colore più profondo: lo sguardo vi affonda senza incontrare ostacoli e si perde all’infinito, come se il colore si sottraesse indefinitamente. L’azzurro è il colore più immateriale: in natura è presente solo come trasparenza, fatto cioè di vuoto: vuoto dell’aria, vuoto dell’acqua, vuoto del cristallo, vuoto del diamante. Il vuoto è esatto, puro e freddo. L’azzurro è il colore più freddo e il più puro in valore assoluto, ad eccezione del vuoto completo del bianco neutro. L’insieme delle sue funzioni simboliche dipende da queste qualità fondamentali.
L’azzurro alleggerisce le forme di un oggetto, le apre, le disfa. Una superficie dipinta d’azzurro non è più una superficie, un muro azzurro cessa di essere un muro. I suoni e i movimenti, come le forme, svaniscono nell’azzurro, vi annegano, si dileguano come un uccello in cielo. In sé immateriale, l’azzurro smaterializza tutto ciò che si avvolge in esso. E’ la via dell’infinito dove il reale si trasforma in immaginario.” (Dizionario dei simboli, voce Azzurro, BUR)
“L’oro è considerato tradizionalmente come il metallo più prezioso, il metallo perfetto. In cinese lo stesso carattere chin designa oro e metallo. Ha lo splendore della luce; l’oro, si dice in India, è la luce minerale, ha carattere igneo, solare e reale, cioè divino. In certi paesi la carne degli dei è fatta d’oro, così come lo era quella dei faraoni egizi. Le icone del Buddha sono dorate, segno d’illuminazione e di assoluta perfezione. Il fondo delle icone bizantine, e talvolta anche quello delle immagini buddhiste, è dorato: riflesso della luce celeste. In diverse regioni, e particolarmente in estremo oriente, si ritiene che l’oro nasca dalla terra. Il carattere chin primitivo evoca le pepite sotterranee. Esso sarebbe il prodotto della gestazione lenta di un embrione o della trasformazione, del perfezionamento dei metalli volgari. E’ il figlio dei desideri della natura. L’alchimia si limita a completare, ad accelerare la trasmutazione naturale: non crea la materia originaria…. La trasmutazione è una redenzione; la trasformazione del piombo in oro, direbbe Angelo Silesio, è la trasformazione dell’uomo da parte di Dio in Dio. Questo è lo scopo mistico dell’alchimia spirituale. L’oro-luce è generalmente il simbolo della conoscenza, è lo yang essenziale. L’oro dicono i Brahmana, è l’immortalità. Di conseguenza in Cina, come in India, si sono preparate droghe di immortalità a base di oro….
Occorre ricordare inoltre, a proposito della perfezione, della primordialità dell’Età dell’Oro tradizionale, le età seguenti (dell’argento, del bronzo, del ferro) che segnano le tappe discendenti del ciclo…
L’oro è un tesoro ambivalente. Se il color oro è un simbolo solare, l’oro-moneta è un simbolo di perversione e di esaltazione impura dei desideri.” (Dizionario dei simboli, voce Oro, BUR)
Visibili dentro il fogliame, avvolti da motivi floreali, spiccano due simboli: ripetuto per 2 volte: il diadema imperiale, interposto in mezzo a tre file di anelli che si intrecciano. Una corona ne cinge il capo. Sorregge un piccolo scudo di foggia strana, entro il quale volteggia un piccolo rapace, forse un rapace notturno, secondo alcuni l’aquila imperiale. Lo stesso abito, con qualche sostanziale variante, caratterizza l’Imperatore ed accomuna le due icone sul piano dell’abbigliamento. Gli anelli che si intrecciano, legati indissolubilmente l’uno nell’altro, stampati sull’abito dell’Imperatrice sono 3 per 3.
L’anello simbolicamente sottolinea sempre un legame, un’appartenenza. I cavalieri portavano un anello d’oro. Per i religiosi rappresenta il matrimonio mistico con il signore. L’oro è considerato tradizionalmente come il metallo più prezioso, il metallo perfetto. I due mantelli, azzurro e oro, dell’Imperatrice simboleggiano i dualismi che si compongono, nella suprema sintesi del numero 3. Gli anelli associati all’Imperatrice sono d’oro, lo è anche l’abito, lo è la corona, anche lo scudo è dorato. Biondi sono i capelli e gialla la sciarpa che le cinge il collo. Il carnato non è pallido, ma vivo.
Per tre volte attiva la Dea originaria, preposta a raffigurare l’Arcano numero 3, era in piedi, camminava e trasmetteva la vita. I revisori dell’Inquisizione ce la raffigurano seduta, immobile ed un ampio manto ne nasconde la gravidanza, in più alla donna viene conferito il ruolo tutto gerarchico dell’Imperatrice. Poco importa che la sposa dell’Imperatore non abbia mai svolto nell’età medioevale una funzione di primo piano e che sia stata poco più di una comparsa, destinata solamente a procreare e che in molti casi le siano state preferite le favorite della corte.
L’Imperatrice serve per riportare l’Arcano della Dea entro il sistema dei valori della civiltà medioevale, l’unico vero baluardo alle forze disgregatrici dell’eresia. Non assicura forse l’Imperatrice la legittima discendenza del potere?
La Dea-Madre raffigurata nell’Arcano originario
Una donna gravida danza nuda entro una ghirlanda ovale di foglie. Il suo capo è cinto da una corona, sulla cui punte sono poggiate tre stelle; la sua mano destra assicura uno scettro: un piccolo scudo triangolare, entro il quale volteggia una piccola aquila, che rammenta i poteri della Dea-Madre, che, in virtù delle ampie ali di cui è dotata, può muoversi liberamente nel firmamento e sul globo terrestre.
Solamente la Dea-Madre è in grado di assimilare e trasformare la preziosa energia contenuta nei corpi astrali e di dispensarla alle creature mortali che ne bisognano e la meritano. Se incarna tutte le potenzialità del cielo, non è estranea alle vibrazioni dei corpi terreni e ciò le conferisce una doppia natura: divina ed umana. Pertanto svolge una funzione di mediazione tra il piano astrale e quello materiale, mantiene i legami tra cielo e terra.
Ha deciso di lasciare i lidi di luce per immergersi nei flutti del mare: grande creatura acquosa che unicamente sa alimentarsi, inglobare e riflettere tutte le energie emanate dagli astri del firmamento. Le vitalissime facelle astrali penetrano nelle viscere acquose e fecondano la spuma del mare.
La Dea-Madre si è lasciata irrorare. Questa temporanea incarnazione nel mondo le ha fatto perdere gran parte dei suoi attributi divini: le acque hanno dissolto la corona, lo scettro e le ali, ma in cambio hanno reso possibile una nuova vita. Dell’antico splendore conserva le bionde chiome, lunghe e fluenti, che hanno il riflesso dello splendore del sole, mentre gli occhi sono ancora splendenti come due gemme di smeraldo.
I venti sospingono le acque dell’Oceano sul litorale; altissime dune di sabbia ne sbarrano il passo e indicano là dove comincia il dominio della terra. Sta risalendo lentamente il versante marino della bianca duna, un poco affaticata dal peso del corpo che affonda nella sabbia. La sua bellezza non è andata svanita. La tunica azzurra luminosissima, che avvolge la sua già visibile gravidanza, la rendono ancora più desiderabile.
L’Arcano numero 3 consta idealmente di tre porzioni: la Dea-Madre prima della gravidanza in alto a destra, la Dea-Madre gravida in alto a sinistra: in basso il feto della creatura che deve nascere.
L’Arcano della Dea-Madre, coronata da un diadema di stelle prima, che esce gravida dalle acque del mare poi, ci rammenta la mitica Venere ed indica il ruolo primario che la Donna esercita nel trasmettere la vita, oltre che tutto il fascino della bellezza femminile.
Per tre volte attiva la Dea-Madre è in piedi, cammina e trasmette la vita.
Il numero 3 viene considerato il numero perfetto per eccellenza, in quanto consente il superamento dei dualismi antecedenti in una sintesi superiore e sublime.
La Dea-Madre dà alla luce il Figlio delle Stelle
La Dea-Madre si fa donna, si incarna, passa dal sottile al denso e quindi perde alcuni dei suoi attributi divini che le sono serviti per concepire una creatura e che verranno riacquistati solamente dopo aver dato alla luce il Figlio delle Stelle.
La trasformazione delle energie sottili in materia organizzata costituiscono uno dei grandi misteri a cui i Tarocchi alludono.
Il flusso energetico maschile attivo delle Stelle è stato raccolto dal corpo femminile, dal disponibile recipiente della Dea-Madre, che nel proprio Figlio trasfonde tutte le proprie qualità.
Concepimento, gestazione e parto sono tre operazioni impossibili senza l’auspicio degli Dei propizi.
La Triade - Stelle, Dea-Madre, Figlio - trova una sua visualizzazione nella figura geometrica del triangolo che delimita uno spazio chiuso.
La Dea-Madre gravida va vista come una figura altamente positiva, perché è dotata di un grande amore verso tutte le creature, possiede doti spirituali, nonché belle forme corporee.
L’Amore di questa Dea Venere, nata dalla spuma del mare, può assumere tutte le tonalità: da quello filiale, a quello più carnale.
L’Amore della Dea-Madre è trasparente, solare, cristallino, puro, naturale, per nulla viziato da complicazioni intellettuali. E’ attrazione fisica spontanea, amore a prima vista, senza secondi fini, esente da limitazioni religiose e culturali. L’amore della Dea-Madre è spontaneo, primitivo e non conosce tabù.
La Dea-Madre immacolata ignora il peccato di Adamo e la sua nudità è innocente.
La Dea-Madre non sa cosa sia il pudore, perché non ha nulla da nascondere.
Se la Vestale è depositaria di una conoscenza prodotta artificialmente, la Dea-Madre è depositaria di un sapienza naturale, che non è velata, o nascosta, ma sta di fronte agli occhi di tutti quelli che intendono vedere.
Non è casuale che la Dea-Madre ostenti felice e soddisfatta la propria gravidanza. Sarà in grado di partorire sorridendo e senza provare dolore. Solo dei fattori esterni negativi potranno inquinare la sua gioia e mettere in pericolo la gravidanza.
Le valenze dell’Arcano numero 3
L’Arcano della Dea-Madre indica concepimento, gestazione, parto imminente, la nascita di qualcosa di positivo, il profilarsi di un evento favorevole, la soluzione di una questione, la composizione di un dualismo, l’arrivo di una notizia propizia, la presenza di una creatura superiore inviata dal cielo per venirci in aiuto. Di solito l’Arcano apre la strada ad un progetto a lungo coltivato e che giungerà a buon esito, perché i flussi astrali sono sostanzialmente benefici.
La valenza di questo Arcano è generalmente sempre positiva, mentre la valenza negativa si estrinseca in un parto difficile e prematuro, in una gravidanza osteggiata, in una difficile soluzione dei contrasti emersi.
Quando l’Arcano della Dea-Madre va a cadere nella prima casa avremo in più l’apporto della vitalità giovanile, una ventata d’ottimismo e molta intraprendenza in più, favorevole a chi consulta l’oracolo fornito dai Tarocchi.
Nella seconda casa fanno la loro comparsa le valenze negative e la gravidanza incontrerà diversi ostacoli nel suo cammino, ma le forze antagoniste comunque non prevarranno.
Nella terza casa la positività generale è come amplificata, estesa al contesto circostante.
Nella quarta casa l’Arcano della Dea-Madre estende i suoi effetti benefici sulle figure maschili e sull’autoritarismo paterno che sarà più premuroso, pietoso, affettuoso, verso i figli e i componenti della famiglia.
Nella quinta casa la Dea-Madre assume una connotazione più impalpabile, misteriosa, meno evidente, il suo ruolo è sottile ma egualmente intenso.
Nella sesta casa la Dea-Madre si pone direttamente in contrasto con un'altra donna che ugualmente esercita un fascino di tipo diverso ed attrae il maschio lontano dalla famiglia, dagli affetti filiali.
Infine nella settima casa l’Arcano della Dea-Madre viene in aiuto di chi la invoca e trionfa sull’intera vicenda e estendendo su tutti la sua benefica influenza.
Il Figlio delle Stelle: un emissario degli Dei
Ciò che non è visibile è altrettanto se non più importante di quello che l’Arcano ci suggerisce indirettamente.
Il Figlio delle Stelle testimonia che il mondo non è stato lasciato in balia del Male, ma che la nascita di un emissario degli Dei è sempre possibile.
Ovviamente il Dio del Male (che noi preferiremmo battezzare con il termine inconscio originario collettivo) questo lo sa perfettamente ed è costretto anche per questo a mimetizzarsi, a presentare la sua faccia buona e a diffidare di qualsiasi uomo riesce ad accostarsi a lui. Nel timore di essere scoperto, il lato buono costruisce la sua maschera migliore, ma è proprio l’ansia stessa mal dissimulata a generare una sorta di sospetto eterno e di conflittualità permanente.
Secondo le tesi espresse dai fautori del manicheismo antico (condannati poi anche da un Concilio della Chiesa cristiana) esisteva un Dio del Male, assai più potente, che si contrapponeva al Dio del Bene. Il filosofo Jean Paul Sartre, nel superbo lavoro teatrale Il Diavolo e il Buon Dio, ha riproposto la dicotomia, proponendo una sua versione in linea con l’esistenzialismo ateo.
La caccia all’eretico, al diverso non è che una tappa di questo silenzioso conflitto che viene combattuto con mille astuzie e camuffamenti da parte del Dio delle Tenebre contro l’avvento del Figlio delle Stelle, la cui azione spalancherà le porte all’Apocalisse e al trionfo del bene sulla bestia satanica.
La trasformazione delle energie sottili in materia organizzata costituiscono uno dei grandi misteri a cui i Tarocchi alludono in maniera evidente proponendo una visione del mondo politeista e non monoteista.
La Dea-Madre immacolata ignora il peccato di Adamo e la sua nudità è innocente. Per la censura degli Inquisitori questa nudità, sposata ad una ostentata gravidanza è doppiamente scandalosa e riprovevole.
Alla luce della Cabala, abbiamo scoperto il sapiente inganno dei revisori dell’Inquisizione; su di esso torneremo a parlare in seguito quando tratteremo più ampiamente dell’Arcano numero 21.
Analisi cabalistica dell’Arcano numero 3
Il corrispettivo geometrico del numero 3 è il triangolo con la punta rivolta verso il basso. Esso indica il processo d’incarnazione, il passaggio dal sottile al denso, la materializzazione in un organismo la cui durata nel tempo è limitata.
3 = 1 + 2 + 3 = 6
Secondo la Cabala il numero 3 si riflette nel numero 6. Il primo triangolo, con la punta rivolta verso l’alto, genera un secondo triangolo con la punta rivolta verso il basso. L’amore ha anche una duplice natura: quella divina spiritualizzante e quella materiale intrisa di umori fisiologici, di emozioni, di passioni. Uno è l’amore, che presenta due facce e la Dea-Madre le vive entrambe in maniera naturale, le sintetizza, essendo la personificazione del numero tre.
3 + 3 = 6
Il numero 3, sintesi divina, a sua volta si proietta in un’ulteriore opposizione: l’amore sacro e l’amore profano, entro cui il numero 6 sta immobile ed indeciso sul cammino che dovrà seguire.
La Dea-Madre sa essere tale, ma nello stesso tempo non rinnega la propria condizione umana. Per questo il suo amore non è solo ideale, puro, divino, ma anche amplesso carnale, senza limitazioni. La Dea-Madre ci illustra i caratteri complessi dell’amore e bandisce sia il casto misticismo degli asceti, quanto gli amplessi meccanici, senza trasporto.
Che la natura dell’amore sia duplice, lo illustra chiaramente un’analisi cabalistica del numero 3.
Esaminiamo le equivalenze:
3 = 2 + 1
3 = 1 + 2
Nella prima la dualità spirito-corpo prende il sopravvento sull’unità, nella seconda l’unità oscura la dualità.
La Dea-Madre può con i poteri propri del Mago far parlare la Vestale, spalancare la porta del Tempio della conoscenza; mostrare il volto veritiero del Dio del Male; oscurare l’inconscio originario collettivo.
Capitolo 18
Arcano Numero 4: l'Imperatore
Sentenza guida
L’Imperatore condensa
le energie morali del saggio:
sapere e volere, osare e tacere.
Assimila le valenze dell’Arcano numero 4,
capta i quattro elementi fondamentali
e lasciali scorrere
come un rivo in piena nella coscienza.
Orienta e controlla l’Imperatore in te celato
per non cedere alle tentazioni dell’autoritarismo.
Assecondalo per rintuzzare l’egoismo del prossimo
e non essere schiavo delle entità malevole
poste a turbare il tuo quieto cammino.
Coltiva l’arte del silenzio,
per non dissipare invano le tue preziose energie,
e parla solo quando è indispensabile.
Impara a conoscere e a valorizzare l’essenza
delle 4 lettere dell’Imperatore.
Ascolta la voce degli Dei artefici
che alimenta il quarto Arcano.
R O T A
O R A T
T A R O
A T O R
Ricostruzione dell’Icona dell’Imperatore
4 sono i gradini che precedono il trono dell’Imperatore. Nel mezzo di ciascun gradino di marmo pario spicca un quadrato, diviso in quattro parti uguali dalle sue diagonali, che formano come tante piramidi a base quadrata viste dall’alto.
Ciascuna piramide-prospettica ha una coloritura differente: una di marmo completamente bianco, un’altra totalmente scura, una con i triangoli orizzontali bianchi e quelli verticali scuri, un’altra viceversa con i triangoli orizzontali scuri e quelli verticali bianchi; ciascuna è contrassegnata dai quattro simboli alchemici dell’aria, dell’acqua, della terra e del fuoco, ripetuti quattro volte ciascuno.
Secondo il calcolo cabalistico
4 = 1 + 2 + 3 + 4 = 10 = 1 + 0 = 1
il quattro contiene e riassume in sé l’apice del concreto, ovvero il dieci, e l’apice della spiritualità, ovvero l’uno. La stessa natura del quattro poi si riflette nella figura geometrica della piramide: quaternaria nella sua base, ternaria nei suoi lati, binaria nella sue diagonali di base, unitaria nel suo vertice: sintesi e tutto del corpo geometrico.
Queste piramidi-prospettiche, simboleggiano il potere dell’Imperatore ripetuto quattro volte, secondo una logica cabalistica che trova applicazione anche nella struttura del trono, che, essendo perfettamente cubico, amplifica nello spazio la forma del quadrato ed esprime il consolidamento del quattro.
Simbolicamente i due triangoli bianchi esprimono una disposizione spirituale, creativa, i due scuri invece indicano un atteggiamento passivo, in grado di assorbire ogni influenza esterna.
Visualizzazione delle quattro virtù:
sapere e volere, osare e tacere
La disposizione dei triangoli, inscritti nei quadrati, e pure la relativa tonalità cromatica simboleggiano le quattro virtù della perfetta saggezza ermetica.
Il volere è espresso da quattro triangoli bianchi, infatti colui che vuole deve sapere quello che cerca, per cui è doppiamente attivo.
Il sapere è espresso da quattro triangoli scuri, infatti colui che sa è doppiamente passivo perché non si lascia influenzare dai fattori esterni illusori e non si lascia sondare mentalmente da chi vuole appropriarsi del suo sapere senza esserne degno.
L’osare è espresso da due triangoli orizzontali scuri e da due verticali bianchi, infatti colui che osa è stimolato ad agire e reprime in sé le sensazioni di paura.
Il tacere è espresso da due triangoli orizzontali bianchi e due verticali scuri, infatti colui che tace solo apparentemente non è attivo e non rivela i propri pensieri, ma nello stesso tempo è portato ad ascoltare le voci altrui.
La piramide a base quadrata visualizza la Grande Tetrade: essendo nel medesimo tempo unitaria, in quanto si compone di 1 vertice che ne è la sintesi geometrica, binaria, essendo 2 le diagonali di base, ternaria, essendo 3 i lati delle facce triangolari, quaternaria, essendo 4 i lati della base quadrata. Le virtù hermetiche discendono direttamente dal numero 4 e visivamente sono simboleggiate da una piramide a base quadrata, vista dall’alto e dai 4 toni cromatici differenti.
I triangoli bianchi indicano un’attitudine mentale attiva; i triangoli neri invece denotano una disposizione mentale passiva.
Chi tace sa essere passivo solamente per metà, in quanto sa essere ricettivo ed è in grado di captare quello che più lo interessa.
Chi osa è attivo solo per metà e non agisce in maniera impulsiva e disordinata; sa quel’è l’obiettivo che si prefigge di raggiungere ed è in grado di controllare la paura.
Chi sa è doppiamente passivo: non si lascia influenzare dalle suggestioni esterne e non si lascia sondare mentalmente da altri.
Chi vuole è doppiamente attivo: conosce la natura di quello che sta cercando ed è in grado di influire sui fattori esterni che possono ostacolarlo.
Corrispondenze tra i 4 elementi fondamentali della vita e le 4 virtù del saggio
Il numero 22 è riducibile a 4, esso visualizza gli elementi fondamentali della vita distribuiti nel segno dei dualismi contrapposti (22).
La somma naturale dei primi quattro numeri, 1 + 2 + 3 + 4 genera il 10: base del sistema numerico decimale e visualizzazione del divenire, descritto come genesi del numero uno accostato allo zero originario.
Già Pitagora disponeva nello spazio la sacra tetrákis: 1 il punto originario, 2 i punti che individuano la linea, 3 i punti necessari per definire una superficie triangolare, 4 i punti utili per costruire un tetraedro.
La forza cabalistica del quattro principia nella filosofia greca, attraversa l’alchimia e arriva fino agli insegnamenti della fede cattolica.
I quattro elementi fondamentali della vita: fuoco, terra, aria e acqua; si tramutano nelle quattro virtù del saggio: volere, osare, sapere e tacere; denominate poi quattro virtù cardinali: fortezza, giustizia, prudenza e temperanza.
L’alchimia degli elementi si riflette nelle virtù praticate dal saggio e dal credente.
Secondo la fede ebraica, l’ineffabile Dio si manifesta in un tetragramma sacro di quattro lettere impronunziabili.
Nell'ebraismo antico, il nome di una persona contrassegnava la realtà più intima del suo essere. Pronunciare un nome equivaleva a entrare in contatto profondo con questa persona, che in tale modo era posseduta e dunque, in un certo senso, si poteva esercitare un potere quasi magico su di lei.
Anche il santo nome di Dio indicava la sua stessa essenza ed era considerato impronunciabile. Di conseguenza i rabbini preferivano leggere Adonay quando incontravano Yahvé (antico tetragramma ebraico
Il comandamento biblico, ‘non nominare il nome di Dio invano’, trova il suo fondamento nella natura del dio ineffabile. Il Signore non può essere descritto con parole, sempre inadeguate, che non riuscirebbero ad attingerne l’essenza.
I Trionfi, con aristocratica postura e sguardo fiero, incarnano 22 enti specchio dell’esistente e trovano, grazie ai numeri, una loro esplicazione naturale, che ne chiarisce la genesi.
Gli Arcani maggiori descrivono la vita nelle sue poliedriche sfaccettature e corrispondenze; indicano i nessi tra macro e microcosmo.
La forma del trono dell’Imperatore
e le quattro facce visibili del cubo
La forma del trono è perfettamente cubica ed è stata squadrata usando un solo blocco di marmo pario. E’ così pesante che ci vogliono undici giganti – simbolo della forza terrena - per rovesciarlo.
Sulle quattro facce visibili del cubo sono stati incisi i quattro ideogrammi degli elementi fondamentali: il triangolo, con la punta rivolta verso l’alto, visualizza la fiamma che brucia e indica il Fuoco; il triangolo, con la punta rivolta verso il basso, indica l’Acqua pronta ad essere versata nella coppa; l’Aria, assimilata alla vitalità del fuoco, è resa passiva da un tratto orizzontale; mentre la Terra, più vicina all’acqua, è solidificata ed appesantita da un tratto orizzontale.
Fuoco, Terra, Aria ed Acqua
L’elemento Fuoco è caldo e dinamico. Senza un principio caldo, un’energia originaria la vita non si può sviluppare. Il numero 1, il Mago, può benissimo essere assimilato al principio attivo del Fuoco.
L’equivalenza cabalistica 19 = 1 + 9 = 10 = 1 + 0 = 1 ci conferma che il Sole e il Mago in un certo senso si equivalgono.
L’elemento Terra è freddo e statico, questo può essere ricondotto al numero 2, la Vestale custode di una conoscenza di per sé inerte che ha bisogno di essere ravvivata dal Fuoco del sapere originario del Mago.
Si badi bene che è il raffreddamento del Fuoco a generare la Terra, ossia il due discende dall’uno.
L’elemento Aria va visto come una forza generata dal Fuoco che è caldo e dalla Terra che è fredda. L’Aria è figlia del Fuoco, elemento maschile e della Terra, elemento femminile. Assimilabile al numero tre, l’Aria si materializza nella forma della Dea. A sua volta l’Aria può essere ora calda ed ora fredda, a secondo dei casi.
L’Acqua, il quarto elemento completa gli elementi fondamentali della vita e a sua volta scaturisce dall’incontro della Aria calda con quella fredda.
Fuoco, Terra, Aria ed Acqua definiscono il sistema mondo di cui l’Imperatore è il simbolo.
Analisi cabalistica dell’Arcano dell’Imperatore
Assiso maestosamente sul trono, l’Imperatore del mondo estende il suo potere assoluto e senza limiti sulle cose materiali.
L’autorità indiscussa dell’Imperatore viene esercitata sui vari regni del concreto. I feudatari minori e i vassalli gli devono obbedienza e rispetto. Senza di lui il mondo cadrebbe nella ingovernabilità, in una progressiva anarchia disgregatrice, che inevitabilmente porterebbe al disordine e al Caos.
4 = 1 + 2 + 3 + 4 = 10
L’equivalenza cabalistica mostra che il potere dell’Imperatore incontra i suoi limiti oggettivi nella imprevedibilità della Ruota, che può accrescere o dissolvere le fortune legate al trono; inoltre il potere, se vuole prosperare e non andare incontro ad ostacoli e sconfitte, deve sapere armonizzare i dualismi esistenti e far scaturire una soluzione ispirata all’imparzialità dell’Uno, capace di generare buone leggi valide indistintamente per tutti. Ogni abuso della feudalità va punito con fermezza e rigore, perché tutti debbono essere sottomessi alle leggi emanate dall’Imperatore.
Per consolidare il suo potere e fortificarlo contro i vari nemici, l’Imperatore non può fare a meno del sostegno della magia e fa proprie le quattro virtù ermetiche: sapere, tacere, osare e volere
Per questo l’Imperatore ostenta pubblicamente - strutturando una grande messa in scena teatrale destinata a tutti - le prerogative magiche su cui il suo potere si fonda.
Una forza oscura però minaccia in maniera subdola la sua autorità che è attaccata da un altro potere d’ordine superiore, personificato dal Gerofante, il quale apertamente già rivendica il controllo indiscusso sulle coscienze dei sudditi.
Dunque il trono, nonostante la sua apparente solidità, può vacillare. Il soprannaturale soltanto può far breccia all’interno del potere assoluto e l’Imperatore è consapevole di essere minacciato da qualcosa che non riesce a controllare.
L’uomo più potente della terra scopre così i propri limiti, avverte paradossalmente la propria impotenza, la propria fragilità di creatura corruttibile e mortale. L’Imperatore è solo nel suo potere e nella sua lotta contro la forza di ordine superiore. L’assolutismo di facciata viene messo in crisi, ridicolizzato, perché l’esistenza, nel suo fluire imprevedibile, sfugge ad ogni schema, o progetto.
Pubblicamente l’Imperatore si mostra sicuro di sé, vincente e non ammette di poter essere soverchiato. Solo il pieno possesso e controllo delle 4 virtù ermetiche garantisce un potere gestito con saggezza, lungimiranza e rispetto della persona umana.
L’etica filosofica assicura e consolida il buon governo; mentre, senza la luce della virtus, il potere degenera, diventa intollerante, brutale, cieco.
Esaminiamo le equivalenze cabalistiche:
4 = 1 + 3
4 = 2 + 2
In base alla prima l’Imperatore deve utilizzare le facoltà illusioniste del Mago per fare leva sulla credulità popolare e mostrarsi magnanimo e materno come la Dea-Madre. Sostanzialmente il potere vive e sopravvive grazie alle grandi messe in scena predisposte per le masse ed in ogni caso deve mentire.
In base alla seconda equivalenza l’Imperatore deve conoscere la doppiezza insita nei misteri. I misteri artificiali sono alimentati da una casta sacerdotale, detta il popolo degli scriventi, che li diffonde e li consolida per estendere i suoi influssi e il suo potere sul popolo dei parlanti. I misteri primi, indipendenti dalla volontà dell’uomo, in parte sono generati dall’inconscio originario collettivo per proteggere se stesso, in parte dagli Dei per punire l’uomo del suo peccato di orgoglio. Questa equivalenza ci dice molto di più della prima sulla vera natura del numero quattro: unico fra tutti ad unire la doppia valenza del numero 2. Il vero potere non consiste nel dominare su sudditi anonimi ed idioti, ma afferrare la natura duplice dei misteri, espressi dal numero 2 ripetuto due volte.
La prima equivalenza svela la natura materiale del potere, la seconda i fondamenti etici dello stesso.
La vocazione alchemica - magica dell’Imperatore
Una sottolineatura a parte merita la vocazione alchemica - magica dell’Imperatore, il quale aspira a dominare i 4 elementi fondamentali della vita: l’Aria, l’Acqua, la Terra ed il Fuoco ed aspira ad essere il perfetto alchimista.
E’ convinto infatti che può portare la natura dei metalli alla loro perfezione trasformandoli in oro; di perfezionare quel composto organico che è il corpo umano, di guarirlo dai mali e di prolungarne la vita; di perfezionare se stesso, se riesce a compiere l’opera alchemica, ad acquistare la sapienza delle cose ed il dominio sulle stesse.
Si tratta di un’opera personale, quasi artistica, che difficilmente si presta ad un lavoro in collaborazione con altri, che non si può trasmettere attraverso le opere scritte, che va comunicata da persona a persona, come fosse un segreto.
L’Imperatore nella sua solitaria maestosità esprime una fragile possanza che fotografa la condizione umana a cui sfugge il dominio tanto agognato del mondo. La bramosia di potere dell’uomo è effimera e si esercita in un ristretto arco temporale.
L’uscita dell’uomo dallo Stato di natura
Di fronte all’uomo c’è una realtà molteplice che sfugge da ogni suo controllo. L’uomo, come prodotto di un’organizzazione evolutiva della vita in questo pianeta, fa parte di un sistema che vede una profonda correlazione tra macro e microcosmo.
L’uscita dell’uomo dallo stato di natura ha comportato una frattura entro questo sistema da cui l’uomo è stato emarginato e bandito. Il suo peccato di orgoglio e la presunzione di essere l’Imperatore del mondo lo sta già scontando in un isolamento che è dimostrato dal silenzio della natura nei suoi confronti.
Nella natura primordiale vigeva un’armonia adesso perduta. L’originario equilibrio tra le creature le metteva in comunicazione. Adesso la conflittualità ha preso il sopravvento. L’uomo ha imposto la legge dell’homo homini lupus.
Potenzialmente la mente umana è in grado di assolvere altre funzioni, ma queste sono state limitate dall’isolamento a cui l’uomo è stato confinato ed inoltre vengono obliterate e censurate dall’inconscio originario collettivo, al fine di potere controllare le coscienze.
Le valenze dell’Imperatore
L’Imperatore denota dominio sulle cose materiali, sulle coscienze di persone disposte ad accettare il ruolo di sudditi; indica altresì ambizioni smodate, progetti grandiosi, volontà di potenza.
Inoltre l’Arcano dell’Imperatore indica la presenza di un maschio autorevole, o autoritario, che può essere il padre, il marito, il capo della situazione, di una persona dominante che esercita una funzione pubblica. L’Imperatore personifica anche un progetto saldo, la volontà di dominio in genere, l’autorità legittima che è sempre indispensabile perché protegge dall’anarchia, dalla confusione dei ruoli. Nella società ciascuno deve svolgere la propria funzione con onestà e con il massimo impegno. L’Imperatore rappresenta anche il rispetto del ruolo che ciascuno svolge, l’impegno e la dedizione nello svolgimento delle proprie funzioni, il potere laico che spetta sempre ai governanti, la condanna di ogni intolleranza o discriminazione religiosa, la negazione di ogni ingerenza religiosa nel controllo della vita dello stato, di cui l’Imperatore è la salvaguardia e il garante.
L’Imperatore nella prima casa sarà sostenuto da una carica di entusiasmo positivo, da slancio ottimistico, da intraprendenza giovanile e il suo ruolo sarà determinante e non certo secondario o marginale.
Nella seconda casa, contrassegnata dai dualismi in genere, l’Imperatore avrà di fronte un avversario subdolo e sfuggente che contrasterà il suo ruolo dominante, incrinato e messo ripetutamente in discussione. Nella terza casa il potere dell’Imperatore sarà attenuato da una donna-madre che renderà la sua figura più comprensiva e meno autoritaria, più affettuosa e sensibile.
Nella quarta casa il dominio dell’Imperatore sarà più ampio e consolidato dalle quattro virtù ermetiche - sapere, tacere, osare e volere – a sua disposizione.
Nella quinta casa l’Arcano dell’Imperatore sarà meno appariscente e alquanto sottile, con una vena di perfidia in più, con prerogative regali mescolate anche a quelle religiose, guida anche delle coscienze dei sudditi.
Nella sesta casa l’Imperatore sarà attratto e distratto, confuso da presenze muliebri affascinanti e dotate di grande personalità. Il suo ruolo ne uscirà sminuito e incrinato.
Nella settima casa il ruolo dell’Imperatore sarà alla fine vincente nei confronti dei suoi avversari ed anche pienamente legittimato da forze astrali positive che aleggiano sull’intera vicenda.
La presenza del Gerofante, insieme all’Imperatore costituisce sempre una minaccia, diretta o indiretta, vicina o lontana; ciò dipende dalla casa. La combinazione Imperatore nella quarta casa e Gerofante nella quinta casa configura il conflitto più tipico ed indica una forza ostile ai progetti dell’Imperatore che saranno vanificati. Ovviamente, dovremmo tenere conto delle altre combinazioni presenti nelle altre case, per cui quanto pesi l’influenza complessiva della casa su ciascuna carta non si può definire prima in astratto, perché ogni situazione va analizzata nel suo concreto, nel suo evolversi ed ogni oracolo formulato con l’aiuto dei Tarocchi ha le sue finalità che vengono stabilite dalla persona che interpella gli Arcani e dalle motivazioni che lo spingono a farlo. Comunque l’Arcano dell’Imperatore indica la presenza di un maschio autorevole, o autoritario, che può essere il padre, il marito, una guida, anche spirituale, un leader, una persona che esercita una significativa funzione pubblica, o svolge un importante ruolo sociale
Capitolo 19
Arcano Numero 5: il Gerofante
Formulare una concisa sentenza che fotografa il Gerofante è un’impresa assai ardua, che ci accingiamo a compiere con la dovuta cautela, perché siamo consapevoli di maneggiare uno strumento assai complesso e delicato, sfuggente, polivalente.
Sentenza guida
Tu sei il Gerofante della tua coscienza. Ascoltala.
Non esistono libri autorevoli che possano sostituirla.
La natura non ha segreti. Sfida l’occulto.
Rispetta il Gerofante di turno;
ma non cadere mai in ginocchio, se te lo comanda.
Ama il prossimo tuo come te stesso.
Cerca d’essere generoso e giusto.
Non mentire. Non testimoniare il falso.
Paga il tributo dovuto a Cesare.
Mangia con moderazione.
Giudica con equilibrio.
Vivi la tua sessualità liberamente.
Digiuni e preghiere non ti salveranno l’anima.
Cerca di vivere in armonia con la natura.
Rispetta l’habitat in cui vivi.
Conforta il tuo prossimo con parole ed opere.
Scegli liberamente il momento giusto per morire.
Difendi il tuo credo,
tuttavia ascolta le voci diverse dalle tue.
L’intolleranza e il fanatismo sono i mali peggiori.
Ricostruzione dell'Icona originaria:
la quintessenza o quinto elemento
Il mazzo originario dei Tarocchi, secondo l'ipotesi già formulata, fu concepito nel Basso Medio Evo, dalla comunità di eretici che frequentavano il famoso triangolo delle terre di Linguadoca: Albi, Lione e Béziers. In tale contesto storico va collocata la famigerata crociata indetta nel 1208 da Papa Innocenzo III. Contro la minoranza dei Catari, che si erano rifugiati e avevano trovato protezione nella città fortificata di Béziers, si accanì l'esercito chiamato alla guerra santa. Il massacro indiscriminato di tutta la popolazione civile doveva servire come simbolo della forza della Chiesa di Roma, che in tale modo sperava di scoraggiare per sempre una futura riforma dell'istituzione religiosa.
L'artefice dei Tarocchi rifletté molto sulle possibili rappresentazioni dell'Arcano numero 5, che era in sintesi quello fondamentale, proprio per le sue implicazioni esoteriche, filosofiche, religiose. Nessuna figura avrebbe potuto scalzare il Papa da quel piedistallo che occupava da secoli, in maniera indegna, ma efficace, alla luce della storia. Dopo avere fatto un sano bagno di realismo, l'Artefice pensò che la figura carismatica del Pontefice di Roma potesse essere il giusto collante per il suo progetto iconografico e quindi riconobbe al Papa quel primato che i suoi fratelli eretici di Linguadoca mettevano fortemente in discussione. Questo dovette costargli forse non poche inimicizie. L'intolleranza a quel tempo marcava anche le sette ereticali ed era un vizio universale che avrebbe nel corso dei secoli alimentato altre crociate e guerre di religione, insanguinando l'Europa per secoli. Luterani, calvinisti, ugonotti, scismatici, ortodossi, cattolici romani, presbiteriani: fedeli in un unico Dio, professavano un credo ed una liturgia differente. Solamente nell'età dei lumi, con molte difficoltà e resistenze, si affermerà il principio della stato tollerante che accetta e lascia praticare ogni religione. Alla battaglia contro il fanatismo e l'intolleranza dette un grande contributo la produzione letteraria e filosofica di Voltaire che fu il primo scrittore divulgativo del nuovo credo laico ed ebbe l'idea di produrre un libretto tascabile, un pamphlet, un libello polemico e satirico, alla portata delle classe della nuova classe sociale emergente: la borghesia francese, simbolo della nuova cultura illuministica e perno della futura rivoluzione del 1789.
L'icona del Papa dunque non fu modificata nel corso dei secoli, anzi restò quella delle origini, che l'Artefice dei Tarocchi aveva ideato per conferire al suo mazzo una sorta di legittimità, un passaporto che nessuno avrebbe osato mettere in discussione. Sarebbe stato il numero cinque a indicare le caratteristiche peculiari dell'Arcano e a chiamare direttamente in causa la quintessenza.
"Il termine quintessenza nell'antichità indicava la sostanza che quinta, oltre i quattro elementi terrestri (acqua, aria, terra, fuoco), si riteneva costituisse i corpi celesti. L'introduzione di essa si deve alla scuola di Pitagora, che la chiamò etere. Il significato moderno di 'caratteristica più specifica e pura di qualche cosa' é derivato dal linguaggio dell'alchimia, ma questo, a sua volta, alludeva al significato primitivo, per l'analogia delle proprietà del 'distillato purissimo' con quelle, eccezionali del 'quinto elemento'."(Enciclopedia Filosofica vol.5, voce quintessenza pag. 489)
Per il medico e mago Paracelso (1493-1541) "ogni cosa ha una sua 'quintessenza', che é l'elemento (uno dei quattro) prevalente nella sua costituzione. Tale quintessenza esprime la forza operante e magica dell'oggetto utilizzabile dal medico per la guarigione degli infermi." Per il Paracelso "il mondo é pervaso da una forza irrazionale e incosciente: l'Acheo." (Enciclopedia Filosofica vol.4, voce Paracelso pag. 1325)
"Il termine 'archeo' é proprio di Paracelso, e indica quel principio astrale - o emanazione tenuissima della sostanza degli astri - che, nelle cose, opera come fabricator, e, negli organismi, come principio vitale, da cui dipendono nutrizione e conservazione." (Enciclopedia Filosofica vol.1, voce Archeo pag. 409)
Secondo C.G.Jung gli archetipi "sono immagini primordiali, che ogni uomo possiede nella zona arcaica del suo inconscio e in cui si assommano le più remote esperienze, non solo della specie umana, ma anche della precedente serie animale: 'sono le fondamenta dell'anima cosciente nascoste in profondità, oppure - per usare un altro paragone - come le sue radici, che essa ha affondato non solo nella terra in senso stretto ma nel mondo'." (Enciclopedia Filosofica vol.1, voce Archetipi pag. 409)
Quando si parla del numero 5 bisogna essere precisi. Esso va maneggiato con cura. Bisogna poi fare una certa chiarezza sul significato storico del termine quintessenza che possiede varie sfumature ed é estremamente vago e indefinito proprio per la sua stessa natura.
Secondo le intenzioni dell'Artefice dei Trionfi, il Papa contrassegnato dal numero 5 doveva, in maniera intuitiva ed immediata, personificare proprio la natura complessa e sfuggente della quintessenza, che meno di ogni elemento si presta ad una definizione precisa.
Per sua natura la quintessenza non é un elemento corpuscolare bensì assimilabile ad un'energia ondulatoria che permea tutti i corpi e li rende quello che sono, ne ha disegnato le proprietà proprio alle origini. Essa può essere pensata come un 'principio originario'insito nel mondo fisico; è riconducibile al disegno intelligente originario, al soffio divino panteistico che permea tutte le cose, visibili ed invisibili. Qualsiasi legame chimico non sarebbe possibile se non agisse in esso la quintessenza. Lo stesso moto gravitazionale dei corpi nello spazio avviene in virtù della quintessenza. Agisce in maniera uniforme sia sul micro che sul macrocosmo. Il vero principio vitale universale è la quintessenza. Questo nostro concetto di quintessenza è fondamentale per la comprensione del presente Discorso sulla natura e le origini dei Tarocchi alla luce della filosofia dei numeri.
La quintessenza sta nella 'cosa' come l'energia sta alla massa per la velocità della luce al quadrato. La quintessenza può essere messa in relazione all'energia, che ne é la sua manifestazione fisica. Se dovessimo visualizzare la quintessenza, dovremmo ricondurla alla natura stessa della luce. Anzi possiamo ritenere la luce come manifestazione fisica della quintessenza (i fotoni sono particelle prive di massa).
Una ricostruzione dell’icona numero 5
Malgrado l’età avanzata del Pontefice, evidenziata da una barba completamente bianca, l’aspetto è florido, le guance ancora piene, il busto eretto, lo sguardo indagatore. Nel complesso la sua figura emana un’energia fuori dal comune. Quando si sente affaticato sa dove andare a trovare le forze di cui bisogna, approfittando della presenza passiva e sottomessa dei pellegrini. E' in grado d'impossessarsi dei preziosi fluidi vitali senza venire direttamente a contatto con le occasionali vittime, del tutto ignare di quello che sta avvenendo. Alcuni escono da quegli incontri perfettamente sani nel corpo, altri, sempre più debilitati e prostrati, non sopravvivono a lungo; ma, come sempre accade, sono le guarigioni le più conclamate e pubblicizzate in mezzo al popolo, per cui, in ogni angolo del regno corre voce che il Sommo Pontefice è capace di compiere le guarigioni più impensate.
La sua fama è cresciuta a dismisura ed ha fatto il giro della Terra. Parallelamente si sono consolidati la sua autorità e il suo potere in mezzo alle genti e praticamente nessuno osa mettere in discussione le sue prerogative di supremo capo spirituale e religioso. Nessuno ne conosce con buona approssimazione l’età, ma gli anziani raccontano che, fin da quando erano ragazzi, il Sommo Pontefice già svolgeva la sua funzione da molto tempo. Qualcuno dice che è immortale e che ha attinto i segreti della vita.
L'abito che indossa, nel disegno a esagoni tangenti, richiama il dorso della tartaruga: animale simbolo di longevità. La corazza protettiva del mantello avvolge il Sommo Pontefice che accoglie la sapienza ancestrale e millenaria ricevuta in dono proprio dall'animale sacro, che secondo i cinesi sorreggeva il mondo.
Vorremmo soffermarci a riflettere sul significato simbolico della tartaruga (serenità - lealtà - bontà - sacralità – longevità) appreso nel libro di Peter Young, insegnante di storia e archeologia a Cambridge. 'Tartaruga: una storia culturale.'
Quasi tutti parlano con rispetto del Sommo Pontefice. Quei pochi che ne intuiscono i malefici occulti, ne argomentano sottovoce e di nascosto, perché hanno la sensazione di essere ascoltati e temono che saranno puniti. Chi, sconsideratamente e apertamente, gli si è messo contro, è finito arso vivo in qualche rogo purificatore. Non ha bisogno di consultare nessun libro per rispondere alle domande più disparate. Da solo è in grado di attingere le risposte e in ogni occasione si sente sicuro ed infallibile, sia quando, con tutta la sua benevolenza, ascolta pazientemente le preci degli umili, sia quando, con tutta la sua determinazione, scaglia la sua maledizione contro l’arrogante miscredente.
La sua insegna, che sempre porta con sé e impugna come fosse una spada magica, è in grado di sorreggerlo nei rari momenti di fiacchezza ed è costituita da una grande croce, sulle cui braccia si corrispondono i simboli alchemici contrari dei quattro elementi fondamentali della vita: il Fuoco e l’Acqua stanno impressi sulla traversa verticale, mentre la Terra e l’Aria sono impressi sulla traversa orizzontale. Le braccia sono tenute insieme da una forza invisibile: la quintessenza, che dà vita ad un turbine circolare che mescola le energie dei quattro principi della vita.
La natura del Gerofante
La sedia lignea, su cui sta seduto il Gerofante (colui che interloquisce col sacro, secondo l’etimologia greca), è tutta scolpita a mano e istoriata con effigi misteriose ed indecifrabili. Lo schienale piramidale presenta due icone pentagonali, facilmente riconoscibili, che più che attrarre la curiosità, hanno il potere di stordire. Nella prima, con la punta rivolta verso l’alto, è stato scolpito l’uomo. Nella seconda rovesciato con la punta rivolta verso il basso, è stato scolpito il Diavolo. Entrambi i pentagrammi, uno affiancato all’altro, indicano il dominio che il Gerofante esercita sulle forze del bene e quelle del male, ma possono anche significare che il bene e il male sono uniti ed indivisi e che nessuno riesce a separarli. Inginocchiati a terra stanno due confratelli, appartenenti al medesimo Ordine dei Benedettini: il padre confessore, più attivo a destra, ha l’ardire di guardare in faccia ed interrogare il Gerofante, l’altro, semplice amanuense umile e passivo, china il capo in segno di massimo raccoglimento spirituale e dà l’impressione di essere il più sottomesso. Entrambi sono venuti da molto lontano ed hanno lasciato insieme il monastero per sottoporgli il caso, occorso ad uno dei due, che sostiene di avere ascoltato la voce del silenzio.
La figura del Gerofante simboleggia il cosiddetto quinto elemento, o quintessenza: la linfa vitale che unifica i ben noti principi fondamentali della vita: i 4 elementi che, in varia misura, costituiscono tutti i corpi terrestri: Acqua, Aria, Terra e Fuoco. Gerofante, stando all’etimologia greca, significa colui che parla con il sacro ed indica un uomo rivolto verso la trascendenza e il sovrannaturale.
La quintessenza impalpabile, non cade sotto il dominio dei sensi, non si vede, non si può toccare, ma c’è e la si può percepire solo quando l’individuo ha saputo sviluppare ed evolvere la propria sensibilità corporea in una sensibilità intellettiva più sottile.
Se l’Imperatore incarna fisicamente i 4 elementi fondamentali e le rispettive proprietà, il Gerofante incarna invece la quintessenza e il suo potere d’ordine soprannaturale è superiore a quello dell’Imperatore, il quale si limita a governare i corpi, mentre il Gerofante comanda sugli spiriti. L’area d’azione dei due teoricamente dovrebbe restare separata, in pratica la conflittualità tra l’Imperatore e il Gerofante diventa inevitabile e nel tempo finisce col diventare cronica.
La vocazione alchemica - magica dell’Imperatore si scontra con le aspirazioni e pretese atomistiche-materialistiche del Gerofante. Tutto ciò che è sacro, divino, soprannaturale, necessariamente sarà sotto il controllo del Gerofante, il quale non ammetterà interferenze nel suo territorio e bandirà coloro che giudica nemici del suo verbo e della sua religione.
L’intolleranza con i suoi strumenti storici (infallibilità, censure d’ordine morale, libri sacri, libri proibiti, cerimoniali scrupolosi, Inquisizione, torture, carceri, roghi, scomuniche) è l’opzione prediletta dal Gerofante, che combatte anche ogni pulsione terrena e aspira ad un godimento d’ordine spirituale. Per questo condanna tutti i piaceri carnali, giudicandoli inferiori e dannosi alla crescita spirituale. Si tratta di una castità di facciata, allo scopo di circondarsi di un’aureola di santità e per canalizzare le pulsioni individuali e collettive sul piano astrale e alimentare le espressioni più abiette del male. Ovviamente tale sessuofobia produce i primi mostri della coscienza e crea una pericolosa frattura con il corpo, che viene sacrificato, criminalizzato, demonizzato.
La Cabala applicata al Gerofante
Il Gerofante per potere conseguire un dominio totale sul soprannaturale utilizza lo spirito del male e la sua personificazione più potente: Satana. Il Gerofante è la figura satanica per eccellenza. Dice di essere la manifestazione vivente di Dio in terra, ma il suo potere gli discende solo dal Diavolo.
L’equivalenza cabalistica:
5 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15
rimanda al numero riflesso 15, che nei Tarocchi è proprio il Diavolo.
La natura del numero 5 è più chiara alla luce di altre due equivalenze:
5 = 1 + 4
5 = 2 + 3
La prima ci dice che il Gerofante esercita ogni tipo di magia e tende a trarne anche tutti i profitti materiali possibili, in quanto la quintessenza unifica i 4 principi fondamentali.
La seconda svela che il Gerofante è in grado di generare forze, creature, entità sul piano astrale, utilizzando i dualismi insiti nelle cose. Tali entità non sono visibili all’occhio comune, ma possono essere percepite soltanto dall’occhio della mente. In genere non si manifestano mai per quello sono, e la loro natura malvagia e occulta spesso inganna lo sprovveduto che si avventura in un terreno estremamente pericoloso.
Un Gerofante è la rappresentazione della natura occulta del Diavolo. Abitualmente camuffa i propri obiettivi e pubblicamente dice di operare in nome e per volere di Dio. Ciò gli conferisce un grande credito in mezzo alla gente e gli consente di alimentare la fede collettiva.
Un Gerofante, il più delle volte, eserciterà la professione del sacerdote, del guaritore, dell’astrologo, del cartomante; ciò gli consentirà di venire a contatto con un grande numero di persone deboli, influenzabili, superstiziose, ingenue, che si affidano interamente a lui e che potrà manipolare a suo piacimento per i propri fini. Tali persone nel tempo saranno colpite da mali strani, perderanno preziose energie vitali e dipenderanno completamente dalla volontà e dalle direttive del Gerofante.
Le energie di cui il Gerofante abbisogna per compiere le sue malie, gli saranno fornite da tutti coloro che lo frequentano abitualmente e che soggiacciono alla sua volontà. Alle sue vittime il Gerofante succhierà lentamente le forze, seguendo la tecnica, a lui ben nota, del vampirismo astrale (così chiamato per il modo di procedere, simile a quello del vampiro, pipistrello che beve il sangue delle sue vittime predilette).
Il Gerofante e il pentagramma
La figura geometrica che visualizza il numero 5 è il pentagramma, noto fin dai tempi dei Pitagorici e considerato un segno di distinzione, una potente chiave di accesso degli iniziati al mondo dell’occulto. Il pentagramma, nella sua forma esterna appare come una stella a cinque punte ed è costituito da 5 linee e da 10 punti. Può essere costruito con cinque tratti della mano differenti, che sono chiaramente indicati dalla sequenza dei numeri 1,2,3,4,5,6,7,8,9 e 10. All’interno della figura si può intravedere un pentagono, sui cui lati sono stati costruiti cinque triangoli.
Geometricamente gli elementi che costituiscono il pentagramma rimandano al numero 15.
Il legame esistente tra il 5 e il 15 già ci era noto ed era stato illustrato dall’equivalenza cabalistica
5 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15
Il pentagramma visualizza tale legame, lo rende esplicito, operante. Il medesimo pentagramma può assumere due configurazioni diverse:
- quella con la punta rivolta verso l’alto, entro la quale si può inscrivere una figura umana, con le braccia allargate e le gambe divaricate in segno di massima disponibilità e apertura verso il mondo;
- quella con la punta rivolta verso il basso, entro la quale si può intravedere il viso del Diavolo, con le corna, le orecchie aguzze e il mento del capro.
I due pentagrammi, anche se vuoti, a tratti assumono un aspetto realmente diverso: il primo solare e rassicurante ha tutta l’aria di una buona stella luminosa e sorridente; mentre il secondo appare infido, oscuro e neppure il cerchio solare riesce a conferirgli un aspetto migliore.
Eppure i due pentagrammi sono identici, basta ruotarli ed assumono uno la configurazione e la connotazione dell’altro. Quello buono si trasforma in cattivo e quello cattivo in buono. Basta capovolgere il pentagramma per visualizzare al medesimo tempo un’essenza benevola ed un’essenza malevola, che possono essere assimilate alle due facce di una medesima medaglia
La Cabala e il pentagramma, che visualizzano la natura del numero 5, al contrario, mostrano chiaramente la relazione profonda che intercorre tra la quintessenza e il male, che non sono visibili, non operano alla luce del sole, ma si occultano e sfuggono ad ogni indagine superficiale.
Indubbiamente il male e la quintessenza non sono la medesima cosa, ma hanno molti elementi in comune:
- emanano dalla medesima origine alquanto misteriosa;
- elaborano i medesimi meccanismi vitali;
- agiscono sugli elementi fondamentali della vita;
- conferiscono ai 4 elementi una forma apparente e non definitiva;
- non sono tangibili sul piano materiale e non si corrompono come i corpi.
Tutto ciò dimostra che il male, per essere più occultato, si è modellato uniformandosi agli stessi meccanismi che sovrintendono la quintessenza, fino al punto che riesce a confondersi con essa.
In ogni caso il Gerofante esercita un potere spirituale superiore che gli deriva dal grado di competenza col quale riesce ad attingere la quintessenza, che riesce a manipolare a suo piacimento, fino a farne il fondamento della religione rispettata dalla maggioranza dei fedeli, fino al punto che può trasmetterla sotto forma di un’energia che può ridare speranza e salute agli infermi.
Lo Gerofante riesce sempre a dare semplici risposte di speranza in un futuro ultraterreno ai molti interrogativi proposti dalla gente comune; nel medesimo tempo evoca il Messia delle verità che tutti aspettano.
Questa ultima affermazione del resto è ben riconducibile alla illuminante voce della Cabala:
5 = 2 + 3
L’Arcano numero 5 assolve alla funzione di plasmare le coscienze nel nome di un’unica fede. Non ci devono essere individui che pensano con la propria testa. Questa è stata l’essenza della religione nella storia dell’umanità.
Le valenze del Gerofante
Il Gerofante per sua natura costituisce sempre un Arcano infido e minaccioso che ha grandi poteri occulti. Chi lo invoca del resto sa che non può servirsene, ma ne sarà per sempre dominato.
Chi ha fede nel dogmatismo della religione è una persona devota e passiva che si lascia guidare da chi ha più autorità di lui.
Le norme morali e le verità sono trascritte su libri considerati sacri che non si possono mettere in discussione, ma esse sono già scritte nella nostra coscienza che sa e deve solamente ricordare, per cui i libri sacri sono solamente uno strumento di potere. Secondo il pensiero cinese il vero saggio non fa proseliti e neppure dovrebbe scrivere libri.
Questo trattato costituisce un vero e proprio manuale che accompagna i Tarocchi. Esso vuole essere anche una guida, un’indicazione a leggere più in profondità nella propria coscienza.
La scoperta dell’inconscio originario collettivo, di una forza che tende ad oscurare, ad alterare, a nascondersi è fondamentale. Ed è per questo che la città dei Catari sarà rasa al suolo. Perciò i tribunali della presente e futura Inquisizione bruceranno libri blasfemi e ne condanneranno gli autori al rogo. E questo controllo attivo e subdolo della coscienza collettiva non avrà mai fine perché nasceranno sempre nuovi strumenti di controllo più sofisticati e nuove creature, per brama di danaro, di onori e di gloria, si inginocchieranno ai piedi del Gerofante di turno vendendo il proprio corpo e il proprio spirito.
L’Arcano del Gerofante indica la presenza di forze astrali superiori, aventi una connotazione maligna, che possono cooperare o contrastare con gli obiettivi della persona che domanda un oracolo per mezzo dei Tarocchi.
La carta del Gerofante riguarda la sfera superiore, ultraterrena; denota fervore religioso, sottomissione ad un potere trascendente, capacità di gestire il sacro e il soprannaturale; poteri occulti quasi sempre finalizzati a intenzioni malevole; sincera fede nel divino nata in ambiente familiare e contesto dominato da stimoli fortemente religiosi; accettazione passiva del ruolo e dell’autorità del Popolo degli Scriventi, scarsa autonomia intellettuale; preoccupazioni per le sorti della propria anima; fanatismo e fervore mistico accompagnato da visioni; intolleranza religiosa; condanna e scomunica del diverso; professione avente a che fare con il mondo esoterico.
Quando il Gerofante cade nella prima casa sarà un prezioso collaboratore, un alleato potente. Nella seconda casa il Gerofante sarà un temibile avversario. Nella terza casa i poteri del Gerofante saranno per così dire crescenti e latenti. Nella quarta casa il Gerofante sarà contrastato da una presenza laica, mondana, concreta. Nella quinta casa il dominio della situazione da parte del Gerofante sarà quasi totale. Nella sesta casa il Gerofante sarà contrastato da presenze femminili che esercitano grande fascino e seduzione. Nella settima casa il Gerofante sarà arginato da benefiche forze astrali.
Capitolo 20
Arcano Numero 6: l'Innamorato
Asseconda l’emozione e la sensazione,
Sublima le tue brame licenziose.
Dissetati alla fontana dell’Eros.
Inganna le rughe del tempo.
Insegui l’eterna giovinezza.
Innamorato sempre di un momento,
una donna, una storia.
L’Amore è naturale.
Lo hanno proibito per mortificarti la mente.
Impara a conoscere le meraviglie del tuo corpo.
Lasciati educare dai Kama Sutra.
Tuttavia non eccedere mai e apprendi la moderazione.
Insegui il bello, la grazia, la conoscenza carnale.
Ardi di voluttà come una candela nuda e splendente.
L’innamorato autentico è uno spirito illuminato
che interpreta gli Arcani
e li dispone secondo la Cabala.
Dualismi d’amore: amore sacro e amore profano
Molte sono le sfaccettature dell’amore, assimilabile ad un poliedro che presenta molteplici facce, sfumature, combinazioni. Le prenderemo in esame più avanti, cercando di ridurle ad un numero ragionevole e quindi di ricondurle al numero 6, che nei Tarocchi viene associato appunto all’Arcano dell’Innamorato.
Per il momento intendiamo sottolineare che l’essenza dell’amore è duplice. Propria dell’amore è la sua natura duale: proteso a volte verso il sublime; attratto talora verso la bassezze della carnalità. Non ci hanno insegnato forse che esiste un corpo corruttibile ed un’anima immortale? A prima vista l’amore più elementare scaturisce dall’attrazione fisica di un corpo verso un altro corpo. Una bella donna piace all’istante, ci seduce. Questione di ormoni, di odori, di fattezze. Poi i filosofi si sono messi a ragionare sull’amore ed hanno scritto interi trattati. Sull’amore si sono imbastite storie a non finire. Scritte liriche. Don Giovanni. Casanova. Libri erotici. Kama Sutra. Film pornografici. Deviazioni d’amore: sadismo, masochismo. Omosessualità. Lesbismo. Narciso ci ha insegnato che si può amare semplicemente il proprio corpo. I mistici deliranti si sono innamorati persino di Dio! Comunque in amore bisogna essere in due: un agente attivo, generalmente il maschio; ed un agente passivo, generalmente la femmina. In amore un corpo seduce un altro agente di natura mentale, psichica. L’amore coinvolge i nostri cinque sensi: tatto, vista, odorato, gusto, udito. Provoca sensazioni piacevoli, gradevoli. La mente le amplifica, le stravolge, le interpreta, le vuole riascoltare. In fondo, se ben analizziamo, le sensazioni sono le medesime, eppure non ci stanchiamo mai e vorremmo ripeterle all’infinito. L’amore non sazia mai. Se ne vuole dell’altro. Se è vero che lo spartito musicale viene dalle stesse note, ci sono combinazioni impensate, nuove, sottili differenze; per cui la novità può sopraggiungere inattesa. Gli orgasmi sono eguali forse; ma i percorsi per arrivarci sempre diversi. E talora anche le carezze senza orgasmi possono essere sublimi ed altrettanto appaganti. Dunque la musica d’amore sarà sempre sorprendentemente diversa e nuova. Certo tutto dipende dalla sensibilità e dalla cultura delle persone; dai gusti, dall’educazione, dall’ambiente sociale, dal paese, dal clima, dalla religione, dal sesso. L’amore dipende da molteplici variabili che lo determinano e lo condizionano nel suo divenire, nel suo esaurimento. L’amore diviene. In eterno, nel tempo e nello spazio. Si esaurisce e si rinnova, immortale sempre.
Troviamo il nostro completamento in altro; o un’altra persona; o in un paesaggio, in una musica, o leggendo dei versi. L’amore scocca come una scintilla verso un ente a noi esterno; non deve essere necessariamente un altro corpo. L’amore abbiamo detto coinvolge i cinque sensi ed in più il cervello, la mente, la psiche (che sono denominazioni diverse del sesto sesto). Non a caso l’Innamorato dei Tarocchi viene associato proprio al numero 6, in quanto i sensi coinvolti nel processo d’amore sono propriamente sei: tatto, vista, udito, gusto, olfatto, mente. Comunque l’amore ha sempre bisogno di un polo positivo ridondante ed un polo negativo carente. L’energia fluisce lungo canali che attraversano i contrari. L’aria calda scorre verso l’aria fredda. Tutto fluisce e tutto è in movimento. L’Amore trasmette il moto al Sole e alle altre stelle. La stessa formula di Einstein E = mcc visualizza la dinamica intrinseca di due enti fisici eguali e contrari. Il Tao primordiale del pensiero cinese si dispiega attraverso yin e yang. L’Amore è quel meccanismo universale che genera il tutto.
Galleria dell’Amore.
Immaginiamo adesso d’entrare in una Galleria dell’Amore dove si incontrano sei tipologie riconducibili all’Arcano numero 6: l’Innamorato.
Galleria dell’Amore:
1ª stazione: l’attrazione carnale
L’attrazione fisica caratterizza l’Amore più comune, quello più esplorato, più popolare, che scorre nelle vene di tutte le creature viventi. Più o meno tutti gli uomini hanno conosciuto le passioni d’amore, le brame. Questo tipo d’amore è il più gettonato, ma anche quello più effimero, più variabile. Soddisfa per un tempo limitato, poi sopravviene la delusione, la stanchezza e sopravviene il desiderio di provare un altro amore. Lo strimpella quella canzonetta che dice in dialetto ciociaro: come è bello il primo amore, il secondo è più bello ancora.
2ª stazione: l’innamoramento
3ª stazione: amore tra consanguinei
Onora il padre e la madre. Educa i tuoi figli. Amali. Rispetta le loro scelte. Dovrebbero bastare queste poche raccomandazioni. Invitiamo tutti a farsi un esame di coscienza. Pratichiamo la tolleranza in famiglia. Dialoghiamo. Ascoltiamo meno televisione. Condividiamo problemi. Mettiamo in pausa i nostri telefoni portatili. Quante ore inutili passiamo per ascoltare notizie idiote e manipolate e quanto poco tempo dedichiamo a chi vive con noi nella stessa casa.
Galleria dell’Amore:
4ª stazione: amore sacro
Una celebre pittura di Tiziano del 1515, esposta a Roma nella Galleria Borghese, raffigura l’amore sacro e l’amore profano, rappresentato da due donne: una simbolo della carnalità ed una della conoscenza: l’amore verso cui protende l’intelletto. La pittura inoltre fotografa il dualismo d’amore che attraversa ogni uomo. Alla base di tutto sta la cultura occidentale, intrisa di sensualità e di mistici divieti, mediati dalle tre grandi religioni monoteiste. Il mondo pagano era più tollerante, più istintivo, più liberale, più permissivo. Noi per amore sacro intendiamo l’amore per la conoscenza; il piacere d’ascoltare musica; perseguire il compimento di un’opera d’arte.
Galleria dell’Amore:
5ª stazione: amore verso il prossimo.
Gesù ha formulato forse l’atto d’amore più pieno ed universale: ama il prossimo tuo, come te stesso. Sono parole dense di significato che si commentano da sole. Osserviamo che purtroppo restano lettera morta. L’umanità rimane ancorata, ciecamente e caparbiamente, al proprio egoismo e tornaconto personale. Rari sono gli slanci di generosità. Pochi sperduti altruisti in isolotti lanciano messaggi di solidarietà in bottiglie per essere raccolti, divulgati e presi ad esempio. Qualcuno dirà che la televisione promuove donazioni a favore degli indigenti d’Africa. Gare pubbliche di solidarietà verso sconosciuti non sono rare. La nostra esperienza insegna che è facile essere generosi verso chi non si conosce. Qualcuno anche spererà di guadagnare punti per il Paradiso e quindi non si tira indietro se deve donare 10 euro per la ricerca contro il cancro. Nel nostro quotidiano sovente abbiamo incontrato la malafede, la menzogna, il raggiro, la truffa, la violenza, la cattiveria spicciola, la mala lingua, l’invidia, la superbia, l’indifferenza. Forse non abbiamo avuto fortuna e le persone buone sono tante e potrebbero riempire uno stadio di calcio. Ben venga dunque una partita giocata a favore di chi ha bisogno del nostro aiuto. Diamo una mano ad un amico, quando ci telefona e capiamo che ha bisogno, anche se non ce lo chiede espressamente. Cerchiamo di comprendere anche le ragioni di chi non ci è amico e ci ostacola e ci crea problemi. Cerchiamo un dialogo, un confronto, un compromesso. Dobbiamo tutti confidare nel prossimo, per rendere meno ardua la nostra quotidianità.
6ª stazione: amore verso la natura
Noi siamo una sola cosa con il Tutto che ci circonda. Spesso dimentichiamo la natura; anche se in questi ultimi dieci lustri è nato un movimento ecologico piuttosto forte che ha preso piede in quasi tutti i principali paesi democratici. Siamo adesso più consapevoli che l’habitat sano è indispensabile alla nostra salute. Sappiamo che le piante sono importanti perché producono ossigeno e danno frutti ed hanno proprietà medicamentose. Tuttavia questa egoista coscienza civile, frutto di ricerche scientifiche, non è sufficiente. Maltrattare gli animali indifesi è immorale. Fare test ed esperimenti su cavie è altrettanto immorale. Tutte le creature non debbono soffrire. Anche gli animali hanno questo diritto; oggi peraltro ribadito da associazioni animaliste. Noi intendiamo andare oltre. Invitiamo i lettori ad entrare in un bosco incontaminato per ascoltare la voce della natura: il canto degli uccelli, il vento tra gli alberi, il rumore della pioggia. Siamo propensi a pensare che il bosco ha una sua unità, una propria consapevolezza, un’intelligenza e può trasmetterci delle sensazioni complesse, anche sublimi. Con il bosco, insieme al bosco, possiamo elevarci spiritualmente, crescere anche intellettualmente, captare energie sopite impensabili che possono trasformare la nostra visione ottusa della realtà che ci è stata trasmessa da una cultura che mette esclusivamente l’uomo al centro dell’universo, riservandogli il ruolo di signore di una natura subalterna. L’Amore verso la natura è condivisione e porta verso una crescita mentale e morale che la cultura ufficiale disconosce, sottovaluta, o ha messo da parte, sulla scia degli impulsi antropocentrici messi in circolazione dall’inconscio originario collettivo e dai suoi fedeli sudditi.
Una bella donna discende a passo soave lungo un ameno sentiero serpeggiante, che attraversa un prato fiorito. Veste un velo sottilissimo e trasparente che a tratti lascia intravedere un corpo nudo e sodo dalle belle forme. I capelli rosso-rame sono sciolti, lo sguardo sensuale ed invitante. I lineamenti non regolari rendono la giovane ancora più seducente. Il sorriso, alquanto enigmatico, sembra fatto apposta per richiamare l’attenzione della più indifferente ed insensibile delle creature. L’andamento non tradisce emozioni, la postura è alquanto studiata. Può sembrare una ricca principessa che discende a valle, dopo aver trovato refrigerio al fresco delle montagne, o una gentildonna esperta e raffinata che fa di tutto per farsi notare. Proprio sul crocevia di due strade, che si biforcano in un pianoro assolato, un giovane viene a trovarsi sul cammino della donna per caso e subito ne rimane affascinato. Si ferma per darle strada ammirato. Se ci fosse un pantano da attraversare, volentieri offrirebbe la sua candida camicia per evitarle di sporcarsi le estremità nude, delicate e perfettamente curate e certamente la sorreggerebbe tra le braccia per aiutarla a guadare le acque di un eventuale ruscello.
Quasi nel medesimo istante il giovane nota un’altra donnacomparire da un arido sentiero che s’inerpica tra le nude rocce e porta fin su la vetta del lato brullo della montagna, esposta ai rigori dei venti del nord e battuta dai temporali invernali. Questa seconda presenza muliebre è più matura ed avanti negli anni, dall’espressione traspare un’aria materna ed imponente, una coscienza ferma, un’etica rigorosa, una forza interiore che può nascere dal suo stato sociale, unito alla sua esperienza, o che le deriva dalle sue conoscenze esoteriche. Non si capisce perché ha scelto la via meno agevole per salire in alto e cosa mai faccia in quella parete scoscesa e pericolosa, che sta affrontando con grande sicurezza e senza ricorrere ad appoggi artificiali. Ferma nelle gambe e sorretta da una grande energia interiore, ha tutta l’aria di conoscere bene il cammino e le sue insidie. Guarda il giovane, come per invitarlo a proseguire nell’ardita escursione; non pare avere bisogno di aiuto alcuno, bensì sembra volergli trasferire qualche sensazione piacevole e segreta, a lei nota, e pare voler condividere con lui l’emozione di un’ascesa in mezzo alle asprezze della natura.
Il giovane si sente osservato e prova subito una certa curiosità verso la seconda donna, così esperta ed enigmatica, in grado di avventurarsi da sola sul versante arido della montagna. In cuor suo lamenta che quel duplice piacevole incontro con le due donne, casuale ed inaspettato, sia avvenuto nel medesimo frangente. Desidererebbe fare la conoscenza dell’affascinante femmina e nel medesimo tempo ascoltare la voce della donna matura. Entrambe le donne esercitano un’attrattiva differente. E’ consapevole che da un lato è calamitato dalla seduzione del corpo e dalla promessa di piaceri sensuali raffinati; dall’altro lato pregusta piaceri intellettuali e subisce il magnetismo esercitato dalla conoscenza. Non si sente fortunato per essersi trovato in quella situazione imprevista, che richiede una soluzione rapida ed una scelta immediata. Sente che non sarebbe in grado d’ignorare l’attrazione esercitata su di lui dalle due donne. Deve decidersi al più presto, perché sia l’una che l’altra hanno tutta l’intenzione di proseguire nel loro cammino. Comincia a pensare ad uno stratagemma per fermarle insieme, proprio sul crocevia, ma si sente ridicolo. Con ciò paleserebbe la sua indecisione e quasi certamente tutte e due passerebbero oltre, per proseguire lungo il sentiero prescelto e mai più lo degnerebbero di uno sguardo. Il crocevia le avvicina sempre più e stanno approssimandosi anche a lui, che si è fermato, dimenticandosi dei suoi progetti e del perché si è recato in quei paraggi e dell’urgenza di incontrare alcune erbe rare che, secondo quanto si dice, impediscono al corpo d’invecchiare per sempre.
Dal collo del giovane pende un amuleto: un esagramma costituito da due triangoli, che si intersecano: il primo ascendente e dorato richiama il simbolo alchemico del Fuoco e indica il cammino della Redenzione; mentre il secondo discendente e argentato rammenta il simbolo alchemico dell’Acqua e simboleggia il cammino contrario dell’Incarnazione. Avverte il giovane la sensazione di un duplice innamoramento e intravede un sorridente Cupido alato pronto a scoccare due frecce consecutive dirette al suo cuore. Frattanto l’impulso conflittuale cresce, le pulsazioni aumentano, la sudorazione diventa abbondante. Prova la netta sensazione di essere calamitato contemporaneamente verso le due donne da una forza ipnotica misteriosa che fa vibrare il suo cervello.
L’Arcano numero 6 illustra altresì il libero arbitrio dell’essere umano, la possibilità che ha di scegliere tra due percorsi differenti, qui simboleggiati dalle due donne, verso cui il giovane Innamorato si sente attratto. L’Innamorato per sua natura nasce libero e sceglierà il cammino che più gli aggrada. Non ama regole, impedimenti, limitazioni, mortificazioni, rinunce, percorsi obbligati. L’Innamorato soverchia il Gerofante, sono agli antipodi, l’uno di fronte e in competizione dell’altro. A ben vedere il Gerofante è stretto da una morsa: da un lato l’Imperatore e dall’altro l’Innamorato.
4 > 5 < 6
La somma cabalistica di questi tre numeri rimanda al 15: che nei Tarocchi simboleggia il Diavolo. Spesso il Male, nei suoi camuffamenti abituali, predilige presentarsi sotto le spoglie del Gerofante, o dell’Innamorato, o dell’Imperatore; ma la sua abilità consiste nel sapersi trasformare con estrema rapidità, al fine proprio di non farsi riconoscere. Forse, paradossalmente, il più cosciente d’essere sotto le mire del Diavolo è proprio l’Innamorato, che abitualmente interagisce con Lui, più spesso degli altri, i quali forse si illudono, o pensano d’essere fuori dalla sua zona d’influenza. Piuttosto l’Imperatore e il Gerofante sapranno come servirsi ed approfittare del supporto del Diavolo e trarranno energie ed alimento proprio da quest’ultimo; anche se ufficialmente giureranno e dichiareranno che gli sono agli antipodi; quando ne sono i sudditi più fedeli.
Questo Arcano dell’Innamorato si presta a molte considerazioni di ordine morale su cui la Chiesa cristiana ha sempre insistito e che hanno avuto come obiettivo principale la mortificazione del corpo a danno dell’anima. Parimenti anche l’islam si pone sulla medesima scia, forse con più intransigenza: il digiuno e l’astinenza si protrae per quattro settimane nel periodo del ramadam.
Tanto accanimento delle confessioni religiose contro i piaceri corporali è a dir poco esagerato ed ossessivo. Mentre l’anima riceve ogni tipo di onore, sembra quasi di assistere ad un piano di sistematica svalutazione del corpo. Secondo le credenze religiose l’uomo riceve l’anima immortale da Dio e il corpo è solamente un passaggio in questo mondo. L’estasi e la mortificazione del corpo sono raccomandazioni d’obbligo.
La dicotomia amore-conoscenza è un prodotto culturale del popolo degli scriventi che intendono plasmare i comportamenti del popolo dei parlanti. Anche la dicotomia fede-ragione, prodotto della speculazione filosofica, opera del popolo degli scriventi, ha la funzione di produrre una frattura con lo stato di natura.
Lo stesso esagramma - posto quale simbolo emblematico della condizione dell’Innamorato - rafforza il concetto di dicotomia.
L’esagramma, noto anche come sigillo di Salomone, descrive la natura del numero 6 e nasce dalla sovrapposizione parziale di due triangoli equilateri: uno con il vertice rivolto verso l’alto ed uno verso il basso.
Del resto l’equivalenza cabalistica
6 = 3 + 3
conferma che il numero 6 scaturisce dal doppio incontro del numero 3, visto nelle sue forme più estreme: l’amore sacro e l’amore profano, di cui la Dea è la sintesi più perfetta.
L’Innamorato avverte in pieno il fascino delle due donne che personificano l’amore sacro e profano, egli è come il segno + posto in mezzo ai due 3, che lo attraggono in ugual misura.
Il dilemma, la difficile scelta, l’impossibilità di sottrarsi all’attrazione esercitata dal cammino dei sensi e dal cammino della mente, costituiscono una fase che ogni uomo attraversa e che, prima o poi, deve essere superata. L’Innamorato infatti non può restare eternamente bloccato, anzi è logico che faccia una scelta iniziale e che poi torni di nuovo sul punto di partenza e cambi idea per approdare ad una soluzione differente dalla precedente, e non è detto che non torni di nuovo indietro sui suoi passi. Una scelta astratta e puramente teorica sarebbe del tutto irragionevole e senza fondamento. Le oscillazioni dell’Innamorato scaturiscono anche da una legittima voglia di sperimentare, di cambiare opzione in nome della libertà.
L’Innamorato personifica soprattutto il libero arbitrio, la volontà che costruisce giorno per giorno il proprio cammino, in base ad una valutazione personale dei fatti, senza condizionamenti esterni di sorta, imposizioni, suggerimenti di altri, non sempre disinteressati ed obiettivi. Se il numero 4 e 5 finivano per imporsi sugli altri con piglio autoritario in nome dei principi che rappresentavano, il numero 6 spalanca le porte alla libertà e chiama in causa le responsabilità e le scelte individuali. Se il pentagramma aveva una forza totalizzante, per il fatto che il 5 unificava i 4 elementi primordiali; l’esagramma sottolinea invece la costante e tormentata dicotomia dell’esistenza che pone l’uomo al centro di una difficile scelta che lo obbliga a confrontarsi con gli opposti cammini dei sensi e della mente. L’esagramma non è un segno vittorioso, più che altro ricorda il difficile cammino dell’uomo in questa vita. Se è vero che l’uomo, il più delle volte, persegue i piaceri corporali, non può ad esempio ignorare l’arduo e stimolante cammino della conoscenza intellettuale. Quotidianamente si sente responsabile, chiamato in causa, osservato, mentre decide ed opera; ma a giudicarlo non è nessun tipo di tribunale, bensì la sua coscienza morale. Due sono le prospettive morali aperte dalla configurazione dell’esagramma:
- la punta rivolta verso l’alto indica la crescita spirituale dell’individuo che persegue la vittoria del bene;
- la punta rivolta verso il basso al contrario indica l’egoismo di chi vede solamente il lato materiale dell’esistenza e si serve di ogni mezzo per dominare gli altri e ricorre, per lo più, alle forze del male.
Lo stesso Gerofante può spingere gli uomini verso Satana, ma può indirizzarli anche verso il Bene spirituale. Nessun Arcano può sfuggire al dilemma che attraversa quotidianamente l’Innamorato.
La doppia prospettiva dell’Innamorato impregna anche le basi dello stesso potere esercitato dall’Imperatore, il quale può optare per un giusto operato, o farsi forte della sua autorità e agire ingiustamente, ignorando il diritto naturale.
Consideriamo adesso:
6 = 1 + 5
6 = 4 + 2
L’Innamorato subisce i dualismi insiti nel tempio della conoscenza di cui la Vestale è custode e questo già di per sé lo immobilizza, perché non sa decidersi per una risposta definitiva; nello stesso tempo, come l’Imperatore, vuole esercitare il suo pieno potere sul mondo; in più possiede le 4 virtù hermetiche, ma queste sono oscurate dai dualismi sopiti nella coscienza. Contemporaneamente l’Innamorato è attratto sia dalla voglia di conoscere il mondo, che dall’ambizione di dominarlo. In relazione all’Innamorato, il Mago e l’Imperatore svolgono un ruolo attivo di stimolo, mentre al contrario, il Gerofante e la Vestale, svolgono un ruolo passivo, di freno, di inibizione.
Considerando che la Dea-Madre è per metà attiva e per metà passiva essendo prossima a dare alla luce un figlio; possiamo intendere meglio l’equivalenza
6 = 3 + 3
dove l’Innamorato riflette il ruolo creativo ed attivo della madre, che dà tutto per la propria creatura, ed è sacrificato alle esigenze del figlio, egoista al massimo, che vuole tutto per sé. Il numero 3, per sua natura attivo e passivo nel medesimo tempo, si manifesta nella doppia coscienza dell’Innamorato.
6 = 2 + 4
6 = 3 + 3
Il numero 6 in tutti e tre i casi unifica sempre un numero attivo - uno, quattro e tre - con un numero passivo - due, cinque e tre.
6 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 = 21
La Cabala è sempre illuminante, ci mostra infatti come il numero 6 vada a confluire direttamente nel 21, numero che significativamente abbraccia tutto il complesso sistema dei Tarocchi. Il 6 diventa il minimo comune denominatore dell’intero sistema, che non può sfuggire al perenne dilemma dell’Innamorato. Solo il 21, come vedremo, produrrà un effettivo cambiamento, totale e radicale e solo il 21 segnerà l’effettivo superamento della logica dell’Innamorato.
Dunque ogni Arcano ha una valenza positiva e negativa nello stesso tempo e solamente la situazione specifica nel suo complesso può dirci quale è la valenza che prevale.
Questa ultima equivalenza ci dice anche che le due vie possono portare ad una soluzione diversa e originale, totalmente nuova di cui il numero 21 è l’espressione visiva. Come il 2 si rifletteva nel 3, così il 6 si riflette nel 21.
Questo Arcano denota nella sua valenza negativa difficoltà di scelta, indecisione, immobilismo, incapacità di andare avanti, scarsa personalità, poca intraprendenza, dipendenza dai sortilegi amorosi, attrazione patologica verso il proibito.
L’Innamorato nella sua valenza positiva significa altresì passione, innamoramento, libero arbitrio, rispetto per le esigenze corporali e spirituali, amore nel senso più pieno e totalizzante, che sa dare e ricevere.
Grazie all’Innamorato infatti L’Amore - 6 = 3 + 3 - va ricostruito nella sua doppia natura originaria, che è propria del numero 3 - essendo 3 = 1 + 2 e 3 = 2 + 1 -, e che va accettata integralmente senza esaltare l’anima e penalizzare il corpo.
L’Amore comporta un riconoscimento della duplice natura umana che è corporale e spirituale insieme. La soddisfazione del corpo potenzia lo spirito e viceversa. Ogni morale repressiva non solo nega una componente dell’Amore, ma anche sacrifica quella parte importantissima che è il corpo.
In termini di flussi energetici, la stessa energia che è sufficiente per produrre sperma, può essere spesa per produrre un’idea vivente.
L’idea astrale individuale può trasformarsi in collettiva, se a produrla sono un gruppo di persone, o un intero popolo.
Comunque il contenimento dell’energia spermatica fisica e psichica, è dannoso alla salute ed innaturale, mentre un flusso moderato di tale energia provoca in ogni caso un benefico e salutare piacere.
Le mortificazioni Corporali (tipo prolungati digiuni, flagellazioni, castità assoluta) non migliorano la persona elevandone lo spirito, piuttosto la sospingono forzatamente verso la punta superiore dell’esagramma.
Un moderato consumo di cibi e di bevande alcoliche aiuta al contrario la concentrazione e il potenziamento della mente, in maniera graduale si rafforza anche il corpo che non è costretto ad assumere eccesso di cibo, oltretutto anche dannoso per la salute fisica.
Bisogna ricordarsi che ciò che è dannoso per il corpo è dannoso anche per la mente. Non dimentichiamo le due massime latine che dicono:
mens sana in corpore sano (ovvero la mente è sana, quando anche il corpo sta in buona salute) e in medium stat virtus (ovvero la virtù sta sempre nel punto di mezzo, che è quello di massimo equilibrio; per cui guardati bene dall’abbracciare soluzioni estremistiche).
Influssi delle varie case sull’Innamorato.
Nella prima casa l’Innamorato è lo specchio della persona che domanda l’oracolo dei Tarocchi e la sua valenza è complessivamente positiva.
Nella seconda casa l’Innamorato è un antagonista nella situazione in oggetto e la sua valenza è invece negativa.
Nella terza casa l’indecisione, l’imbarazzo, la stasi del giovane Innamorato è allora nascente e non del tutto vincolante.
Nella quarta casa l’Innamorato è più attratto verso la concretezza.
Nella quinta casa l’Innamorato è invece calamitato dalla personalità più spirituale, più intellettuale ed enigmatica.
Nella sesta casa l’Innamorato si trova pienamente a proprio agio e preferisce crogiolarsi nella propria indecisione con una certa voluttà narcisistica.
Nella settima casa l’Innamorato costituisce una piena riscoperta del libero arbitrio.
Capitolo 21
Arcano numero 7: il Messaggero degli Dei
descrivono ogni possibile situazione.
Al cartomante esperto affida l’interpretazione
delle sette carte: sublime sintesi di vita.
Ascolta la voce degli Dei celata nella tua coscienza,
oscurata dal vigile inconscio originario collettivo.
Lasciati guidare dall’istinto, dalla passione,
dal sentimento più che dalla ragione.
Dialoga. Non isolarti nell’egoismo cieco.
Attendi fiducioso il tuo momento.
Confida nelle tue energie interiori.
Forgia il tuo destino.
Lotta per il trionfo dei tuoi ideali di vita.
Non ti lasciare sopraffare dalla stanchezza,
dal tedio e dalla depressione.
Vincere è possibile
assimilando le valenze del numero sette:
numero taumaturgico sparso tra le note musicali,
e i colori disegnati dall’arcobaleno.
Sette: i giorni della creazione,
i sigilli che spalancano l’Apocalissi.
Il 7 attinge la vitalità portentosa
emanata dal numero 1
e l’attesa pensosa trasmessa dal numero 6.
Il 7 unifica la forza generatrice
scaturita dal numero 3
e l’autorità indiscussa del numero 4.
Il 7 decifra i dualismi insiti nel numero 2
e la natura occulta della quintessenza.
Hermes, il vate messaggero,
inviato dai signori del tempo,
trasportato nel vortice generato dall’elio,
dirada le tenebre e sette arcobaleni
disegnano le volte celesti per annunciare
la discesa dell’aureo cocchio
e il trionfo dell’armonia
sulle schiere figlie di Satana.
Vi sono diversi modi per leggere i Tarocchi; ogni cartomante possiede le sue risorse e predilige una particolare disposizione delle carte, frutto della sua esperienza.
Tra le molteplici possibili combinazione, noi ne abbiamo scelta una, non a caso. Ci siamo messi in sintonia con l’Arcano numero sette e crediamo che una disposizione di sette carte, all’interno delle sette case generate all’interno della Stella di Davide, sia la più probante ed offra l’opportunità di cogliere tutte le valenze proprie del numero sette, sui cui sono manifesti gli influssi della Cabala.
precursore ideale del messaggero degli Dei
Chi non ha potuto ammirare a Delfi l’Auriga, datato 475 a.C., (un bronzo rinvenuto nell’omonimo sito archeologico durante scavi casuali) e non ha condiviso l’emozione che quel capolavoro riesce a trasmettere, forse non riuscirà a capire, la nostra interpretazione dell’Arcano numero 7 (denominato comunemente Carro) a cui abbiamo conferito l’appellativo più consono e regale di Cocchio.
Delfi era uno dei luoghi di culto più sacri della Grecia antica, dove i sacerdoti vati ascoltavano la voce degli Dei dell’Olimpo ed in particolare quella del dio Apollo. L’Auriga, facente parte di un’originaria quadriga, fu donato al santuario dal tiranno di Gela, Polizelo, per omaggiare gli Dei, dopo aver vinto una corsa delle bighe durante lo svolgimento dei giochi Pitici: uno dei quattro giochi panellenici dell'antica Grecia, precursori dei giochi olimpici, che si disputavano ogni quattro anni al santuario di Apollo a Delfi. Siamo convinti che il settimo Arcano, secondo l’artefice che aveva disegnato i Trionfi, incarnava la missione del divo Hermes: eretto auriga trionfante, avvezzo a discendere tra i comuni mortali per confortare e talora anche confondere con messaggi criptici per nulla consolatori. L’Arcano Numero 7 trasmette una sensazione di trascendenza; si discosta dagli altri sei, sostanzialmente molto più terreni che lo precedono. Quei suoi tratti divini trasmettono la parola degli Dei e consentono ai comuni mortali di ascoltare la loro voce.
La nostra è stata un’associazione d’idee e di sensazioni spontanea, che ha pure un suo fondamento cabalistico nel numero 7 che chiude un ciclo: il primo ciclo di sette carte dei Tarocchi. E i cicli, ben distinti e differenziati tra loro, sono in tutto tre:
1 - 7 / 8 - 14 / 15 - 21.
Il corpo celeste Gea (in greco, la Terra) percorre tranquillamente la sua orbita ellittica, sospinto da un’energia interiore che lo fa ruotare su se stesso. E’ come una biglia che corre sul biliardo astrale, ove l’attrito è nullo. E se al centro dell’orbita di Gea non ci fosse la possente attrazione del Sole, lei continuerebbe la sua corsa nello spazio come una meteora. Senza il Sole, Gea e le creature viventi che la popolano neppure esisterebbero.
Il Cocchio aureo è stato forgiato da Efesto proprio per ricordare a tutti queste verità astrologiche elementari: per annunciare ovunque la vittoria del movimento delle particelle dell’elio. Il Cocchio si trascina dietro un raggio di sole che si frammenta nei sette colori dell’iride, per essere sempre visibile ovunque ed evitare che la notte possa oscurarlo. Il corpo del Cocchio è costituito d’oro massiccio permeato dalla sostanza della luce del Sole. Quelle che possono sembrare ruote non sono che i vortici astrali dell’elio, che imprimono al veicolo un’energia inesauribile. Pure i cerchi delle ruote sono d’oro e i chiodi che li fissano, di tanto in tanto, si trasformano in altrettanti occhi indagatori, affinché la luce possa scrutare attentamente in ogni direzione.
Il Cocchio è preceduto da un animale mitologico a due teste, un focoso destriero alato che può dare l’impressione di esserne il trascinatore, mentre in realtà vi è stato soltanto aggiogato e talora si dimena furiosamente senza conseguire d’imprimere al Cocchio la benché minima correzione di rotta.
L’Arcano del Cocchio raffigura un auriga eretto e trionfante che riesce a domare l’animale mitologico. Tale auriga rammenta visibilmente il celebre bronzo rinvenuto a Delfi, esposto nell’omonimo Museo.
Il Cocchio in movimento, per virtù intrinseca, ha superato la stasi dell’Innamorato e non conosce ostacoli di sorta. Consigliere leale e disinteressato, il Cocchio compare in circostanze particolarmente significative, ma il messaggio ermetico, trasmesso dal dio Hermes, riesce oscuro ed indecifrabile, se non viene ascoltato con animo innocente, se non si possiedono le 4 Virtù Ermetiche e la triplice Virtus di armonizzare i contrari, che costituiscono le prerogative del messaggero.
La Voce degli Dei è presente in ciascuno di noi, sotto forma di coscienza morale. Essa non è un tribunale della coscienza, né una entità che controlla i nostri atti, che vigila su di noi come un angelo custode, piuttosto va intesa, come un retaggio indelebile della nostro status originario di Dei, che può essere stato rimosso, oscurato, censurato nella coscienza attiva di ogni giorno, ma giace in qualche angolo remoto della psiche, imbavagliata, ma non spenta dal vigile inconscio originario collettivo.
L’autentica trascendenza va vista nel Cocchio. Ci dice che siamo stati Dei e che il peccato originario è consistito nel ritenere di potere primeggiare sugli altri Dei e di potere svolgere il ruolo di Dio (che scaturisce proprio da questo atto violento di dominio sulle altre creature).
Il mondo è frutto di un progetto collettivo di tutti gli Dei. Un’entità malvagia primordiale, che talora si manifesta e si spaccia per Dio, ha voluto dominare il mondo.
L’inconscio originario collettivo è l’unico vero Demonio che vuole e pretende d’essere riconosciuto ed adorato come l’unico signore dell’universo che è un progetto intelligente di molte essenze, o entità primordiali, che noi qui abbiamo spesso indicato col nome di Dei. Quindi essenze, entità primordiali, Dei, vanno intesi quali sinonimi.
Il Cocchio ci ammonisce e ci indica la via da seguire, illuminandoci. Episodicamente gli Dei tornano sulla Terra per riaffermare i loro diritti usurpati e rammentare la vera genesi del mondo, scaturito dal disegno intelligente di essenze originarie, o Dei.
Secondo la Cabala il 7 è descritto dalle seguenti equivalenze:
7 = 1 + 6
7 = 2 + 5
7 = 3 + 4
Il 7 è quel numero che per 3 volte è in grado di assommare in sé i numeri che lo precedono. La proprietà unificante del 7 è in grado di conciliare numeri che sono tra loro in antitesi e in opposizione.
7 = 1 + 6
Il numero 7 unifica l’attivismo frenetico del Mago con l’immobilismo cronico dell’Innamorato, consente di dare al Mago un maggiore equilibrio interiore e trasferisce all’Innamorato quel coraggio e quella voglia di osare che in fondo un poco gli mancano ed anche un pizzico di spensieratezza.
7 = 2 + 5
Il numero 7 ripristina la sapienza originaria, sottratta ai suoi legittimi depositari - gli Dei - e tolta all’intera collettività umana, custodita gelosamente in Templi a cui accedono soltanto iniziati prescelti; sapienza che è gestita con arrogante intolleranza dal Gerofante che sa come accedere alle chiavi della quintessenza ed usa questo suo potere per fondare Chiese che opprimono le coscienze e limitano la libertà individuale.
7 = 3 + 4
Il numero 7 unifica la disponibilità materna della Dea-Madre con la severità paterna dell’Imperatore, rende più umano e sopportabile il suo autoritarismo - per cui il potere viene gestito in nome degli interessi dell’intera collettività e non riflette più l’egoismo dei pochi privilegiati - e nello stesso tempo arricchisce la Dea-Madre, che non è più soltanto veicolo di procreazione passiva, ma si responsabilizza e decide autonomamente d’essere ingravidata e rifiuta di mettere al mondo figli a cui non può fornire condizioni di vita decorose.
Se il Gerofante fa suo la primordiale esortazione della Genesi crescete e moltiplicatevi, sapendo bene che può solo trarre vantaggio dalla confusione ingenerata dai grandi numeri, nei quali l’energia primordiale fluisce lentamente, dissipata in mille rivoli, resa più fiacca dall’eccessiva frammentazione; il numero 7 avverte che la maternità deve essere vigile e responsabile e che la vita non è sempre una raccolta di frutti copiosi e che anche i terreni troppo sfruttati, una volta fertili, adesso non danno più frutti.
7 + 7 + 7 = 21
Il numero 7, ripetuto tre volte, è in grado di rappresentare l’intero sistema dei Tarocchi che sono 21. Di fronte al 7 ci si sente appagati, soddisfatti, pienamente realizzati. E’ un numero che completa un primo ciclo di 7 numeri e che spalanca le porte ad altri cicli di 7 numeri.
Se il numero 1 apriva la strada ad un itinerario per gran parte ignoto, il numero 7 sigilla la risposta finale a tutte le incognite precedenti.
Il 6 è un numero statico, indeciso, conflittuale.
Il 7 è un numero dinamico, attivo, sicuro di sé, perché il 7 sa quello che vuole, conosce l’inizio e la fine dell’itinerario esistenziale.
Il Cocchio è un Arcano vincente, animato da grandi intenzioni, che non teme ostacoli di sorta. Il conduttore del Cocchio dimostra apertamente di sapere dominare ogni tipo di dualismo, qui rappresentato dal focoso destriero a due teste.
Se il Gerofante pretende di comunicare col divino, l’essenza stessa del Cocchio è divina e il conduttore è un dio che non nasconde nulla a nessuno, un libro aperto sul quale si può leggere tutto, sempre che la sua voce sia udita con umiltà, senza orgoglio, con spirito innocente.
Consideriamo infine questa ulteriore equivalenza:
7 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 = 28 = 2 + 8 = 10
secondo la quale il numero 7 fa sue, rispettivamente, le valenze del 2 e del numero 8, unifica i dualismi esistenti in un superiore equilibrio e sottrae il divenire alla logica perversa della casualità e delle alterne sorti. Da un punto di vista ontologico ogni fenomeno viene descritto e visualizzato da 7 numeri e il settimo è sempre dato dalla somma cabalistica dei precedenti.
L’unico strumento appropriato di divinazione è certamente il numero 7 che è il centro sul quale confluiscono tre linee ideali: quella che unisce l’Uno e il 6, il 2 e il 5 e la linea che unisce il 4 e il 3.
Il numero 7 ci offre il modo più naturale e più certo per utilizzare i Tarocchi e farne degli strumenti che possano illuminare il nostro carattere, rivelare qualcosa sul nostro futuro e fornire una soluzione ai nostri problemi quotidiani.
Quando gli umani sono indecisi, debbono per forza ricorrere ai preziosi suggerimenti divini. I Tarocchi sono come le stelle: occhi celesti puntati sulle miserie del mondo.
La disposizione ideale deve fare riferimento a 7 carte, disposte all’interno della cosiddetta Stella di Davide.
La prima carta uscita illustra la questione in oggetto, il nocciolo del problema, riflette la personalità del consultante, le sue aspirazioni, i suoi dubbi; essa - come il numero 1 - già contiene in sé gli sviluppi successivi della vicenda.
La seconda carta evidenzia la presenza delle forze ostili contrarie ai progetti del consultante, che non si lasciano decifrare facilmente, alla cui chiave di lettura può pervenire il medium che conosce la Cabala.
La terza carta costituisce sempre un superamento dei dualismi precedenti, indica una possibile via di soluzione del quesito posto ed accenna, in maniera diretta od indiretta, ad eventuali, probabili benevoli alleati, forze amiche, che possono indicarci una possibile via d’uscita.
La quarta carta è quella più pratica di tutte e mostra le concrete possibilità che abbiamo di dominare la situazione, di superare gli ostacoli che si frappongono al conseguimento del nostro obiettivo.
La quinta carta fa venire alla luce quello che non sappiamo abitualmente decifrare, perché sta nascosto e tende a farsi sempre più oscuro, a confonderci, a mimetizzarsi; si tratta di una carta subdola, la più difficile da leggere, anche per i cartomanti più esperti.
La sesta carta è quella che paralizza la nostra volontà e le nostre decisioni, che più evidenzia le nostre debolezze interiori e nostri conflitti sopiti, essa mostra le due vie possibili da percorrere, perché si può giungere alla medesima meta per cammini opposti.
La settima carta, solare ed illuminante, possiede la forza della rivelazione propria dei libri Sacri e svela quale sarà l’esito finale del nostro faticoso itinerario in questo mondo; essa ci offre una risposta rassicurante a tutti i nostri inquietanti interrogativi.
Se la carta che occupa la prima casa è lo specchio del consultante e della questione che più gli sta a cuore; la carta che cade nella settima casa indica per molti versi l’evoluzione della sua personalità e dei suoi problemi.
Se le carte che occupano la seconda e la sesta casa sono contrarie al raggiungimento degli obiettivi del consultante; al contrario la terza e la quarta casa gli sono favorevoli.
Il mazzo dei soli 22 Arcani maggiori, debitamente ordinati nel loro ordine naturale a partire dal Mago fino al Mondo, deve essere mescolato 7 volte, prima di disporre le 7 carte nella posizioni sotto indicate nel disegno.
Un oracolo dovrebbe limitarsi ad un solo ciclo di 7 carte, mentre un oracolo speciale, riferito ad una situazione particolare, richiede tre cicli di 7 carte.
Il buon conoscitore dei Tarocchi dovrebbe disporre le carte su di una tavoletta di legno sulla quale siano state praticate le incisioni che abbiamo potuto osservare in un portale di una Chiesa ebraica, sita nella città di Toledo, in Spagna.
La tavoletta dunque riflette un sito che è un crocevia naturale tra le forze del Bene e quelle del Male e che ha visto nei secoli la presenza di sapienti del mondo esoterico e di fedeli che si sono affidati alla loro parola.
Colui che opera con i Tarocchi in questo caso svolge la funzione del sacro vate la cui parola viene accettata con umiltà e fiducia dal consultante che si affida a lui.
Il primo Arcano del Mago è volenteroso, attivo, saggio, sorprendente, spregiudicato, esplorativo, estroverso.
Il secondo Arcano della Vestale è statico, riflessivo, contraddittorio, enigmatico, sapiente, introverso, elitario.
Il terzo Arcano della Dea-Madre è disponibile, affettuoso, materno, sensuale, creativo, conciliante, rivitalizzante.
Il quarto Arcano dell’Imperatore è autoritario, mondano, laico, paterno, forte, deciso, solo.
Il quinto Arcano del Gerofante è occulto, ingannevole, penetrante, dogmatico, malevolo, miracoloso, credente.
Il sesto Arcano dell’Innamorato è indeciso, innamorato, pigro, imbarazzato, tentato, paralizzato, analitico.
Il settimo Arcano del Cocchio è vincente, comunicativo, virtuoso, conciliante, astrale, veloce, sintetico.
Con l’ Arcano del Cocchio si conclude la prima serie dei sette Arcani. Con il successivo Arcano numero 8 si apre la seconda serie di altri sette Arcani.
Presentiamo di seguito le tre serie dei sette Arcani (lasciando fuori ovviamente il Folle, lo zero, che fa parte a sé e idealmente precede tutti gli Arcani):
il Mago l’Equilibrio il Maligno
la Vestale l’Eremita la Torre
la Dea-Madre la Ruota del divenire le Stelle
l’Imperatore la Donzella la Luna
il Gerofante l’Appeso le Stelle
l’Innamorato la Morte l’Apocalissi
il Cocchio l’Alchimista il mondo Nuovo
Nella prima casa la presenza iniziale del Cocchio indica un avvio risolutivo e vincente, una grande forza a propria disposizione per il raggiungimento dei propri obiettivi.
Nella seconda casa la presenza del Cocchio appare meno determinante perché è ostacolata da nemici occulti, dai bavagli imposti dagli scriventi e la sua corsa è frenata dall’immobilismo dei regolamenti. Nella terza casa la presenza del Cocchio prelude a prossimi ed imminenti cambiamenti e la sua efficacia è latente ma destinata a crescere e prosperare. Una donna sarà portatrice di novità. Una notizia favorevole sarà annunciata.
Nella quarta casa la presenza del Cocchio va a consolidare l’autorità legittimandola, conferendole dignità e spessore morale.
Nella quinta casa la presenza del Cocchio incontra ostacoli camuffati, individui ostili dotati di poteri, malvagi di turno, invidiosi dietro l’angolo.
Nella sesta casa la presenza del Cocchio indica che le nostre energie debbono decidere quale direzione prendere e in un certo senso la vitalità del Cocchio risulta sopita e rallentata.
Nella settima casa il trionfo del Cocchio è ovviamente totale e non conosce ostacoli di nessun tipo.
Le valenze negative del Cocchio dunque interessano la seconda, la quinta e la sesta casa e sono praticamente indotte dalla sua posizione all’interno della Stella di Davide.
Arcano Numero 8 - l'equilibrio
Non v’è sapere senza una valutazione equilibrata
del contesto, dei dati a disposizione, dei contrari.
Divenga la Giustizia
il simbolo probante dell’equilibrio.
Il mondo è stato concepito
secondo un’armonia prestabilita.
Satana è la negazione dell’armonia e dell’equilibrio.
L’equilibrio deriva dall’interazione
armonica di molte essenze.
I giusti saranno perseguitati,
condannati, messi al rogo.
La società non è giusta;
ma i popoli civili aspirano alla giustizia.
L’uomo giusto ama il prossimo suo come stesso.
Il giusto Gesù, inviso all’integralismo dei Giudei,
fu crocifisso sotto Ponzio Pilato.
Ghandi fu ucciso da un integralista islamico.
Ogni forma d’integralismo
è la negazione dell’equilibrio.
Pratica la tolleranza e il rispetto del diverso.
La Giustizia nei Tarocchi idealmente rappresenta l’equilibrio degli opposti che s’incontrano in un punto di convergenza. L’Equilibrio, espresso nel numero 8, è visivamente rappresentato da due cerchi tangenti, posti uno sotto l’altro: essi simboleggiano i contrari posti in armonia.
‘Un ottetto è un sistema di livelli energetici o stati di molteplicità 8. Nella fisica delle particelle elementari mesoni e barioni possono essere raggruppati in ottetti. In chimica la regola dell’ottetto è stata introdotta da I. Langmuir ed è basata sulla teoria del legame di G.N. Lewis, secondo la quale quando due atomi si combinano per formare una molecola tramite la messa in comune di coppie di elettroni, l’anello elettronico esterno (o di valenza) di ciascun atomo assume una configurazione stabile del tipo di quella dei gas nobili, cioè con 8 elettroni. La regola dell’ottetto è utile per determinare la distribuzione elettronica di molte molecole comuni.’ (Citazione tratta da www.treccani.it)
Sappiamo, oggi, che la struttura del microcosmo è improntata dalla regola dell’ottetto che determina la formazione di molti composti fondamentali, tra cui l’acqua.
Il chimico francese Antoine Lavoiser affermò con chiarezza che l'acqua era il risultato della combinazione, in proporzioni definite, d’idrogeno e di ossigeno. Tuttavia il suo prestigio scientifico non gli evitò la ghigliottina nel 1794. Purtroppo l’integralismo cieco ammorbava il credo monolitico dei giacobini come Robespierre. Comunque sia lode a quelle culture dinamiche, come la francese, che sono state in grado di partorire più di una rivoluzione, che avranno avuto dei limiti e dei difetti, ma sono state in grado di produrre sostanziali e benefici cambiamenti nella società civile.
Voluto dall’Imperatore Federico II di Svevia, un isolato castello turrito sorge su un colle delle Murge occidentali, in Puglia: prediletta regione del sovrano. Questo capolavoro architettonico, ancor oggi integro, incute rispetto e colpisce l’attenzione del passeggero per la sua singolarità. Possente e maestoso, eretto sopra uno sperone di roccia, per l’assenza di un fossato e di un ponte levatoio non sembra essere stato concepito come una fortezza, quanto piuttosto si materializza nei panni di un’icona visibile a tutti i viandanti da qualsiasi direzione provengano. Grazie al gioco sapiente di otto torri perimetrali, che rinsaldano e accentuano la struttura ottagonale della torre centrale, il castello incarna l’emblema architettonico e visibile del culto dei numeri e delle discipline esoteriche degli alchimisti.
Federico II nutriva una vera passione per l’astronomia, la magia e la matematica. I dotti arabi frequentatori della Corte imperiale avevano accresciuto la sua fama di eretico. Proponendo un vantaggioso accordo economico era riuscito a riprendere ai mori Gerusalemme; senza distogliere l’attenzione dalle vicende dell’Impero, senza dovere organizzare una laboriosa e dispendiosa spedizione e senza montare in sella a un cavallo per iniziare un viaggio lungo e incerto. Il Papa per questo l’aveva scomunicato, perché gli eretici dovevano essere piegati con la spada e con il sangue della Santa Crociata. L’Imperatore Federico, memore della funesta esperienza del padre Barbarossa, morto affogato in un fiume durante l’impresa benedetta, si era guardato bene dal ripercorrere la via intrapresa dai crociati.
L’Imperatore svevo prediligeva le terre fertili della Puglia e in quella regione aveva creato una rete di 111 torri la cui funzione era di mostrare le prerogative del sovrano, il suo potere simbolicamente rappresentato quasi dovunque in un progetto architettonico funzionale che controllava il territorio. Taluni di quegli insediamenti turriti non erano nuovi ma edifici di epoca normanna, o romana, adattati. Il più insigne e ammirato di tutti, oggi chiamato ‘Castel del Monte’, secondo l’Unesco appartiene al ‘Patrimonio culturale dell’umanità’ con la seguente motivazione: ‘Possiede un valore universale eccezionale per la perfezione delle sue forme, l'armonia e la fusione di elementi culturali venuti dal Nord dell'Europa, dal mondo musulmano e dall'antichità classica. È un capolavoro unico dell'architettura medievale, che riflette l'umanesimo del suo fondatore: Federico II di Svevia.’
Anche nella cultura cinese il numero otto assume un significato, per certi versi affine al trionfo numero otto dei Tarocchi.
Gli otto simboli divinatori cinesi hanno come base due linee di forza: una continua, la seconda interrotta nel mezzo. Esse visualizzano rispettivamente i due simboli Yang e Yin.
Quando questi simboli fondamentali (Yang e Yin) sono raggruppati di tre in tre, si formano gli otto trigrammi basici, ciascuno con un significato profondo:
☰ cielo ☷ terra ☵ acqua ☲ fuoco
Combinando gli otto trigrammi fondamentali si ottengono i 64 esagrammi, noti come Ching e usati in Cina per trarre suggerimenti sul corretto modo di agire, in questioni d’amore, consigli nel lavoro e per migliorare il proprio stato di salute.
Cerchiamo di ricostruire la fisionomia del trionfo originario, sottolineando che, comunque, l’essenza dell’Equilibrio, può essere resa in molti modi, tutti efficaci.
Chi amministra la Giustizia, per i lineamenti delicati, ha tutta l’aria di essere una donna, ma la sua espressione austera e pensosa, non lascia trasparire le tipiche qualità femminili ed emana un grande equilibrio interiore.
Otto colonne fanno da cornice al piccolo anfiteatro semicircolare, provvisto di scranni scavati nella pietra, che ospita il pubblico dibattimento. Al centro sta un basamento sul quale poggia un trono ottagonale e su cui è scolpita la frase: l’Equilibrio sta alle fondamenta della Grande Opera, obiettivo degli alchimisti.
Alla vetta del colle si accede attraverso un sentiero che si snoda entro una triplice fila di alberi delle più svariate qualità. La vegetazione, disposta come una specie di barriera naturale, inghirlanda il colle rendendolo ameno e costringe i convenuti al giudizio a incamminarsi in un mistico percorso purificatore.
Temide avanza maestosamente verso il suo trono, mentre otto gazze sorreggono col becco il suo ampio mantello. Una colomba svolazzante la precede e stringe invece col becco uno strano pentacolo. Da una zampa dell’uccello pende un nastro azzurro entro cui sono infilate le otto unità che separatamente compongono l’emblema cruciforme della Giustizia.
Prima di sistemarsi sul trono, Temide solleva in aria la mano destra per accogliere in grembo la colomba svolazzante. Poi, con la massima delicatezza, prende dal suo becco il pentacolo d’oro e lo appende al collo, come a volersi investire di tutti i poteri ivi condensati. Poi, sfilando dalla zampa dell’uccello il nastro, lascia cadere al suolo gli otto cerchi che vi sono infilati. Infine, a un suo cenno, ciascuna delle otto gazze raccoglie da terra una delle forme geometriche e vola via per andarsi a posare su qualche albero.
L’atmosfera è solenne e i convenuti, che seguono in fila indiana, occupano posto sugli scranni in silenzio, nel massimo rispetto del cerimoniale. A questo punto Temide solleva in aria la bilancia d’oro, che sta sempre poggiata, in sua assenza, sul trono ed è il simbolo della sua funzione.
La Giustizia, per essere tale, (di fatto é una chimera effimera) e non essere intaccata dall’arroganza del potere, deve essere affidata a giudici severi e imparziali: otto alate figure simboliche.
Il pentacolo d’oro, sacro sigillo della giustizia, ha il potere d’allontanare le forze occulte negative e garantisce alla persona che l’indossa una protezione speciale.
Il pentacolo dell’Equilibrio illustra la natura del numero 8 e quindi evoca direttamente gli attributi che gli sono propri. Innanzi tutto il numero 8 è l’unico numero che capovolto non muta e coricato equivale al simbolo matematico dell’Infinito.
L’Infinito nella cabala ebraica è tutto ciò che non può essere compreso dal pensiero, ovvero il deus absconditus, che in ebraico è detto en-sof, ovvero ineffabile. Il numero 8 è dunque l’unico numero che partecipa dell’essenza misteriosa del Dio-ineffabile e ci fa accostare a lui in qualche modo.
8 : 2 = 4 : 2 = 2 : 2 = 1
Il numero 8 purifica i dualismi per tre volte consecutive, perché i dualismi sono sempre risorgenti e prima di essere definitivamente composti debbono essere sottoposti per tre volte al lavacro purificatore dell’equilibrio.
8 = 4 + 4
L’equilibrio scaturisce direttamente dalle prerogative dell’Imperatore che abbia pieno controllo delle 4 virtù ermetiche; e ricalca i 4 elementi fondamentali a cui solitamente si associano le 4 virtù ermetiche.
Se gli elementi sono nell’ordine il Fuoco, la Terra, l’Aria e l’Acqua; a questi corrisponde rispettivamente il volere, il tacere, l’osare e il sapere. Il vero saggio sa volere: deve richiamarsi alla natura del Fuoco. Il saggio cauto sa tacere: deve ispirarsi alla natura della Terra. Il saggio coraggioso sa osare: deve richiamarsi alla natura dell’Aria. Il saggio esperto sa di sapere: deve richiamarsi alla natura dell’Acqua.
In un organismo Fuoco, Terra, Aria e Acqua sono in perfetto equilibrio. Nella psiche del saggio anche volere, tacere, osare e sapere cooperano in equilibrio. E così che macrocosmo e microcosmo si corrispondono.
Fuoco e Aria sono elementi attivi, come volere e osare. Terra e Acqua sono elementi passivi, come tacere e sapere (inteso qui come conoscenza innata, originaria - non dimentichiamo che per Platone conoscere equivale a ricordare). L’equilibrio non può che essere per metà attivo e per metà passivo.
8 = 3 + 5
L’ equilibrio e il suo regno debbono venire alla luce per opera della Dea-Madre, che, in qualche maniera, deve intervenire sulla quintessenza per liberarla dalla prigione entro cui è prigioniera. La quintessenza depurata, portata alla luce, spalanca la porta all’equilibrio, che è un concetto limite, astratto, una meta da perseguire, un punto di arrivo, perché l’Eden originario oramai è degenerato.
8 = 2 + 6
L’equilibrio agisce direttamente sui dualismi (sugli interessi divergenti degli individui), evolve i contrasti verso il cosiddetto punto di equilibrio ed opera con decisione, certo della via da seguire, senza esitazioni e dubbi di sorta. L’Innamorato deve scegliere con equilibrio: di fronte a lui stanno le due donne, simbolo delle due possibili vie che si possono percorrere verso la conquista del proprio equilibrio interiore. Le due vie non sono necessariamente quella del bene e quella del male. Impostare il discorso entro questi termini equivale a fare del moralismo e basta. Importante è invece capire che il male e il bene sono correlati, funzionali ad una sola logica, quella che vuole oscurarci il cammino ed impedirci di vedere. Per questo va ribadito che non esiste una sola via verso la verità. Chi lo afferma è in malafede e dogmatico, vuole fare degli adepti, condizionare le coscienze altrui. Dunque non esiste soltanto un solo possibile cammino. L’illuminazione è complementare al libero arbitrio, non lo sovrasta e lo umilia.
8 = 1 + 7
L’equilibrio è Uno soltanto ed è la diretta emanazione del numero 7, l’obiettivo prioritario del Cocchio: far trionfare le virtù di cui è simbolo. L’equilibrio esprime la condizione originaria della persona, vede protagonista il Mago con tutte le sue potenzialità, come la carta numero 1 all’inizio del gioco della vita. E il Mago deve mettersi in relazione con gli Dei, gli autori del progetto originario per approdare all’Equilibrio.
L’equivalenza cabalistica
8 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 = 36 = 3 + 6 = 9
mostra che il numero 8, facendo sue le valenze del 3 e del 6, riflette la sua energia nel numero 9 ; il che significa che l’ equilibrio riuscirà a fare luce sulle contraddizioni, a far trionfare il cammino del bene sul cammino del male e consentirà al Figlio delle Stelle di annunciare l’avvento del Nuovo mondo.
La proposta ideale del regno della Giustizia, imparziale ed eguale per tutti, ridisegna la società nel suo complesso e ci porta a parlare dello ius naturalis.
Il diritto naturale non è scritto da nessuna parte, non è sancito da nessuna legge umana e neppure può essere abrogato o modificato; esso scaturisce dalla natura stessa delle cose e riflette come in uno specchio i quattro elementi fondamentali della vita:
all’Aria corrisponde la libertà di movimento sul territorio e sull’intero globo, per cui ogni impedimento alla libera circolazione delle creature è da considerarsi una violazione di un diritto naturale;
all’Acqua corrisponde la comunione delle risorse naturali esistenti, come acqua, frutti degli alberi e prodotti del suolo , il concetto di proprietà di una porzione di territorio superiore a quella necessaria per la propria sopravvivenza naturale è da considerarsi un abuso;
alla Terra corrisponde la proprietà comune del suolo sul quale ogni creatura può erigere la propria casa e lavorare il proprio orto; la proprietà privata è una violazione ed un disconoscimento di un elementare diritto naturale;
al Fuoco corrisponde il diritto alla vita, per cui nessuna creatura deve uccidere un altro essere, imprigionarlo, costringerlo a lavorare per lui, ad accettare il proprio credo, né obbligarlo a prendere in mano le armi e a combattere una guerra non sua.
Il Regno della Giustizia comporta il ripristino dei diritti naturali offesi e implica ovviamente un disconoscimento degli pseudo valori esistenti.
L’Arcano della Giustizia inaugura il secondo ciclo dei Tarocchi e si trova idealmente in diretta corrispondenza con l’Arcano del Mago.
Se il primo Arcano del primo ciclo, il Mago simboleggia il Demiurgo che mescola i 4 elementi fondamentali e dà loro equilibrio – e quindi possiamo assimilare il Mago all’equilibrio originario; il primo Arcano del secondo ciclo, la Giustizia mostra le forme concrete dell’equilibrio nel quotidiano, nel mondo, in seguito all’uscita dell’uomo dallo stato di natura.
L’Arcano della Giustizia indica equilibrio interiore, buon senso, imparzialità, obiettività, aspirazione a instaurare un mondo fondato sopra valori incrollabili, un procedimento giudiziario imminente o in corso, una persona giusta ed equilibrata, un giudizio sereno, difesa dei valori, lotta per un mondo più giusto.
Anche questo Arcano, come tutti i precedenti, ha delle valenze negative, che hanno soprattutto radici storiche, in quanto fondamentalmente la Giustizia è un’affermazione di principio astratta che non trova una sua applicazione nella realtà dove le disuguaglianze conseguenti all’uscita dell’uomo dallo stato di natura diventano anche sociali ed economiche.
Tale valenze negative saranno più evidenti ed prenderanno una maggiore consistenza soprattutto nella seconda, nella quinta e nella sesta casa.
Nella prima casa l’Arcano della Giustizia trova la sua collocazione naturale e asseconderà le intenzioni e le aspirazioni benevole della persona che domanda un oracolo fondato sui Tarocchi, ma ne contrasterà gli obiettivi malevoli.
Nella seconda casa l’Arcano della Giustizia avrà una valenza sostanzialmente negativa e stenterà molto ad imporsi perché sarà contrastato da obsolete leggi scritte, da meccanismi giudiziari macchinosi e lenti, dalla corruzione degli addetti.
Nella terza casa l’Arcano della Giustizia non godrà pienamente tutte le sue prerogative, perché la Giustizia sarà nella sua fase nascente e quindi più fragile, ma col tempo riuscirà a trasmettere tutti i suoi benefici influssi.
Nella quarta casa l’Arcano della Giustizia riguarderà soprattutto la sfera mondana, ovvero l’ambito giudiziario vero e proprio, le procedure, un processo in corso, l’attesa di un verdetto e sarà abbastanza favorevole alla situazione che si sta esaminando.
L’Arcano della Giustizia nella quinta casa sarà impercettibile, ma nello stesso tempo essenziale e concerne un equilibrio profondo che deve caratterizzare tutte le cose e che chiameremo equilibrio originario, intendendo con questo l’equilibrio esistente nel mondo prima dell’uscita dell’uomo dallo stato di natura. L’Arcano propenderà per gli squilibri e contrasterà con le aspirazioni di Giustizia degli interessati.
L’Arcano della Giustizia nella sesta casa sarà abbastanza statico, impedito nel suo movimento naturale, dalla presenza di altre forze ostili, per cui avremo processi molto lunghi, attese snervanti a tutto vantaggio dei malfattori.
Infine nella settima casa l’Arcano della Giustizia riuscirà a predominare sulla situazione e a prevalere sulle presenze che lo contrastano.
L’Equilibrio, condensato nel numero 8, è visivamente rappresentato dall’incontro di due cerchi, che simboleggiano i contrari che debbono essere posti in armonia.
Capitolo 23
segui la voce interiore della coscienza
senza lasciarti distrarre e fuorviare.
Tu stesso possiedi una fievole ma potente luce
che può diradare le ombre della notte
ed accendere la speranza.
Devi sapere trarre una grande gioia
dalle piccole cose anche insignificanti.
Una piccola ghirlanda di luce
sul quotidiano tormento
ci dà la forza di perseverare.
L’apparente semplicità cela un grande spirito.
Non parlare troppo di te,
non dissipare invano energie,
usa il mantello dell’Eremita per proteggerti
dalle energie oscure dei tuoi nemici,
sparsi ovunque e camuffati come falsi amici.
Non v'erano motivi validi per alterare l'icona mite del vecchio Eremita, solo con la sua lanterna. Appariva come uno dei tanti chierici vaganti, inoffensivo, anche se celava un oscuro messaggio di anarchica libertà. La partita si giocava con altre carte dalla valenza più marcata, che mettevano in gioco direttamente i valori della società costituita: la religione, il potere, i ruoli sociali. Quindi nessuno osa toccare la sostanza della carta del pellegrino alla ricerca della pietra filosofale. Sembra quasi che la preziosa lanterna abbia saputo fugare ogni nemico occulto e sia riuscita ad emanare nei secoli forza e coraggio. L'Eremita simboleggia la grande sfida combattuta sempre tra coloro che tendono a fare luce sui misteri e coloro che invece preferiscono alimentarli per trarne vantaggio personale.
Lungo un impervio sentiero, che attraversa l’aspra vetta di una montagna, discende l’anziano Eremita, preceduto dalla sua caratteristica lampada a forma di tetraedro. Alimentata da tre luci prodotte da tre stoppini che ardono sopra un unico blocco di cera e protetta da tre vetri trasparenti, la lanterna non si affievolisce, ma sprigiona una luminosità intensa, di molto superiore a quella delle lampade normali. La struttura in ferro battuto a forma di tetraedro termina con dei piedi singolari a forma di tre, di sei e di nove, mentre nella parte superiore sporgono tre uno. Di fatto la forma della lanterna costituisce una visualizzazione del calcolo cabalistico, di cui l’anziano Eremita è maestro.
L’Eremita, grazie al proprio equilibrio interiore e alle proprie virtù, ci insegna che la ricerca va fatta con metodi naturali ed intuitivi senza ricorrere ad artifici tecnici, semplicemente osservando con occhi differenti la natura che ci circonda. Sul capo dell’Eremita splende la luce del firmamento e lui, quasi in sintonia, si fa luce nella notte con la sua lanterna. E’ evidente che le stelle in cielo trovano la loro corrispondenza nella lanterna sulla terra.
Il 9 secondo la Cabala può così essere descritto:
9 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 = 45 = 4 + 5 = 9
ovvero il 9, si riflette in se stesso, come in uno specchio, e partecipa della valenza del numero 4 e del numero 5, ovvero utilizza le 4 virtù ermetiche e sa cogliere la quintessenza insita, spesso celata, nelle cose.
Una peculiarità del numero 9 consiste nel fatto che tutti i numeri, moltiplicati per 9 e poi esemplificati, danno sempre come risultato nove.
Consideriamo qui di seguito alcuni esempi:
9 x 9 = 81 = 8+1 = 9
9 x 19 = 171 = 1+7+1 = 9
9 x 427 = 3.843 = 3+8+4+3 = 18 = 1+8 = 9
9 x 8.426 = 75.834 = 7+5+8+3+4 = 27 = 2+7 = 9
i quali dimostrano inequivocabilmente che il numero 9 assimila gli altri numeri, li fa suoi, ne annulla le proprietà, quasi li costringe a specchiarsi alla luce della sua essenza..
Consideriamo una singolare e curiosa proprietà del numero 9:
9 x 12 = 108
9 x 123 = 1.107
9 x 1.234 = 11.106
9 x 12.345 = 111.105
9 x 123.456 = 1.111.104
9 x 1.234.567 = 11.111.103
9 x 12.345.678 = 111.111.102
9 x 123.456.789 = 1.111.111.101
9 x 1.234.567.890 = 11.111.111.010
Il prodotto ottenuto riproduce, nell’ultima cifra, la serie decrescente dei numeri dal 9 allo zero; la riduzione dei numeri ottenuti dà sempre il numero 9; dai 10 prodotti scaturisce l’uno ripetuto 45 volte e il numero 45 ridotto equivale a 9; complessivamente lo zero scaturisce dai 10 prodotti 10 volte.
Da un punto di vista matematico il segno = indica una equivalenza tra numeri che esprimono delle quantità.
Le operazioni cabalistiche invece sono di tipo qualitativo.
Il segno > potrebbe sostituire la pura e semplice equivalenza espressa dal segno =.
Il segno > significa inglobare, abbracciare, fondere insieme, appropriarsi di altre qualità e saperle assimilare e far proprie.
9 > 1 + 8
L’Eremita possiede una luce portentosa che mai s’affievolisce ed è alimentata da un'energia tutta interiore. L'Eremita ha fatto sua la natura del Mago e riesce a dosarla con il massimo equilibrio senza lasciarsi andare a manifestazioni esagerate.
9 > 2 + 7
L’Eremita riesce a fare luce sui dualismi, a unificarli, a operare una sintesi tra gli opposti. Spalanca le porte del tempio della conoscenza, perché si presenta con il piglio vittorioso dell’auriga che guida il Cocchio degli Dei.
9 > 3 + 6
L’Eremita fa germogliare nuova linfa vitale dalle situazioni conflittuali che gli si presentano dinanzi. Alla stasi ossessiva dell’Innamorato risponde con la frenetica andatura decisa della sua persona che non si lascia abbattere facilmente dagli ostacoli che incontra nel suo cammino.
9 > 4 + 5
Pur nella sua veste dimessa, l’Eremita partecipa dei poteri che sono propri dell’Imperatore e del Gerofante, ma in maniera meno spettacolare, quasi in silenzio, perché non ha bisogno di ostentare quello che sa. Possiede le 4 virtù ermetiche e capta la quintessenza delle cose, ma non se ne serve per obiettivi personali di dominio sugli altri. Lontano dai troni del mondo, talvolta viene chiamato per risolvere questioni importanti grazie alla sua saggezza, ma non cerca la popolarità. Il suo trono è invisibile, ma c’è. Non ha bisogno di mostrare pubblicamente tutto quello che sa. Si accontenta anche del poco che ogni giorno riesce ad apprendere e la sua ricerca è incessante.
9 = 3 + 3 + 3
Tale equivalenza spiega perché il 9 è chiamato tre volte sacro, perché ha fatto sue le prerogative della Dea-Madre: riesce a generare una luce che non ha bisogno di combustibile; si alimenta dell’energia cosmica delle Stelle e riesce a non stancarsi nella sua perenne ricerca malgrado l’età avanzata.
L’Eremita conosce solo quello che la sua lanterna è riuscita a rischiarare personalmente. Il suo messaggio profondo consiste proprio nel sottolineare questo: solamente l’individuo può farsi luce per arrivare alla verità, ma questa luce è interiore; tutto il resto - libri, pareri autorevoli, esperienze di altri - anche se in misura cospicua, non possono guidarci come quella piccola lanterna che ognuno di noi possiede dentro di sé.
Consideriamo adesso la caratteristica lanterna a forma di tetraedro che precede il cammino dell’Eremita.
Va considerato che tutti i numeri esistenti sono riducibili a 1,3,6 e 9 e va sottolineata una singolarità, ovvero che la serie dei numeri, analizzata attraverso la Cabala, se ridotti, può essere suddivisa in gruppi di nove, caratterizzati dal costante ritorno dei numeri 1, 3, 6 - 1, 6, 3 - 1, 9, 9 e che l’ulteriore riduzione delle terne dà sempre 1, ovvero l’unità generatrice.
Dunque il tetraedro è la forma geometrica per eccellenza, perché la sua unità, 1, è costituita da sei punti, 6, nove lati, 9, e cinque facce, 5, e che la somma risulta essere ventuno
1 + 6 + 9 + 5 = 21
La sostanza dell’enneade, il 3, il 6 e il 9, sommata al numero 1, il generatore, dà ventuno, e tutto ciò conferma che la forma geometrica del tetraedro corrisponde alla sua essenza numerica.
L’Eremita, secondo Arcano del secondo ciclo dei Tarocchi, ha per suo corrispondente la Vestale del Tempio della conoscenza.
Se il secondo Arcano del primo ciclo, la Vestale del Tempio della conoscenza compie un excursus che concerne la conoscenza scritta nei libri e gelosamente custodita da una casta privilegiata che si riserva il diritto di gestire i modi e i tempi della conoscenza; il secondo Arcano del secondo ciclo, l’Eremita, compie un excursus che riguarda la ricerca della conoscenza compiuta da un singolo individuo, fuori da ogni regola, non codificata, libera, in netta contrapposizione con quella gestita dalla Vestale del Tempio della conoscenza da cui invece scaturisce ogni forma di potere.
Se la Vestale del Tempio della conoscenza illustra la connotazione sociale della conoscenza, l’Eremita illustra invece la connotazione personale della conoscenza.
Alla prima serie dei sette Arcani corrispondono altre due serie di sette Arcani che vanno messi in relazione soprattutto con gli Arcani precedenti di cui costituiscono un approfondimento, un espansione, una specie di meditazione sotto un angolatura differente, ma che riguarda una sola natura delle cose già enunciata una volta per tutte nella prima serie dei primi sette Arcani.
L’Arcano dell’Eremita indica volontà di ricerca, una persona caparbia e instancabile, un’individualità isolata ma al disopra della media, la saggezza e l’esperienza della vecchiaia, l’isolamento del ricercatore, grande dedizione verso una nobile causa, lo spirito contemplativo, un idealista, un sognatore, un nemico dell’ordine costituito, un anarchico che lotta per il proprio ideale di vita.
Nella prima casa l’Eremita sposa la sua esperienza e maturità con l’intraprendenza e la baldanza giovanile e cerca il dialogo e il rapporto costruttivo con gli altri e quindi non rimane confinato nell’isolamento.
Nella seconda casa l’Eremita tende a contrapporsi naturalmente al sapere elitario codificato nei libri e custodito gelosamente da una casta privilegiata e combatte in pieno la sua legittima battaglia per un sapere autonomo individuale, cresciuto nella propria interiorità.
Nella terza casa l’Eremita si trova nella fase iniziale della sua ricerca laboriosa e dovrà percorrere ancora molta strada per cui il suo cammino sarà lastricato di ostacoli e difficoltà che alla fine saranno superati.
Nella quarta casa l’Eremita deve fare i conti con l’autoritarismo del potere che vede nella sua libertà di movimento un pericolo ed una minaccia per l’ordine costituito e le regole sociali a cui tutti indistintamente debbono uniformarsi.
Nella quinta casa l’Eremita trova degli ostacoli d’ordine superiore: quali la sacralità del libro, l’ipse dixit, le istituzioni religiose nemiche della sua eretica individualità che mette in discussione tutto e tutti.
Nella sesta casa l’Eremita non riesce a proseguire la sua ricerca e rimane bloccato perché è indeciso, fiacco, attratto da donne che lo lusingano con seducenti richiami, lo tentano con proposte che turbano i suoi sensi e si frappongono lungo il suo cammino.
Nella settima casa l’Eremita riesce a dialogare con le forze superiori che sovrintendono l’ordine naturale delle cose e quindi la sua ricerca giunge a buon fine e gli obbiettivi possono essere conseguiti.
Le accezioni negative per l’Arcano dell’Eremita compaiono nella quarta, quinta e sesta casa; mentre nelle restanti case prevale la positiv
Capitolo 24
Arcano Numero 0: il Folle
seducenti ed improvvise della Follia;
evita i sillogismi infiniti senza soluzione;
non strapazzare inutilmente la logica.
Confida nel pensiero lucido.
Enti oscuri e malevoli
ti trascineranno in vortici improvvisi.
Vi sono gorghi di follia disseminati
per farti perdere il senno.
Se pensi troppo, sei pericoloso
e devi essere ricondotto alla normalità indifferente.
Assecondali per un attimo i tuoi nemici;
beffali poi con un sorriso ironico
e ritorna al consueto cammino
come un naufrago che si aggrappa
ai legni del naviglio dopo una tempesta.
Altresì trascina un pizzico
di sana follia nella ragione
e avrai trovato il sentiero oscuro.
Evita di cadere distrattamente nell’abisso,
lasciati scivolare come i granelli di sabbia
nel fondo della clessidra.
Zero in condotta. Zero spaccato. Tolleranza zero. Tagliare i capelli a zero. Zero titoli. Queste sono alcune delle espressioni correnti che indicano come lo zero sia visto comunemente nella sua accezione negativa. Lo zero assoluto indica che l’energia cinetica delle molecole a - 273,15 é nulla.
Sempre nella scala delle temperature lo zero segna uno spartiacque, in quanto sappiamo che a zero gradi l’acqua cambia il suo stato fisico da liquido a solido. Evapora a 100° e lo zero ancora una volta interviene per segnare un cambiamento di stato: da liquido ad aeriforme.
Numericamente lo zero segna le decine, le centinaia, le migliaia, indica sempre delle svolte numeriche importanti. Lo zero costituisce la base del sistema numerico adottato oggi universalmente: quello decimale, basato sul numero 10. Se ben vediamo la sostanza del numero 10 sta proprio nello zero che riporta il numero 1, e tutti gli altri numeri 2,3,4,5,6,7,8,9 alla loro funzione periodica. Lo zero matematicamente non è un disvalore, ma un valore, o verso la positività, o verso la negatività.
Lo zero graficamente è un segno chiuso che ingloba idealmente tutti i numeri possibili. In esso è riconoscibile un cerchio: la perfezione. Rammenta anche l’uovo originario da cui è scaturita la vita. Lo zero è il non-essere che si dispiega nell’essere. Ci guarda come un occhio. Investiga nella nostra coscienza. Non occupa uno spazio proprio, eppure è ovunque. Nel codice binario informatico le informazioni sono espresse dallo zero e dal numero 1, da una sequenza di 0 ed 1. Il linguaggio informatico non può prescindere dallo zero. Quindi la nostra civiltà e la nostra cultura scaturisce dallo zero. Siamo pregni di zero. Senza lo zero non ci sarebbe né scienza, né matematica. Questo numero dei numeri, cruciale, essenziale, scandisce il nostro tempo; parla nei nostri cellulari e si rappresenta nelle immagini dei nostri computer.
Come un ente divino lo zero permea tutte le cose, visibili ed invisibili. Se dovessimo fare un intervista a Dio, (sarebbe il più grande colpo giornalistico della storia), dovremmo per forza intervistare lui, lo zero, dargli voce, farlo parlare per dirci con parole sue, quello che siamo, perché siamo. Lo zero, Dio, certo saprebbe rispondere ai nostri quesiti esistenziali in maniera perentoria, assoluta, indiscutibile. Ecco noi, quando pensiamo a Dio, vorremmo conversare amichevolmente con lo zero, come un compagno di scuola, un amico. Siamo sicuri che lui, lo zero, non mentirebbe. Direbbe tutta la verità. Non edificherebbe chiese, non consacrerebbe libri. Non esigerebbe preghiere e digiuni. Non avrebbe bisogno di altri rituali. Lo zero nella sua semplicità rigorosa esprime la nostra totalità e complessità. Prendiamolo per mano, come bambini con un padre. Grazie zero. Questo zero potrebbe compiere la più grande rivoluzione nella storia del pensiero. Spodesterebbe falsi dei, Re, sacerdoti. Ci riporterebbe alle origini, al Paradiso terrestre originario, cui eravamo stati destinati e da cui siamo usciti per avere commesso il peccato primordiale.
Nell’iconografia medioevale il Folle è forse il più rappresentato, il più temuto, il più popolare. La carta del Folle nei mazzi più moderni è diventato poi il jolly, la matta, che può assumere il valore di tutte le altre carte. Il termina jolly deriva dal francese ‘joli’, giulivo. Jolly in inglese significa felice. Nel medioevo la figura del giullare e il suo abito ricordano proprio la figura del jolly nei mazzi di carte moderne.
“La raffigurazione di un folle nell’iconografia biblica del Salmo 52 acquista un particolare significato se analizziamo i tipici attributi della figura nei manoscritti del XIII e nel XIV secolo e la sua graduale trasformazione da un insipiens nudo o seminudo in un buffone di corte. Nel processo di metamorfosi dalla clava tradizionale alla marotte, si possono individuare alcune fasi intermedie che meritano di essere studiate. Curiosamente, le prime comparse di questo attributo tipico dei giullari sono proprio in alcune illustrazioni in cui l’insipiens è raffigurato come un chierico vagante, spesso con una tonsura a croce (un evidente segno di infamia). In altre miniature la satira tende a sottolineare l’analogia tra il folle biblico e altre figure emarginate, come i suonatori girovaghi, raffigurati con strumenti musicali assurdi come pinze da camino, ossa mandibolari e code di cani.”
Stolti, buffoni e chierici nell’iconografia medievale
Pubblicato in “Quaderni Medievali”, 56, dicembre 2003, pp. 14-56. Edizioni Dedalo
La funzione sociale del Folle
Paradossalmente il Folle sa come appropriarsi della felicità; mentre il saggio, forse per troppa consapevolezza, se ne è allontanato. Nel Medioevo, il Folle era rispettato e non veniva relegato in in manicomio; esso aveva la funzione di rappresentare fisicamente, visivamente, quanto è preziosa quella ragione che tutti, improvvisamente, per svariate ragione, se non siamo adeguatamente preparati, possiamo perdere. La presenza di un Folle, all’interno di una comunità, è quindi terapeutica ed aiuta paradossalmente a non perdere il senno.
Il Folle dà l’impressione di non sapere ove è diretto. Procede alla cieca senza curarsi di dove mette i piedi. Avanza verso un precipizio, ma non guarda innanzi a sé, bensì volge lo sguardo all’indietro. E’ vestito in maniera appariscente con un abito logoro molto colorito che lo fa assomigliare ad un pagliaccio di corte, o a quei giullari canterini che allietano le piazze e spezzano la monotonia delle giornate con lazzi divertenti, incantando i bambini con imitazioni e acrobazie. Un cane, forse randagio, o forse il suo abituale compagno di viaggio, gli sta mordicchiando il polpaccio che un poco sanguina. Certamente vuole avvertire l’uomo del pericolo imminente che gli sta dinanzi e di cui non pare rendersi conto, perché dà la netta sensazione di essere completamente fuori dalla realtà. L’animale ha fiutato l’esistenza del baratro e presagito l’insidia nascosta.
Allucinato e perso chissà dietro a quale ricordo, o a quale improvvisa visione, l’uomo non si cura del suo cane, né cerca di allontanarlo da sé col nodoso bastone, su cui ha appeso una bisaccia che deve contenere tutti i suoi averi, che non hanno certo l’aria di essere di molto valore. Né, per cercare di disturbare almeno un poco l’animale, usa il lungo e più fino bastone, che tiene nell’altra mano e che è del tutto inutile, visto che non costituisce un punto d’appoggio e che l’uomo non usa per sondare il terreno che sta calpestando. Forse un tempo è stato ricco, o è appartenuto al ceto nobiliare, visto che indossa una paradossale cintura d’oro che contrasta e contraddice in tutto e per tutto quella sua aria di stravagante vagabondo e mendico, allontanato dal contesto sociale per il suo portamento insano, il suo parlare sconnesso, le sue argomentazioni illogiche.
Il nodoso bastone pare fatto apposta per scimmiottare la bacchetta perfettamente istoriata del Mago, solo che al posto dei numeri d’oro è marchiata da alcuni cerchi di varia grandezza. Assomigliano al numero zero ripetuto dieci volte e sono poggiati sui nodi del legno come i cerchi sulla ruota di un cocchio. Divertito li va indicando come se si trattasse di pietre preziose incastonate nel più puro dei metalli.
Il Folle sfida quasi l’insidia dell’abisso che gli sta di fronte e cade lievemente nel vuoto, come fa la sabbia nella clessidra.
0 > 1 = 1
Visibilmente lo zero nell’albero della Cabala precede tutti i numeri e accostato (prima, o dopo) al numero 1 gli conferisce le potenzialità di tutti gli altri numeri e lo svuota in quanto tale per farlo essere diverso da quello che è.
0 > 2 = 2
Lo zero accostato (prima, o dopo) al numero 2 ne accentua i dualismi fino a renderli paralizzanti, ripetitivi, al limite della Follia, ma proprio per questo ne mostra l’infondatezza e l’inconsistenza.
0 > 3 = 3
Lo zero accostato (prima, o dopo) al numero 3 rende possibile intendere la natura del Figlio delle Stelle che è un’emanazione degli Dei, ma nello stesso tempo influirà sul nascituro o sulla situazione seminando in tutti l’ombra della follia.
0 > 4 = 4
Lo zero accostato (prima, o dopo) al numero 4 apparentemente mette in crisi le 4 virtù ermetiche, può anche sconvolgerle nella sostanza e mostrare che ad esse si può pervenire quando si ha l’ardire di vedere le contraddizioni e le assurdità del pensiero ordinario.
0 > 5 = 5
Lo zero accostato (prima, o dopo) al numero 5 rende percepibile la natura evanescente della quintessenza, smaschera l’inconscio originario collettivo, fa venire alla luce le trame occulte.
0 > 6 = 6
Lo zero accostato (prima, o dopo) al numero 6 fa uscire l’Innamorato dalla sua stasi mostrandogli la inconsistenza delle contraddizioni, svelandone l’artificiosità, la sostanza effimera ed ingannevole.
0 > 7 = 7
Lo zero accostato (prima, o dopo) al numero 7 ci riporta alla natura originaria delle cose, alle origini della vita.
0 > 8 = 8
Lo zero accostato (prima, o dopo) al numero 8 sovverte gli attuali ordinamenti giuridici e rende possibile quindi la vera giustizia.
0 > 9 = 9
Lo zero accostato (prima, o dopo) al numero 9 spegne la fiaccola della ragione ordinaria e riporta la luce entro l’alveo originario della oscurità primordiale.
L’Arcano del Folle avanza con risolutezza, impavido ed indifferente verso l’abisso; con la sua foggia stravagante di girovago menestrello distratto non allontana da sé il cane che lo sta mordendo, per metterlo sull’avviso del pericolo che incombe su di lui lungo il cammino.
Se immaginiamo per un attimo di lasciare andare avanti il Folle verso l’abisso, lo vedremo risalire con la foggia sorridente e l’armamentario del Mago. La trasformazione ci illustra la genesi del numero 1 e di tutti gli enti scaturiti dal non-essere, di cui il Folle è una personificazione.
Dal punto di vista logico-cabalistico lo zero precede il numero 1. Con la sua forma arrotondata, quasi spaziale, lo zero certamente allude all’uovo cosmico originario dal quale tutte le cose sono scaturite.
Lo zero non può essere analizzato seguendo le medesime procedure usate per tutti gli altri numeri, perché sfugge ad una descrizione logica, essendo per natura bizzarro ed imprevedibile. La centralità dello zero nel sistema cabalistico è evidenziata dalla luce del numero 9, che svela alcune delle sue proprietà:
1.234.567.890 x 9 = 11.111.111.010
123.456.789 x 9 = 1.111.111.101
12.345.678 x 9 = 111.111.102
1.234.567 x 9 = 11.111.103
123.456 x 9 = 1.111.104
12.345 x 9 = 111.105
1.234 x 9 = 11.106
123 x 9 = 1.107
12 x 9 = 108
1 x 9 = 09
0 x 9 = 0
Nella Cabala lo zero affianca tutti i numeri precedendoli, trasmettendo loro un poco delle sue caratteristiche. Mescolandosi nella natura propria di ciascun numero, senza essere visto, lo zero è considerato con sacro terrore, con quel rispetto che si deve a chi è differente, perché può cambiare se stesso, chi gli sta vicino e la natura di tutti i numeri.
Da un punto di vista cabalistico lo zero non compare mai da solo, perché nessuna operazione cabalistica dà come risultato 0.
Lo zero dunque precederà o seguirà sempre un altro numero e, in questo caso, farà la sua comparsa il Folle, con tutte le caratteristiche che gli sono proprie.
1 > 0 = 10
2 > 0 = 20
Nel 10 e nel 20 (rispettivamente la Ruota del divenire e l’Apocalissi) notiamo che lo zero svolge una funzione molto particolare:
- strutturando il 10 lo zero influisce sulla Ruota del divenire in maniera irrazionale, imprimendole un moto imprevedibile, quel quid che sfugge ad ogni decifrazione logica;
- strutturando il 20 determina una frattura nel sistema mondo che nessuno è in grado logicamente di anticipare, spiegare o immaginare.
Lo zero svolge una funzione duplice e contraddittoria:
- posto accanto all’uno movimenta le cose, la ruota del divenire, il mondo;
- posto accanto al due distrugge il sistema mondo dal quale solo lo zero è in grado di uscire a suo piacimento, quando vuole, perché non è vincolato da nulla.
Il Folle è una presenza scandalosa, contraddice tutte le regole, mette in crisi ogni verità. Itinerante come l’Eremita, il Folle non ha meta, non fa progetti, non si lascia catalogare, spirito libero, anarchico puro, si è messo contro tutti e contro la società, che paventa il suo comportamento anormale.
Per natura il Folle non è soggetto a nessuna limitazione e per questo fa affermazioni che nessuno potrebbe sostenere e che mettono in crisi il senso comune che ne esce sempre profondamente provato.
“Questo è il segno che più mi rappresenta. Il cerchio è l’unico segno geometrico naturale che riflette la forma del sole e pertanto non è un prodotto della cultura. Tutti gli altri segni non hanno un corrispettivo nella realtà dei fenomeni che vediamo e sono il frutto artificioso della mano dell’uomo, che è costretto a tracciare il segno con diversi movimenti della mano; mentre il cerchio nasce spontaneamente, facendo ruotare la mano su se stessa con un unico moto continuo, senza bruschi mutamenti di direzione. Un poco come fa ogni pianeta che ruota attorno al suo astro luminoso, come fa la terra attorno al Sole, che è fisso, contrariamente al senso comune che lo vede muoversi, perché si lascia ingannare dalle apparenze. Il cerchio delimita uno spazio chiuso all’interno del quale sta il nulla, l’origine misteriosa del tutto che ci circonda. E’ lui l’ineffabile, l’insondabile, l’indecifrabile. E’ lui l’inizio e la fine a cui tutto ritorna. Se ben si osserva ogni punto della circonferenza ha la medesima distanza dal centro ideale, il quale non si vede, perché deve essere immaginato. La medesima cosa accade a tutto ciò che esiste. Emana dal medesimo centro-origine ed è strutturato nel medesimo modo. Siamo tanti punti uguali disegnati su una circonferenza. Abbiamo ricevuto la medesima impronta, il medesimo programma. Attorno a noi c’è uno spazio immenso, infinito, lo stesso che è racchiuso qui dentro, che solo apparentemente è delimitato, perché a percorrerlo veramente ci si perde.”
La parola del Folle, nonostante manchi di lucidità e di chiarezza, talora spalanca porte che nessuno ha mai violato e penetra entro abissi dove nessuno si è mai calato. La parola sacra del Folle più di ogni altra può svelare la natura dell’infinito imperscrutabile, dinanzi al quale ogni riflessione filosofica si arresta per timore reverenziale. Per questo tutti temono e rispettano il Folle, il quale ha il potere di trascinarci con sé nell’abisso, dal quale solo lui è in grado di risalire.
Su tutti il Folle esercita una particolare attrazione in negativo, ma anche in positivo. Colui che accetta le regole del gioco, sa che può metterle in discussione da un momento all’altro e che può cadere anche lui nella spirale progressiva della follia.
Dunque il Folle non è un Arcano estraneo, bensì ci sta accanto senza essere visto, ed è il compagno di strada abituale del nostro cammino in questa vita.
Nessun potere magico può sbarrare il passo del Folle. Nessun numero e nessuna voce possono eguagliare, sminuire o indebolire il Folle, il cui regno invisibile spodesta ogni sovrano e affranca la più schiava delle creature.
Con lo zero inizia il primo ciclo dei numeri su cui i Tarocchi sono costruiti. Esso va immaginato come un punto metafisico da cui tutti gli altri numeri prendono vita. Lo zero è il non-essere in potenza, la scintilla dell’organizzazione del mondo, la sede originaria degli Dei.
A rigore di logica ogni trattazione sui Tarocchi dovrebbe iniziare con lo zero, che precede il numero 1. Lo abbiamo inserito prima del 10 per rammentare che è lo zero a dare fondamento e sostanza al numero 10, affiancandosi all’Uno.
L’Arcano del Folle vuole mettere in discussione le regole; intende ridicolizzare il comune senso della ragione; sostiene affermazioni paradossali ma veritiere; insinua in qualcuno il germe della follia; evidenzia una malattia mentale, un gesto insano, il tentato suicidio; ci segnala una persona che vuole vivere in maniera originale e anarchica; mette in scena anticonformismo esasperato, stravaganza, originalità, temperamento artistico e ironico.
Quando l’Arcano del Folle cade nella prima casa esso travasa nel consultante le sue prerogative suscitando un comportamento non conforme alle regole del sano convivere sociale, per cui esso sarà additato per eccentricità, temuto per il suo stile di vita insano, allontanato per la sua scandalosa diversità.
Se l’Arcano del Folle occupa la seconda casa metterà in crisi il sapere ufficiale e consolidato, la sacralità dei libri e delle istituzioni e si prenderà gioco delle consuetudini accettate da tutti e mostrerà la paradossale inconsistenza dei dualismi.
Nella terza casa la presenza dell’Arcano del Folle è in un certo senso attenuata, in fieri e quindi non del tutto pericolosa e devastante; riguarda soprattutto le creature giovani: i bambini o i neonati, le donne gravide, o le donne in genere.
Mentre nella quarta casa la presenza dell’Arcano del Folle influisce soprattutto sul padre, sul marito, sull’autorità del maschio, mette in discussione i meccanismi del potere ridicolizzandoli, o vanificandoli.
La presenza dell’Arcano del Folle nella quinta casa agisce sulla sfera più profonda della psiche umana e l’atmosfera attorno al consultante diventa tesa, nervosa, i comportamenti irrazionali prendono il sopravvento, l’agire diventa irresponsabile, le malattie mentali si accentuano.
Nella sesta casa l’area d’azione e la capacità d’influsso dell’Arcano del Folle passa attraverso una presenza muliebre attraente per la sua bellezza o enigmatica, dalla quale bisogna difendersi per non essere contagiati dal suo male interiore.
L’Arcano del Folle nella settima casa assume il ruolo di vate, di individuo dotato di poteri paranormali, di indovino, di guaritore che fa sentire in maniera sensibile la propria voce diversa in un contesto fatto di vuote consuetudini.
non- essere/potenza Folle 0
demiurgo/atto Mago 1
dualismi naturali/dualismi artificiali Vestale 2
dal sottile al denso/generazione Dea-Madre 3
4 elementi/le forze della natura Imperatore 4
legamecheunisceleforze/quintessenza Gerofante 5
stasi/contrasti Innamorato 6
movimento/sintesi Cocchio 7
equilibrio cosmico/macro-microcosmo Giustizia 8
la luce conoscenza naturale/la notte Eremita 9
l’essere/il divenire Ruota 10
energia/forza/azione Donzella 11
sacrificio/inazione Appeso 12
esaurimento dell’energia vitale Morte 13
dal denso al sottile Alchimista 14
globo/paesaggioterrestre Torre 16
altri mondi Stelle 17
interazioni luna - terra Luna 18
centralità del sole Sole 19
latrasformazionefinale Apocalissi 20
I folli, liberi di gridare,
sconvolgono la nostra ragione;
tuttavia ci aiutano a stare coi piedi
per terra, ancorati alla salvezza
delle poche certezze
faticosamente conquistate.
Apprendi dal Folle ad essere sano di mente.
Lasciati scivolare lieve verso l’abisso
per risalirne ritemprato e più forte.
Quando la logica non basta
impara a frammentare la ragione nei sogni.
Non ti lasciare soffocare dalle regole sociali.
Cerca, senza ostentazione,
di essere diverso ed originale.
Con un pizzico di follia e fantasia
puoi sorprendere il tuo avversario
e metterlo in scacco.
Beati coloro che sanno ridere.
Piangi se ne hai voglia.
Cerca, in ogni situazione, d’essere te ste
Capitolo 25
Arcano numero 10: la Ruota della Fortuna
La Fortuna aiuta i matti e i fanciulli.
La Fortuna come dà, così toglie.
La Fortuna dà biscotti a chi non ha denti.
La Fortuna è di chi se la fa.
La Fortuna i forti aiuta e i timidi rifiuta.
La Fortuna non arriva mai due volte.
La Fortuna sale e scende,
anche in man di chi la prende.
La Fortuna va afferrata per i capelli.
La Fortuna è cieca.
Beni di Fortuna passano come la Luna.
L’uomo ordisce e la Fortuna tesse.
Virtù e Fortuna non sempre dormono insieme.
Questi proverbi popolari sintetizzano e dicono
sulla Fortuna molto più di quanto si pensi,
o si possa scrivere con un trattato.
Quindi afferra al volo la Fortuna quando ti sfiora.
I momenti favorevoli non si ripetono spesso.
La Ruota è imprevedibile, beffarda.
Tuttavia sappi approfittare dei tempi propizi
e non restare passivo in attesa degli eventi.
Se credi di poter essere l’artefice delle benevole sorti,
allora devi essere costante, tenace,
indifferente agli inevitabili momenti sfavorevoli.
Se la Ruota gira, verrà il tuo tempo
ed avrai le tue soddisfazioni;
che avrai meritato
per avere creduto nelle tue possibilità.
Nella iconografia medioevale la Ruota della Fortuna è un elemento assai popolare e frequente e se ne possono incontrare diverse versioni abbastanza simili.
In particolare vogliamo sottolineare che la raffigurazione dell'Arcano numero 10 nei Tarocchi Visconti non si discosta molto da un illustre precedente che abbiamo avuto modo di ammirare nel Codex Buranus, redatto nella Biblioteca Regia Monacensis, datato prima del 1250, che raffigura con una miniatura lo stato variabile della Fortuna.
Nel Codex una figura maestosa, personificazione della magnificenza divina, posta al centro di una grande ruota, ne soprintende il movimento, che simbolicamente sembra quasi già scritto su due pergamene srotolate che cadono dalle sue mani verso il basso. Quattro figure umane sono schiave del meccanismo della ruota; una regale sta al vertice, ma deve prepararsi alla fine imminente del suo regno; una già sta discendendo ed ha già perso la sua corona in caduta libera; una ambiziosamente risale ed è pronta ad essere investita della regalità; una è schiacciata dal peso della sorte avversa ed è costretta a mendicare, ma spera di mutare la propria terribile condizione che è la più infima di tutte.
Anche nei Tarocchi Visconti la scena e l'impianto iconografico è il medesimo, codificato nel tempo dalla tradizione. Le figure sono cinque e disposte negli stessi punti chiave della scena già descritta del Codex Buranus: una al centro della ruota e quattro alle opposte estremità cardinali. In mezzo, al posto della provvidenza divina, prende posto una dea bendata angelicata che, in modo più laico, raffigura la Fortuna e le sue mani aperte che imprimono il movimento alla grande Ruota lignea. In Italia siamo in pieno umanesimo e i valori della classicità sono stati riscoperti e sono ampiamente condivisi da tutti; quindi la dea bendata è la maniera più diretta per alludere alla Fortuna. La dea nella mitologia greca è bendata. Lo sono anche le figure che appaiono accanto, o sopra la nostra Ruota. L'elemento casuale in questo caso è determinante. Per essere fortunati bisogna stare nel posto giusto, al momento giusto. Infine va ancora una volta sottolineato che il miniaturista dei Tarocchi Visconti non vuole inventare nulla; cerca di attenersi il più possibile all’impianto scenografico medioevale presente nel Codex Buranus; quindi riprende un tema non nuovo, che era stato trattato in epoca antecedente.
I Tarocchi: strumento di divinazione fin dall’età medioevale
Riteniamo questo documento storico, il Codex Buranus datato circa 1250, una prova che i Tarocchi già erano noti e miniati in età medioevale prima del mazzo Visconti, il più antico che sia giunto sino a noi; il che ci sembra abbastanza ovvio: le carte sono un manufatto cartaceo che può essere facilmente perso, o smarrito, o sottratto al legittimo proprietario. Se poi queste carte servivano per predire il futuro ed altre pratiche occulte, appare logico che la loro funzione non era certo gridata ai quattro venti, ma gelosamente custodita e tramandata entro una cerchia elitaria d’iniziati. Secondo quanto già riferito nel capitolo primo, a detta del filosofo Dummett, l’occultismo nel Rinascimento italiano non aveva più bisogno di nascondersi, aveva conseguito una sua legittimità e questo spiega che anche i Tarocchi avevano una certa diffusione e potevano circolare liberamente tra la borghesia. Sempre Dummett nega che i Tarocchi a quei tempi fossero strumenti di divinazione, ma erano semplicemente un mazzo di carte. Noi pensiamo invece che già prima del mazzo Visconti circolassero tra la nobiltà e il popolo grasso delle carte aventi una duplice funzione: ludica e divinatoria. Certo le prove documentali non ci sono e non possono essercene, in quanto l’Inquisizione vigilava ed avrebbe punito la pratica occulta col rogo. Come è possibile che in un’epoca di diffusa superstizione come quella medioevale non circolassero strumenti per predire il futuro? Le carte, o anche delle semplici tessere lignee con delle raffigurazioni profane, circolavano senza dubbio in segreto e nessuno osava prendersi la responsabilità di farne menzione pubblicamente, e certo miniaturisti ed utenti evitavano anche di parlarne con estranei, per non essere presi di mira dai controllori vigili dell’Inquisizione. Con questo nostro Discorso crediamo d’avere dimostrato che esiste nei Tarocchi un simbolismo occulto, veicolato appunto dai numeri correlati ai vari Arcani. Dummett anche, pur nel suo scetticismo, ha ammesso che tale simbolismo poteva essere presente proprio nei Tarocchi originari che abbiamo cercato di ricostruire alla luce della filosofia dei numeri.
Da un punto di vista grafico e simbolico la Ruota non può che essere associata al numero 10. Sembra quasi di vedere un figurante bendato che in una pubblica piazza ruota un marchingegno circolare verticale che poi si ferma dopo un certo numero di giri. Un asticella indica un numero su cui degli scommettitori fortunati hanno fatto la loro posta e vinto il premio posto in palio: un sacco di farina, o una bottiglia di vino, o un salame. Questa era allora la trascrizione tangibile più verosimile della Ruota della Fortuna, assai nota nell’immaginario collettivo di tutta la gente.
Una versione orizzontale e moderna della Ruota della Fortuna medioevale è la roulette, vocabolo francese derivante dal latinorotella, diminutivo di rota, ruota.
10 < 1 < 0
L’Arcano numero 10 scaturisce dall’accostamento di due numeri: l’uno e lo zero. Esso abbraccia le peculiarità dei due numeri, fondendole in una nuova unità. Il Mago conferisce alla Ruota la baldanza giovanile, la voglia di ricominciare sempre la sfida con la fortuna avversa, senza mai arrendersi. Il Folle conferisce alla Ruota imprevedibilità, irrazionalità, casualità. Nè dobbiamo dimenticare che il numero 1 in alcuni mazzi di Tarocchi viene denominato Bagatto, ovvero il biscazziere che incanta il popolino col gioco delle tre carte e beffa i gonzi che si lasciano abbindolare dalla faciloneria con cui un giocatore-esca ha vinto facilmente tanti soldi.
Il flusso imperturbabile degli eventi potrebbe travolgere tutti, ma il divenire ci costringe ad accettare la sfida, sempre. La vita con i suoi alti e bassi, con i suoi dolori ed i suoi piaceri attrae comunque, indipendentemente dall’esito finale che nessuno conosce in anticipo. I Tarocchi possono aprire uno spiraglio, possono indicare una via da percorrere. La Ruota attira e respinge tutti. Simbolo del percorso difficile che ci attende.
Gli eroi non sono quelli con i super poteri dei fumetti; gli eroi siamo noi nella nostra quotidianità forse banale, ripetitiva, infida, impietosa. Su quella Ruota passiamo tutti, speriamo e soffriamo, esultiamo. E l’aspetto veramente drammatico é che non conosciamo veramente le nostre origini esistenziali. Possono essere i Tarocchi al contempo uno strumento di conoscenza, un conforto e nello stesso tempo un grande inganno. Ogni atto di riflessione è certamente faticoso. L’ignoranza può permettersi il lusso di essere giocosa, indifferente. Anche il sapere non sfugge alla terribile metamorfosi che viene indotta dalla Ruota del Divenire. Un giorno possiamo sentirci vicino agli Dei e sentirci artefici del Mondo; un altro giorno possiamo sentirci travolti dal non senso della nostra esistenza fragile e misteriosa. L’essenza dell’Arcano Numero 10 sta racchiusa tutta in questo perenne flusso di mutamenti entro cui siamo immersi. Prigionieri di un sogno. Liberi di evadere anche con la fantasia e l’immaginazione di cui forse i Tarocchi sono uno dei prodotti più sorprendenti.
Ancora una volta facciamo parlare i numeri: l’uno e lo zero. L’Arcano numero 10 comunemente viene denominato Ruota della Fortuna: un nome degno della massima considerazione e rispetto. Non oseremo sfacciatamente ribattezzarlo, anche per non incorrere in qualche futuro sgarbo. Vogliamo fare osservare che un appellativo più filosofico dell’Arcano numero 10 potrebbe essere la Ruota del Divenire, nel cui alveo la Fortuna scorre capricciosa. Se poi ci proiettiamo verso la modernità e pensiamo al codice binario 0 - 1, che è il fondamento del linguaggio informatico presente nei computer; non possiamo che sorprenderci. Sembra quasi che l’artefice dei Trionfi abbia avuto una vera e propria premonizione; quando con una felice intuizione ha assegnato alla sua Ruota della Fortuna il numero 10. Lo zero nelle sue intenzioni spalancava le porte ad un altra decina: la seconda dei Tarocchi avente una valenza più metafisica e cosmica; mentre la prima aveva una valenza più terrena ed immanente. Ancora non era stato scoperto un codice binario(di cui Leibniz fu precursore)basato sullo zero e sull’uno; capace di descrivere tutta la realtà. Un computer può contenere nella sua memoria tutti i libri e le fotografie storiche; nonché le foto dei massimi capolavori della pittura, della scultura e dell’architettura mondiale. Il divenire letterario e la storia dell’arte dell’umanità; nonché tutta la musica e tutta la produzione cinematografica può essere memorizzata in una successione variabile di uno e di zero. E‘ sorprendente solo a pensarlo e sembra quasi impossibile. Eppure certi filosofi presocratici della Grecia antica intuirono che la realtà, proprio perché armonica e matematica, può essere ridotta a numeri e che il numero è l’essenza stessa della realtà. Einstein riconobbe a Dio la capacità sublime di sapere manipolare i numeri!
Noi crediamo che l’essenza degli Arcani Maggiori sia proprio racchiusa in quei numeri che esprimono delle qualità, delle proprietà. determinate caratteristiche della realtà. La sequenza degli Arcani Maggiori non è casuale; ha una sua logica e tutta l’impalcatura degli Arcani è funzionale ad un progetto ben preciso: ha una sua finalità e una sua profonda ragione d’essere come è, e non potrebbe essere diversamente da quello che è.
La Ruota del divenire
I raggi della ruota, alquanto singolari, formano un massiccio cruciverba quadrato che origina quattro iscrizioni:
O R A T
T A R O
A T O R
che possono essere lette indifferentemente dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra.
I quattro raggi attraversano la ruota e proseguono formando un colossale timone, sulle cui impugnature sono stati incisi i quattro simboli alchemici degli elementi costitutivi della materia vivente: l’Aria, l’Acqua, la Terra e il Fuoco. L’insieme dà l’impressione di una grande macina, alimentata dalle pale di un possente mulino a vento. In tutto le iscrizioni leggibili sono sedici e quattro le lettere generatrici racchiuse all’interno della Ruota (uno). E la somma di 1 + 4 + 16 equivale a 21, ovvero il ternario ripetuto sette volte. La Ruota, gira ora in senso orario, ora in senso antiorario, ma ovviamente come avviene nella vita, nulla fa presagire il mutamento successivo che è repentino.
Al centro del timone due triangoli in parte sovrapposti formano un esagramma e altri quatto triangoli, con la punta rivolta verso l’esterno della Ruota, visibilmente bilanciano i quattro triangoli con il vertice rivolto verso il centro, che visualizzano gli elementi primordiali. In totale i triangoli visibili sono dieci.
Consideriamo poi le 4 lettere T, A, R, O che campeggiano sulla Ruota. Sappiamo che, in base alla Cabala, ad ogni lettera dell’alfabeto, corrisponde un numero; per cui, secondo la tabella aurea da noi stilata avremo:
T = 17, A = 1, R = 15, O = 13
17 + 1 + 15 + 13 = 46 = 10
Secondo la Cabala le 4 lettere riflettono l’essenza della Ruota che è il 10.
1 + 2 + 3 + 4 = 10
La Cabala mostra che la somma dei primi quattro numeri equivale al numero 10.
Visivamente le proprietà essenziali del numero 10 sono espresse dalla nota tetrakis pitagorica, la quale forma un triangolo costituito da dieci punti, disposti a piramide e distribuiti su quattro piani.
*
I seguaci di Pitagora ritengono che il numero 10 sia il più sacro dei numeri, perché racconta la genesi del mondo.
La realtà mutevole che cade sotto i nostri sensi, simboleggiata appunto dalla Ruota del divenire, è il risultato di un complesso processo: il principio unitario - rappresentato da un solo punto al vertice della tetrakis - dà vita ad un dualismo (maschile-femminile; luce-tenebre; ecc..) che è comune a tutti gli esseri viventi e che viene visualizzato da due punti; dal dualismo scaturisce successivamente la triade - i tre punti - che consente la nascita di tutte le creature, le quali hanno in comune quattro elementi essenziali: l’Aria, l’Acqua, la Terra e il Fuoco, simboleggiati dai quattro punti che costituiscono la base della tetrakis.
Sono appunto i “quattro livelli”, le quattro leggi fondamentali della vita, a determinare il movimento della Ruota, i corsi ed i ricorsi, in altre parole il divenire.
10 = 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10 = 55 = 5+5 = 10 = 1 + 0 = 1
Sempre la Cabala ci insegna che il mondo, emanazione del numero 1, non è eterno, ma che, nel suo costante ed irrefrenabile divenire è destinato a tornare all’Uno, ovvero alle condizioni originarie di partenza. Inoltre il numero 10 partecipa per ben due volte della valenza del numero 5, il più immateriale di tutti, la quintessenza, da considerare l’anima del mondo, che da sottile si fa densa e poi torna al sottile.
Il numero 10 poi si riflette sempre nel numero 10, e non potrebbe essere diversamente, perché altrimenti perderebbe la propria peculiarità, infatti le leggi fisiche sono sempre le stesse: eterne ed immutabili fino alla fine dei tempi.
Esaminiamo di seguito altre equivalenze cabalistiche che ci aiutano meglio ad intendere la natura del numero 10.
1 > 0 = 10
Con il numero 10 inizia il secondo ciclo dei Tarocchi.
Il divenire è imprevedibile, sfugge ad ogni logica, o schema, sempre riduttivo e velleitario. La sua imprevedibilità sorprende come il Mago. Accanto alla Ruota scorgiamo la presenza sottile, enigmatica, incorporea del Folle, perché – secondo la Cabala - il numero 10 è imparentato con lo zero.
10 = 1 + 9
Il mondo vede l’incontro della natura estrosa ed inventiva del giovane Mago con la sapienza pensosa del vecchio Eremita. L’opposizione tra Mago ed Eremita si fonde a strutturare un sistema organico e complesso che, come vedremo anche dalle successive equivalenze cabalistiche, si basa sempre sull’incontro di numeri tra loro in opposizione.
10 = 2 + 8
Il mondo è certamente pieno di elementi contraddittori, ma nello stesso tempo è regolato da un grande equilibrio che riporta i dualismi a comporsi in una superiore armonia. Il numero 2 e il numero 8 si confrontano e lottano insieme e concorrono entrambi a strutturare la realtà.
10 = 3 + 7
La nascita del mondo è frutto di un progetto astrale collettivo; nella sua genesi sono intervenuti gli Dei: principi-essenze che sono passati dal sottile, il numero 7, al denso, il numero 3.
10 = 4 + 6
Il divenire in atto nel mondo e tutte le trasformazioni climatiche di cui siamo quotidianamente testimoni sono l’effetto delle interazioni esistenti tra gli elementi fondamentali contrari: l’umido deriva dall’incontro dell’Aria con l’Acqua, il freddo dall’incontro dell’Acqua con la Terra, il secco dall’incontro della Terra col Fuoco e il caldo dall’incontro del Fuoco con l’Aria.
10 = 5 + 5
La quintessenza, invisibile e sottile unisce ed anima la materia bruta, ma senza i 4 elementi fondamentali non opera, in quanto ha bisogno della materia per manifestarsi. Il numero 5 è l’autentico supporto del mondo, sul piano fisico tiene uniti gli atomi tra loro, sul piano astrale consente alle energie di liberarsi.
La Sfinge è l’unico animale mitologico che può guardare la Ruota dall’alto, con distacco ed autorità, senza timore reverenziale.
Nella Sfinge infatti i 4 elementi fondamentali non si sono fusi e mescolati insieme, ma ciascuno separatamente ha dato vita ad uno dei quattro animali che la compongono: donna, toro, leone e aquila.
La Sfinge conosce il progetto mondo, conosce il codice segreto, la combinazione che lega i quattro elementi fondamentali che compongono la materia vivente: Aria, Acqua, Terra e Fuoco.
Secondo la versione mitologica greca la Sfinge interroga gli uomini sul loro destino, ma questi non riescono a rispondere ai suoi enigmi. Solo Edipo decifra l’Arcano e riesce a sconfiggere il mostro che divora i viandanti. Il destino riserva ad Edipo il ruolo di incestuoso. Mettersi contro la Sfinge significa anche sfidare il destino, entrare nei meccanismi a tutti sconosciuti.
Il saggio spalanca i meccanismi artificiali, prodotti dalla cultura, viola il Tempio della conoscenza, legge nel progetto, intravede il volto del programmatore: l’inconscio originario collettivo, il quale si nasconde per non farsi riconoscere e di proposito erige attorno a sé una barriera e agisce come un censore psichico che oscura le origini.
La Ruota della Fortuna indica trasformazioni periodiche, eventi ciclici, mutamenti ineluttabili (giovinezza - vecchiaia), fortune e sfortune. Nessuno può controllare il suo andamento, pertanto conviene adattarsi a seguirne il movimento senza cercare di opporvisi. Al cospetto della Ruota tutte le creature vengono ridicolizzate e sembrano caricature; animali vestiti da uomini si arrampicano e si inseguono sulla Ruota; sono in molti, anche se non si vedono, perché tutti debbono inchinarsi di fronte al destino.
Se il terzo Arcano del primo ciclo, la Dea fa riferimento alla genesi, alla nascita, riconducibili ad una trasformazione, ad un progetto di vita; il terzo Arcano del secondo ciclo, la Ruota della Fortuna accenna ad ogni tipo di cambiamento che interviene nella vita quotidiana e racconta il divenire, le alterne sorti della vita, spesso imprevedibili e drammaticamente casuali.
La presenza della Ruota indica sempre un cambiamento in corso, che va messo in stretta correlazione con la casa essa occupa.
Nella prima casa la Ruota indica un mutamento essenzialmente positivo che riguarda il consultante, le sue aspirazioni, le sue attese sul futuro prossimo.
Nella seconda casa la Ruota ostacola con forze contrarie il consultante e la sua presenza è sostanzialmente sfavorevole.
Nella terza casa la Ruota visualizza la genesi di un progetto, di un figlio e segnala comunque una benevola presenza in arrivo.
Nella quarta casa la Ruota costituisce un segnale di indubbio dinamismo positivo e ci dice che concretamente abbiamo le possibilità di dominare la situazione, di superare gli ostacoli che si frappongono al conseguimento del nostro obiettivo.
Nella quinta casa la presenza della Ruota rende ancora più oscuro quello che non sappiamo decifrare e palesa il predominio del caso e della sorte sulla nostra vita in maniera molto marcata. Il destino ci è avverso.
Nella sesta casa invece la Ruota è positiva perché agisce sul nostro imbarazzo e la nostra indecisione e rende più fluide le situazioni statiche e lenisce i contrasti, risolvendo le contraddizioni più manifeste.
Nella settima casa la presenza della Ruota è sostanzialmente negativa perché pone la sintesi di ogni questione in balia del caso e vanifica i nostri progetti e le nostre attese, inoltre dice che il consultante ha una personalità debole e che è incapace di fermezza ed é incostante.
Capitolo 26
Arcano Numero 11: la Forza
non hai bisogno d’altri strumenti artificiali.
Tu sei già forte come il leone
e puoi volare alto come l’aquila.
Se cadi puoi risollevarti.
Se cerchi conforto in farmaci e droghe
sarai alla fine sempre più debole e dipendente.
Rilassati ogni giorno per undici minuti
per fare scorrere energie nei tuoi meridiani.
Impara a mangiare bene e con moderazione,
sarai più concentrato e più sano.
Abbi la forza di non ascoltare la voce suadente
dei cristalli liquidi che scandiscono
il tempo della tua esistenza.
Pensa con la tua testa e non ti fare plagiare
da voci sparse attraverso l’etere.
L’uomo che possiede una forza morale interiore
rifugge dalla violenza arbitraria
nella vita privata e rispetta il prossimo.
Dobbiamo subito considerare attentamente la duplice interpretazione/versione dell’Arcano numero 11: nella prima, che risale ai Tarocchi Visconti, vediamo una figura maschile muscolosa, armata di una possente clava, nell’atto di domare la ferocia di un avversario che si intuisce gli sta di fronte, anche se non viene raffigurato; nella seconda, caratteristica dei Tarocchi di Marsiglia, una mite Donzella, più simile ad una dea, dotata di un’energia soprannaturale, riesce, con la sola forza delle mani, a trattenere le fauci spalancate di un leone in procinto di sbranarla.
Nei Tarocchi Visconti (circa anno 1420) le mani esprimono la forza bruta ed agiscono in maniera violenta; nei Tarocchi di Marsiglia (circa anno 1620) invece le mani esprimono un’energia interiore che riesce a controllare la forza animalesca, bruta ed incontrollata.
Le due versioni, a prima vista parrebbero contrastanti, mentre secondo noi visualizzano due facce intimamente correlate e la natura stessa dell’Arcano della Forza, che originariamente doveva mostrare entrambe le versioni su una stessa carta; l’apparente stranezza non deve assolutamente meravigliare, vi sono infatti delle figure di Arcani minori, fanti e cavalli ad esempio, che vengono raffigurati in maniera doppia e quasi speculare: la carta è divisa nel mezzo e sopra vediamo la stessa figura capovolta in basso.
Nelle intenzioni dell’artefice dei Trionfi, la Forza visivamente doveva alludere alla natura duale a cui nessuno degli Arcani sfugge. A tale aspetto bifronte abbiamo già dedicato il capitolo 14°, intitolato dualismo intrinseco.
La versione dell’Arcano numero 11, secondo i noti Tarocchi di Marsiglia e ripresa poi da Oswald Wirth, quella comunemente più diffusa, esprime l’essenza della Forza psichica e morale, che si concilia con chi interpreta gli Arcani maggiori da una prospettiva spiritualistica che il clima della Controriforma cattolica veicolava e prediligeva. Tuttavia non possiamo prescindere dalla versione materialistica della Forza e ribadiamo il concetto che originariamente l’Arcano della Forza, doveva avere un aspetto bifronte e che entrambe le versioni erano illustrate in maniera efficace ed immediata e non potevano in alcun mode passare inosservate; anzi colpivano proprio per la loro natura duale. Quella che, ad un osservatore sprovveduto, potrebbe apparire come una stranezza ed un’anomalia rispetto agli altri Arcani maggiori, che presentavano una sola figura univoca, quasi cattedratica nel suo messaggio; invece era una prerogativa della Forza che si estrinseca attraverso le mani che agiscono in maniere opposte: una violenta ed una pacata.
1 > 1 = 11
Dalla Cabala si evince che l’essenza del numero 11 va sempre riportata alla peculiarità del numero 1, ripetuto due volte, come se i poteri del Mago si fossero sdoppiati per potere agire, da un lato pacatamente, con l’energia della mano destra sugli istinti più brutali e per arginare le reazioni istintive e le pulsioni animalesche; e, dall’altro lato, per intervenire con la forza della mano sinistra che impugna una possente clava che intimorisce ogni nemico ed allontana ogni minaccia esterna.
Le mani entrano subito in gioco prepotentemente ed esibiscono i loro poteri. Infatti nell’Arcano numero 1: il Mago, raffigurato nei Tarocchi Visconti, tiene in mano una bacchetta magica e con l’altra riesce a tenere in equilibrio un tavolino senza una gamba, che altrimenti cadrebbe in terra per la forza della gravità.
Le mani emanano un’energia paranormale. Il Mago non è una persona come le altre. Le sue mani possono sfidare le leggi della fisica, possono curare e compiere altri prodigi. Tuttavia non è un caso che gli Arcani Maggiori riservino il primo posto al Mago che grazie alle mani esercita un potere sovrumano e sembra assai vicino alla condizione degli dei originari.
L’artefice dei Tarocchi è pienamente consapevole dell’importanza delle mani che sono la caratteristica che distingue l’homo sapiens sapiens dagli altri animali. Spesso trascuriamo, o meglio non consideriamo a fondo, l’importanza delle mani in quella che viene considerata l’evoluzione della specie umana. Senza queste straordinarie e versatili estremità superiori la storia sarebbe diversa, perché non avremmo la possibilità di svolgere quei movimenti che ci consentono di scrivere, dipingere e progettare altri utensili che le mani possono utilizzare per compiere queste funzioni con una perizia e maestria infinita. Senza le mani, che costruiscono frecce, archi e lance acuminate, inoltre non sarebbe stato possibile il dominio dell’uomo sulle altre specie animali. Le mani intuitivamente invitano a contare gli oggetti e generano l’idea di un sistema numerico basato sulla decina. Le cinque dita della mano sulla parte destra e le cinque dita sulla parte sinistra, simbolicamente raffigurano cinque propaggini sensoriali che si collegano ai due emisferi celebrali.
Un’energia e capacità superiore viene veicolata tramite il cervello proprio nelle mani, che esprimono l’essenza stessa della Forza, o meglio consentono alla Forza di estrinsecarsi a manifestarsi attraverso varie forme.
La mano carezza, stringe, disegna, scrive, gesticola, racconta, scopre, investiga, uccide, ama. La mano ha una sua storia interiore, una sua dignità, sensibilità; in poco come gli occhi è anche lo specchio dell’animo di una persona, anche se in pratica nessuno oggi più considera l’aspetto delle mani. Avete mai osservato le mani di un pianista? Esse raccontano già tutta la musica che riescono a suonare, come se quelle mani si siano evolute ad un gradino superiore rispetto alle altre, meno sensibili, meno fini, meno coordinate.
Nella celeberrima Cappella Sistina in Vaticano l’atto della creazione di Adamo da parte di Dio è stato raffigurato proprio col tocco della mano, più propriamente dell’indice. Lo scultore e pittore Michelangelo viveva intensamente le proprie emozioni artistiche che solo la sua mano esperta riusciva a riprodurre.
Il prato fiorito sembra ricamato con piccoli petali carnosi simili a velluto dai toni iridescenti e tutto intorno è circondato da un’oscura e fitta boscaglia.
Una Donzella, dalla chioma ramata, dagli occhi puri ed innocenti, dai tratti fini e delicati, serena nell’espressione, indossa una tunica bianca che discende fino alle caviglie. Attorno al collo, esile ed opalescente, pende una collana formata da 11 pentagrammi d’argento, con un piccolo esagramma d’oro per pendaglio.
La Donzella sta cogliendo alcuni fiori appassiti, che prendono vita, come se la donna stesse trasmettendo loro un’energia frutto della propria dolcezza interiore.
Tutto dà ad intendere che deve possedere dei poteri simili a quelli del Mago, ma può anche fare a meno della bacchetta miracolosa, dato che il suo potere straordinario scaturisce dalle sue stesse mani e fa parte del corpo intero.
Un leone selvaggio e minaccioso d’improvviso sopraggiunge dalla boscaglia e fa per avventarsi con foga bestiale sulla fragile creatura, per metà inginocchiata sul prato e nell’atto di cogliere un fiore appassito. La Donzella da sola affronta il leone, senza denotare il minimo spavento. Progressivamente con la forza delle sole mani comincia a chiuderne le fauci pronte a sbranarla, dimostrando di possedere una forza erculea nascosta ed insospettata. La Donzella con il solo tocco delle mani nude riesce a domare la violenza del leone. Lo ammansisce, facendolo uscire dalla propria condizione puramente istintuale e gli trasmette la propria ragionevolezza. Nello stesso tempo la Donzella dà l’impressione di sapersi impossessare di quelle energie primitive, di assimilarle in sé, di trasformarle entro il suo proprio corpo, che pare esserne pregno. L’energia bruta, incontrollata dell’animale, pare scorrerle attraverso le mani e diventare linfa del suo sangue, fino ad illuminarle di più il viso.
La Donzella è doppiamente attiva e possiede grandi poteri magici, riesce a dominare ogni situazione difficile che deve affrontare; il suo corpo emana una forza psichica che è superiore alla forza fisica, muscolare e corporea. Tranquilla e padrona di sé, riesce a controllare le proprie emozioni e a dominare la paura che prenderebbe il sopravvento su qualsiasi persona normale incapace di resistere alla violenza e brutalità della forza animalesca.
La Donzella è capace d’incanalare la propria energia interiore nelle mani che possono persino guarire dalle malattie, sanare ferite, compiere gli stessi prodigi del Mago, in virtù di un’ evoluzione intellettuale che dimostra di avere superato lo stadio della fase puramente istintiva nella quale l’animale è invece ancora relegato.
11 = 1 + 10
La Forza scaturisce direttamente dal Mago, che, passando attraverso l’esperienza del primo ciclo dei numeri, ha acquisito consapevolezza e può andare incontro alla Ruota della Fortuna senza sentirsi intimidito dalla sua imprevedibilità. La Forza consente al Mago, novello Edipo, di approssimarsi all’enigmatica Sfinge senza paura e di risolvere l’enigma; ovvero la Forza è indispensabile per dare una risposta ai grandi quesiti esistenziali.
11 = 2 + 9
La profondità spirituale della Donzella che doma il leone eguaglia la luce dell’Eremita che fa sue le conoscenze possedute dalla Vestale. La Forza dunque è anche conoscenza e scaturisce dalla sapienza che tutti noi andiamo acquisendo ogni giorno nel corso del nostro faticoso cammino.
11 = 3 + 8
La Forza scaturisce direttamente dalla Dea-Madre capace di generare una creatura straordinaria: il Figlio delle Stelle che fonda i suoi poteri sul proprio equilibrio interiore. Solamente la Forza consente di far nascere il regno utopico della Giustizia. Si tratta di una proposizione che conferma la necessità di una rivoluzione culturale, con nuovi valori per instaurare una vera Giustizia. Una rivoluzione storica (tipo quella francese) dunque non basta, perché l’uomo deve cambiare interiormente e le buone intenzioni di una minoranza non sono sufficienti.
11 = 4 + 7
La Forza va vista quale emanazione vittoriosa degli Dei, come una conquista della trascendenza, che nello stesso tempo utilizza le 4 virtù ermetiche, dominio dell’Imperatore del mondo. Questo indica che la Forza non è una pura astrazione concettuale, una forza solo spirituale, ma che il suo campo d’azione si esercita sulla realtà e sulle cose.
11 = 5 + 6
La quintessenza della Forza sta nella capacità di far propria la stasi dell’Innamorato, di uscire fuori dal vicolo cieco di due percorsi obbligati, di superare le contraddizioni, di volgere la passività in azione costruttiva. Sia la quintessenza che l’Innamorato sono come cristallizzati, immobili, incapaci di evolversi. Ebbene la Forza è in grado di capovolgere il loro essere ed il loro rapporto reciproco; è in grado di mettere in moto un processo doppiamente magico, che è proiezione e sdoppiamento del numero 1, che mette in moto il secondo ciclo dei Tarocchi.
La Forza partecipa della proprietà della quintessenza, ovvero è latente e deve essere lasciata libera d’emergere; tale energia occulta agisce su ogni forma d’attesa, d’esitazione, di dubbio; risolve ogni situazione conflittuale, tormentata ed angosciante; indica una soluzione certa e il giusto cammino da seguire in ogni situazione che richiede coraggio, fermezza e prontezza, perché la Forza intuisce all’istante la natura dell’ostacolo che ha di fronte e va diretto al sodo.
11 = 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+11 = 66 = 6 + 6 = 12
L’ultima equivalenza cabalistica relaziona il numero 11 con il successivo: il 12. Questo chiarisce un ulteriore importantissimo significato della Forza: ad essa si giunge lentamente e faticosamente, per mezzo di piccoli passi e di grandi rinunce e sacrifici; il suo possesso non è automatico e scontato. Nessun altro, al di fuori di noi stessi, ce ne può garantire l’acquisizione totale. In altre parole, nessuno ti può insegnare a possedere la Forza, come si può dissertare su qualsiasi altra questione, che si può apprendere attraverso le parole di un altro.
Nell’occulto le parole non servono e l’apprendistato è rigorosamente personale. Dunque la vera Forza sta dentro di noi e nessuno ce la può dare, o trasmettere. Inoltre va detto che per mezzo della Forza possiamo tramutare la volontà di possesso in una rinuncia ad ogni bene terreno ed aspirare al massimo sacrificio di cui l’Appeso è il simbolo vivente. Possiamo osservare che la Forza viene relazionata per ben due volte alla valenza del numero 6, in quanto riesce a incanalare tutta l’energia accumulata dal conflitto interiore dell’Innamorato, e a trasfigurarla in un vero atto d’amore per il prossimo, rappresentato dalla voglia di immolarsi dell’Appeso che rivendica per sé una diversità contro l’appiattimento delle coscienze.
La Forza ci consente di descrivere il mondo in maniera originale, di uscire fuori dalla logica del popolo degli scriventi, di compiere quella rivoluzione culturale di cui i Tarocchi sono forse l’espressione più condensata ed ermetica, di scoprire il senso oscuro delle cose. Questa Forza è stata conferita ad una creatura femminile, per evitare che essa potesse diventare l’attributo di una virilità aggressiva e violenta.
Nelle mani della Donzella la violenza è bandita, perché la sopraffazione del debole appartiene alla cultura del potere, alla logica della sopraffazione, all’imposizione del dominio del più forte.
La Donzella rovescia dal suo trono l’Imperatore ed instaura una nuova legge, fonda una nuova comunità di liberi ed uguali, senza bandiere sovrane, senza soldati, senza sacerdoti.
L’utopia del regno della Giustizia si concretizza solamente quando la Donzella fonda il suo regno e sparge le sue messi: la grazia, l’eleganza, l’aristocrazia del gesto, la sensibilità, la diversità, l’inventiva, il gusto pacato ed equilibrato.
La Donzella non si confonde con la donna emancipata che giustamente contende al maschio il primato. La conflittualità tra i due sessi, se esasperata, è innaturale e sterile. La Donzella è la donna senza peccato agli albori della specie, la Eva dell’Eden originario, un valore oggi scomparso.
Se il quarto Arcano del primo ciclo, l’Imperatore è incentrato sulla Forza che sta alle fondamenta del potere ed allude all’energia che unisce i 4 elementi fondamentali; il quarto Arcano del secondo ciclo, la Donzella indica una forza interiore che non traspare e che posseggono solo gli eletti, i puri di spirito, gli iniziati.
Le valenze della Forza.
La Donzella personifica forza interiore, denota coraggio, grande energia, poteri non comuni, capacità di concentrazione, tenacia ed intraprendenza, dignità, nobiltà d’animo, purezza, potere di sanare il corpo e la mente. Se nel corso di un oracolo affidato alla voce dei Tarocchi incontriamo la presenza benevola della Donzella, questa riuscirà a contenere l’eventuale negatività della quintessenza e dell’Innamorato, come si evince dal suo collare.
La Forza della Donzella nella casa numero 1 attribuisce doti morali e poteri non comuni direttamente al consultante che ne viene profondamente investito, per cui ogni progetto dovrebbe riuscire perché si tratta di una personalità tenace, che non si lascia intimidire dalle aggressioni e dalle avversità. La voglia di lottare del consultante non sarà però palese e manifesta e neppure produrrà effetti devastanti nei suoi avversari che saranno comunque domati.
Solamente nella casa numero 2 invece la Forza della Donzella costituirà un ostacolo agli obiettivi quotidiani e ai progetti in genere del consultante.
Nella casa numero 3 la Donzella trasferisce le proprie prerogative benefiche sulla madre, sulla gestante, sul figlio che dovrà nascere.
Nella casa numero 4 la Donzella ingentilisce il potere rendendolo meno aspro e più tollerante e conferisce all’autorità un prestigio interiore, una forza supplementare, un’energia sconosciuta a chi decide in maniera arbitraria ed arrogante senza rispetto per i valori personali.
Nella casa numero 5 la Donzella riesce a mettere in luce le trame oscure dei nemici, a guarire dai sortilegi malefici.
Nella casa numero 6 la Donzella riesce a dare coraggio alla persona timorosa che riuscirà anche a prendere delle decisioni difficili.
Nella casa numero 7 la Donzella costituisce la sintesi benefica per l’intera questione.
Quasi sempre dunque prevale la valenza positiva della Donzella, la cui valenza negativa si fa sentire solamente nella seconda casa.
Capitolo 27
Arcano Numero 12: l'Appeso
Lui non professa una fede
sancita da Libri Sacri,
non rinuncia ai suoi ideali di vita
tuttavia rispetta i valori altrui
perché sa di non possedere la verità
che in molti stanno faticosamente cercando.
Se vuoi raggiungere alcuni obiettivi
devi essere disposto a lottare
contro avversità di ogni tipo.
Nulla ti sarà dato senza un briciolo di sacrificio.
Gli amici ti rispetteranno
ed anche i nemici ti onoreranno.
Grandi rinunce, grandi traguardi.
Come l’Appeso assomiglierai e sarai
condannato alla pubblica gogna.
Molti ti irrideranno e troveranno scandalosa
la tua condotta di esibizionista coerente,
che non si è venduto per danaro ed onori
in ginocchio dinanzi ai potenti.
Da solo; in te; in silenzio;
puoi capovolgere il mondo.
La diversità fa paura.
Gli omologati ripetono rituali
e le medesime sciocche filastrocche
di bambini viziati, incapaci di slanci di generosità
chiusi nel cieco egoismo del delirio
che invade ed offusca le menti
dei signori della Terra
Nel corso dei tempi l’Arcano numero 12 dal punto di vista iconografico non ha subito mutamenti. La posizione dell’Appeso ricorda quella di certi condannati medioevali che venivano esposti al pubblico ludibrio e disprezzo perché avevano commesso una pena grave; tuttavia l’Appeso si lascia subito apprezzare per la sua unicità: appare fiero del suo stato e il suo martirio evidente è sotto gli occhi di tutti. Il sacrificio dell’Appeso merita un sostanziale rispetto e siamo portati a condividere quei valori per cui si è battuto ed è stato ingiustamente condannato dalla logica del potere, che vede in lui il segno della diversità e del dissenso. Questo aspetto non sarà certo sfuggito agli occhi attenti degli Inquisitori, che in tale circostanza hanno preferito assecondare e si sono guardati bene dal proporre metamorfosi, comunque assai più pericolose. Quindi l’Appeso è rimasto tale, inalterato attraverso i secoli e non potrebbe conoscere cambiamenti di sorta. La sua posizione capovolta è tipica, inconfondibile, inalterabile nella sostanza. L’Appeso capovolge il senso comune; ribalta la logica; mette il mondo sottosopra, senza dire neppure una parola. La sua posizione immota parla per sé; supera ogni barriera linguistica e culturale.
Se poi consideriamo la sequenza, Forza 11 e Appeso 12, appare logico che l’Appeso per accedere alla sua condizione deve avere attraversato il percorso morale compiuto dalla Forza e quindi la forza interiore che possiede gli deriva dal suo stato pregresso Questo dimostra che la sequenza degli Arcani maggiori ha una sua logica intrinseca e che non sono messi a caso. Dunque esiste un disegno intelligente con cui l’Artefice dei Tarocchi ha costruito un messaggio che va decifrato alla luce della Filosofia dei numeri. Il simbolismo occulto a cui allude il filosofo Dummett va inteso con strumenti razionali, attraversati ed alimentati da lucide intuizioni.
L’impalcatura iconografica degli Arcani va letta alla luce della ragione. Non v’é un occultismo per sette d’iniziati; non vi sono segreti, arcani misteriosi. L’Arcano dei Tarocchi paradossalmente non è più un arcano, ma un segno lucido quando viene letto sapientemente con gli strumenti razionali che tutti possiedono. Il simbolismo occulto viene illustrato con una sequenza di Arcani parlanti, che si manifestano e professano una precisa fede: la lucida ragione dei numeri.
Descrizione dell’Arcano numero 12
L’uomo sta appeso con la testa all’ingiù, con un piede assicurato da una fune ad una trave di legno, inchiodata sopra due tronchi d’albero, i cui rami, sei per parte, sono stati recisi di recente, perché la linfa del vegetale, color d’ambra, ancora fresca e molle fuoriesce e dà l’impressione che dodici moncherini stiano sanguinando e che il supplizio inferto all’uomo abbia attinto anche i due alberi incolpevoli.
Accanto all’Appeso la terra è come spaccata nel mezzo da una profonda voragine, provocata forse da un violento movimento tellurico e la fenditura forma un triangolo, con la punta rivolta verso il centro della terra, dalla quale fuoriescono esalazioni inconfondibili di zolfo che fanno supporre l’esistenza di un vulcano sotterraneo. I due alberi del supplizio nascono proprio sui bordi della fenditura, uno dirimpetto all’altro e lasciano intravedere alcune radici scoperte che spuntano dalla viva zolla. La traversa orizzontale, i due alberi e il triangolo capovolto, formato dal terreno spaccato, costituiscono già idealmente la forma di un sarcofago rovesciato pronto ad accogliere il corpo paziente dell’Appeso, la cui testa e la cui capigliatura sono sospese nel vuoto e sembrano conficcate nel ventre stesso della terra, come le radici di un albero.
Le braccia dell’uomo sono legate dietro la schiena e formano con il tronco un ulteriore triangolo rovesciato, che dà l’impressione di doversi incastrare da un momento all’altro esattamente nel fondo dell’altro triangolo maggiore che lo contiene. La gamba libera dell’Appeso è piegata dietro l’altra e forma una croce, che viene a poggiare sul triangolo corporeo. Per cui il corpo dell’Appeso compone il segno alchemico del compimento della Grande Opera. Le braccia strette attorno alla vita sostengono due sacchetti dai quali scivolano 12 monete d’oro che si sparpagliano al suolo. Una magica luminosità a tratti anima il legno della trave, alla quale l’uomo sta appeso, ed in alcuni momenti assomiglia ad una barra di oro. L’uomo ha scoperto il segreto della pietra filosofale, ma il potere lo ha punito per stregoneria.
Grafia dell’Appeso secondo la Cabala: 1 > 2 > 12
Dalla Cabala si evince che la natura del numero 12 va sempre riportata a quella del numero 1 con la sua singolarità, posto di fronte al numero 2 con tutte le sue contraddizioni. Si ha la sensazione che i poteri del Mago si siano capovolti ed abbiano perso la loro intrinseca dinamicità per cristallizzarsi.
L’Appeso ti dice, per avere scrutato a fondo nei meandri del Tempio della conoscenza, che per giungere alla verità devi capovolgere il senso comune e guardare il tutto da una prospettiva differente. Il Mago un tempo così gioviale e spensierato ha perso la propria innocenza primordiale ed è approdato ad un immobilismo pensoso triste e malinconico. La gioia spontanea originaria è smarrita; forse irrimediabilmente perduta. Il sapere comporta sacrificio. Nel Tempio ci sono un’infinità di Libri; se li leggi tutti scopri d’essere stato ingannato e che gli scriventi, al servizio del potere, sono manipolati dall’inconscio originario collettivo. Il sapere dell’Appeso non sta scritto su nessun libro; emerge dalla sua coscienza di diverso, che si immola, fiero della della sua condizione che non intende abbandonare. L’Appeso non abiura, non si pente, non scende dal patibolo a cui è stato ingiustamente confinato. O forse potremmo anche supporre che lui stesso abbia scelto d’inscenare un grande spettacolo: la diversità scandalosa sotto gli occhi di tutti. In tal modo l’Appeso spodesta gli scriventi e mette a nudo il sapere primordiale che giace offuscato nel fondo della nostra coscienza. La sua posizione è la sintesi di una grande rivoluzione culturale di cui lui è il vero unico protagonista. Paradossalmente l’Arcano che sembra più mite, più dimesso, più perdente e più rinunciatario é invece quello che può cambiare il corso stesso della storia e promuovere una vera palingenesi delle coscienze. Se capovolgiamo il numero 12 e lo leggiamo al contrario avremo il 21: ovvero il Mondo rigenerato e trasformato dal messaggio morale dell’Appeso. Anche la grafia del numero 12 aiuta ad intendere una delle carte più singolari dei Tarocchi: l’Appeso. 12: l’unicità del numero 1 è stata messa di fronte alla dualità del numero 2 e questo determina una sorta di singolare confronto da cui scaturisce la natura stessa dell’Appeso. Non dimentichiamo che 1 è l’Appeso e 2 sono gli alberi a cui è sospeso. Materialmente i due alberi sono uniti da una barra d’oro, spiritualmente il corpo dell’Appeso li unisce attraverso la sua sofferenza.
Il sacrificio fisico, morale e spirituale dell’Appeso è sotto gli occhi dell’intera collettività, ma nessuno accompagna il suo dolore. Quello che colpisce è l’indifferenza sociale e politica. Il silenzio collettivo sembra avere condannato ed espulso l’Appeso definitivamente, lasciandolo solo al suo destino.
Il messaggio spirituale dell’Appeso non cerca riconoscimenti ufficiali, non è gradito dal potere, anzi è giudicato pericoloso per l’ordine sociale e costituito.
L’isolamento morale e sociale che circonda l’Appeso ci dice che i grandi rivoluzionari sono sempre stati lasciati soli, e poi sono stati richiamati alla ribalta al momento del bisogno, usati dalle stesse forze ostili che li avevano condannati. Per questo l’Appeso non vuole essere il profeta di una nuova regola di vita morale o religiosa, ma semplicemente l’autore della propria vita; non intende ricevere etichette confezionate da altri, non vuole essere usato per scopi propagandistici da questo o quel potere.
L’Appeso, apparentemente così fragile, grida no in faccia al programma che è stato predisposto per lui e che lui dovrebbe limitarsi ad accettare passivamente senza discutere. L’Appeso rivendica la libertà originaria e attraverso un processo d’elevazione intellettuale perviene al mi penso, progettandosi liberamente, quale centro del proprio mondo e dio del proprio universo.
L’Appeso dunque è razionalmente arrivato a negare l’esistenza di Dio, perché si è accorto che Dio non c’è, che il mondo è sotto il tallone del Diavolo, che spesso preferisce camuffarsi sotto le spoglie del buon Dio.
Secondo la Cabala abbiamo:
12 = 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+11+12 = 78 = 7 + 8 = 15
L’Appeso rinvia al Diavolo, infatti non c’è opera dell’Appeso che non sia stata rovinata dal Diavolo; basti pensare al palese travisamento del messaggio di Gesù da parte della Chiesa di Roma, che, in nome di Dio, nel 1208 ha bandito una santa Crociata contro dei fratelli considerati eretici: gli albigesi. Questo episodio emblematico dimostra che l’Appeso è il simbolo stesso della vittima della repressione di ogni tipo di Crociata. L’Appeso chiama sempre in causa il Diavolo, il principio del male, perché non si sottomette e non accetta le sue regole e soprattutto rinnega il suo progetto.
Il numero 12 partecipa delle valenze del numero 7 e del numero 8 - rispettivamente dell’armonia e dell’equilibrio - che ha assimilato interiormente e che non tutti possono vedere; al contrario del Diavolo (15 = 7 + 8) che ostenta sfacciatamente tali prerogative, facendosi passare per il buon Dio
1 + 11 = 12
In maniera del tutto paradossale l’Appeso usa la Forza della Donzella e le capacità del Mago. La sua sconfitta non è mai rassegnazione e gli effetti del suo sacrificio possono domare gli istinti più bestiali dell’uomo barbaro, ma possono anche cambiare le mostruose istituzioni, religiose e non, che in maniera brutale ruggiscono contro il libero pensiero. Inoltre non dimentichiamo che l’Appeso sorprende tutti andando contro il senso comune. Il numero 1 e il numero 11 di per sé estremamente dinamici ed attivi si fondono insieme per dare vita all’inazione dell’Appeso.
2 + 10 = 12
Sono sempre i numeri precedenti che strutturano i successivi e ne configurano la fisionomia. Il dualismo, insito nel numero 2, è di per sé costruttivo e genera un nuovo equilibrio. Anche il numero 10, che mette in moto l’essenza stessa del divenire, è un numero attivo e dinamico. L’Arcano dell’Appeso capta il dinamismo di questi numeri e lo cristallizza in un assenza di movimento che appare provocatoria e paradossale. E se i due alberi visualizzano il numero 2, l’Appeso si pone nel mezzo dei dualismi col proprio corpo e impone alla Ruota del Divenire una pausa di riflessione.
3 + 9 = 12
Elementi sacrificali sono presenti sia nell’Eremita che si dedica interamente alla ricerca della verità e rinuncia a vivere, sia nella Dea-Madre che dismette temporaneamente la propria divinità per dare alla luce il Figlio delle Stelle. L’Appeso dei Tarocchi sublima il suo sacrificio per fare luce attorno alle tenebre che circondano l’umanità. Il suo corpo semina nel terreno sottostante 12 monete d’oro che risplendono e costituiscono il suo patrimonio, l’eredità morale che l’Appeso spontaneamente trasmette.
4 + 8 = 12
Dal punto di vista morale l’Appeso conia perfettamente il possesso delle 4 virtù hermetiche con il raggiungimento dell’equilibrio interiore; solamente così riesce a ridicolizzare il potere e a mostrare che la vera giustizia non è di questo mondo.
Abbastanza emblematica in tal senso appare la postura dell’Appeso che con la gamba piegata sull’altra in silenzio sublima ed esalta il suo sacrificio.
Dal punto di vista mondano bisogna riconoscere che l’Appeso viene sempre condannato per volontà dell’Imperatore, che personifica il potere politico, con la complicità del tribunale della giustizia.
L’infamia della gogna affida il condannato al biasimo e al pubblico sdegno e costituisce un esempio per il popolo che in tal modo viene informato e messo dinanzi ad una delle forme della repressione, di cui il patibolo è la forma più macroscopica. La condanna deve essere pubblica, nota a tutti, allo scopo di amplificare il meccanismo della pena.
Abbiamo osservato che la sublime condanna dell’Appeso non prevede visivamente nell’iconografia la presenza attiva della folla, forse la presuppone; di certo non la incoraggia, perché non si tratta della solita messa in scena. Il condannato non grida, non impreca, non si divincola, non si pente. Il condannato Appeso è atipico, è scandaloso, è irritante, è beffardo, punta l’indice contro il suo accusatore e paradossalmente lo fa salire sul banco degli imputati. L’Appeso capovolge il meccanismo della pena, lo mette in discussione insieme a tutto l’apparato statale e sociale.
5 + 7 = 12
La vittoria dell’Appeso è di tipo spirituale, non si vede, come la quintessenza. La sua apparente sconfitta sul piano pratico, si traduce poi in una vittoria sul piano della trascendenza.
6 + 6 = 12
L’Innamorato è bloccato di fronte alla scelta morale che deve compiere, ma l’Appeso ha superato la fase di stallo e di imbarazzo e ha trasfigurato l’impotenza del numero 6 in una vittoria sulla viltà, la paura, il compromesso, l’egoismo, il calcolo. Anche l’Appeso si è trovato a dover scegliere tra due strade opposte, dalle quali è stato egualmente attratto: quella del bene e quella del male. Contrariamente ai dogmatici non ha espresso giudizi aprioristici, ma ha voluto percorrere le due vie fino in fondo, per non essere ingannato nelle sue scelte finali. Non ha demonizzato il corpo come sono abituati a fare i mistici, i fanatici religiosi, ma ne ha conosciuto i poteri.
La dimensione dell’Appeso pertanto non è quella di un santo, bensì di un uomo che ha utilizzato le risorse del corpo e quelle della mente; ciò gli ha consentito in concreto di superare i falsi dualismi e di vedere le cose in maniera totalizzante.
Una notazione cabalistica
Un’ultima sottolineatura sul numero 12: unico numero a due cifre dei Tarocchi che, se capovolto, può essere letto al contrario e dare vita ad un nuovo numero cabalistico: il 21.
12 > < 21
E’ evidente l’aspirazione dell’Appeso a ribaltare la sostanza del mondo e a voler generare un mondo nuovo, espresso proprio dal 21.
Tutti noi di fronte all’Appeso siamo presi dalla voglia improvvisa ed irrefrenabile di capovolgerlo, di vederlo in faccia, con la testa in su. Ebbene siamo stati contagiati, anche noi, dalla sua voglia di ribaltare le cose, attratti dal suo messaggio sul piano inconscio, pervasi dalla sua essenza. L’Appeso ci ha dunque chiamati, fatti uscire dal nostro egoismo, per condurci verso un nuovo cammino.
1 < 2 = 12
L’ascesa del Mago verso il Tempio della conoscenza nel tentativo di carpire il sapere gelosamente custodito dalla Vestale: questo è il cammino sacrificale dell’Appeso prima della condanna. A ben vedere, nessun altro Arcano si presta ad una doppia interpretazione come quella dell’Appeso, che può benissimo essere assimilato ad un brigante o ad una eroe. Ogni Arcano può essere positivo o negativo, edificante o blasfemo, essendo il dualismo uno dei principi generali che guida il sistema dei Tarocchi.
Le valenze dell’Appeso
La presenza dell’Appeso indica sempre una dimensione sacrificale, manifesta od occulta; caratterizza una persona che dimostra di possedere una certa dose di doti morali che lo distinguono dagli altri più opportunisti e pratici individui che lo circondano indifferenti al suo messaggio.
La presenza dell’Appeso può essere intesa come un segno di distinzione morale nel mondo dominato dall’avidità e dalla barbarie. Una persona rara dimostrerà di possedere uno spirito gentile, disponibile alla solidarietà, non sarà avida di danaro, di fama ed onori. L’Appeso è disposto a lottare per i valori in cui crede e non accetta le regole dettate dagli scriventi; la sua diversità morale e comportamentale lo rendono sospetto e i più conformisti tendono a condannarlo ad isolarlo pubblicamente, ad esporlo al ludibrio e al disprezzo pubblico.
Se il quinto Arcano del primo ciclo, il Gerofante, prende in esame colui che personifica il sacro e che lo gestisce, che interpreta la parola del Dio invisibile; il quinto Arcano del secondo ciclo, l’Appeso, prende invece in esame la figura dell’eretico che indica la presenza del sacro nelle forze della natura da cui tutti dipendono ed attribuisce alla stessa una spiritualità ed un’intelligenza che appartengono al creato nella sua interezza. L’Appeso dunque si pone in antitesi, come negazione e vittima del potere del Gerofante.
Nella casa numero 1 la presenza dell’Appeso è benefica e la sua forza morale investe soprattutto colui che domanda l’oracolo .
Nella casa numero 2 la presenza dell’Appeso mette in guardia chiunque abbia l’ardire di profanare il Tempio della conoscenza. Gli scriventi, gelosi custodi del sapere, comminano condanne esemplari a cui l’Appeso non riesce a sottrarsi. Valenza negativa.
Nella casa numero 3 la presenza dell’Appeso ha ancora una valenza negativa perché ribadisce il concetto di condanna per l’Eremita di turno e di sacrificio per la madre che dovrà mettere al mondo un figlio.
Nella casa numero 4 la presenza dell’Appeso investe il ruolo dell’Imperatore e quello del tribunale della giustizia. La condanna ne è la diretta conseguenza inevitabile. In qualche modo è stato violato il codice delle leggi scritte.
Nella casa numero 5 la presenza dell’Appeso contrasta, con le sue elevate doti morali, il ruolo ambiguo del Gerofante smascherandolo, mettendone in luce la malvagità. Valenza positiva perché si esaltano i valori che l’Appeso incarna.
Nella casa numero 6 la presenza dell’Appeso indica che l’Innamorato è disposto a sacrificarsi, ad immolarsi per la donna amata, o per il nobile obiettivo che cerca di conseguire. Valenza positiva.
Nella casa numero 7 la presenza dell’Appeso dimostra che il ruolo del vate, del profeta, del messaggero è destinato a patire un pubblico processo ed una dura condanna e che le oscure trame ordite dal Gerofante hanno sortito il loro effetto.
Capitolo 28
Arcano Numero 13: la Morte
Beffa la Morte con una risata.
Accarezza l’impossibile:
pensa di non invecchiare.
Afferra la giovinezza nei ricordi del passato.
L’elisir di lunga vita sta nella tua volontà.
Non è giusto soffrire. Tu sei l’arbitro della tua vita.
L’eutanasia è un diritto inalienabile.
Dovrebbe essere trascritto e sancito
inequivocabilmente ed esteso
alle legislazioni d’ogni paese civile.
Talora la Morte annunzia la fine di un incubo
e spalanca le porte ad una nuova vita.
Talora possono essere i tuoi nemici a soccombere
e la tua integrità morale può trionfare.
Quindi la Morte può anche essere foriera
di un’inaspettata positività.
Non ti spaventare se compare la Morte corporale
quando consulti i Tarocchi.
Interpreta ed affronta la Morte
alla luce della filosofia dei numeri.
‘Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale’
Nel cantico delle creature frate Francesco, chiama la Morte corporale, sorella. A volte sopraggiunge troppo tardi a porre fine ai giorni delle sofferenze delle creature meno fortunate e destinate a subire inutili accanimenti terapeutici. Siamo fautori dell’eutanasia. Dovrebbe essere riconosciuta come uno dei diritti inalienabili da ascrivere. Se non fosse per gli interessi dell’industria farmaceutica e delle cliniche private gestite con i patrimoni dei ricchi medici; se non fosse per la morale corrente dettata dalla Chiesa cattolica, noi, in questo sciagurato paese, avremmo una legge che ci tutela per farci morire degnamente. E sembra che una vera battaglia a favore dell’eutanasia un partito politico non voglia ancora combatterla. Meglio battersi per frenare i migranti: fanno più cassa. Invitiamo gli intellettuali liberi e più influenti a favorire l’introduzione di una legge pietosa che favorisca l’eutanasia.
Nel Medioevo la Morte era di casa. Noi l’abbiamo relegata negli ospedali. L’abbiamo dimenticata. Cancellata dal nostro vocabolario. In genere non si menziona, perché porta male.
Nei Tarocchi la Morte non poteva certo mancare. Alla fine tutti gli uomini, ricchi o poveri, debbono attraversare il momento cruciale della propria vita. Su tale istante finale proliferano e prosperano tutte le religioni che promettono la vita eterna, il Paradiso per i buoni come ricompensa e persino una resurrezione dei corpi, per coloro che lo meritano ed hanno rispettato i comandamenti divini. Noi siamo scettici e dubitiamo, in virtù degli strumenti logici in nostro possesso, che queste promesse delle religioni abbiano un riscontro, un fondamento. Ci limitiamo a registrare le superstizioni e a criticarle.
Genesi dell’Arcano della Morte: 1 > 3 < 13
Logicamente all’Appeso e alla sua condanna segue la Morte corporale. Non poteva essere altrimenti. Il sistema dei Tarocchi letto alla luce della filosofia dei numeri non sorprende per improvvisazioni, ma viene costruito rispettando la realtà, visualizzandola nel suo divenire. Se la Dea-Madre, l’Arcano numero 3 simboleggia la vita; quando si completa un ciclo vitale si arriva inesorabilmente alla Morte corporale.
Attenzione però: l’Appeso perviene alla Morte corporale attraverso un proprio percorso cosciente; non muore improvvisamente, o banalmente per un incidente, o per una malattia. Ha saputo costruirsi con la propria energia interiore, giustamente canalizzata ed indirizzata, una sua immortalità che gli discende dalla propria consapevolezza interiore.
La più classica delle rappresentazioni della Morte
Un lungo bastone insanguinato muove una falce arrugginita che spunta all’improvviso. La lama corre sull’erba come se un contadino se ne stia servendo per la sua messe. A causa della fitta nebbia non s’intravede colui che maneggia la falce con tanta abilità. Poi cade al suolo una testa d’uomo coronata e una di donna. Non si ode il respiro, né il calpestio dei passi della presenza invisibile che con la sua orribile falce recide la parte più nobile delle due creature. Stranamente le due teste hanno un’espressione lucida e viva e sanguinano abbondantemente. Gli occhi si agitano, le bocche si aprono e si chiudono, come se vogliano parlare, ma non si riesce ad intendere nulla in quei suoni sconnessi, sillabati e cupi.
Concettualmente l’Appeso, il numero 12, trova il suo prosieguo nella Morte corporale: il numero 13.
13=1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+11+12+13 = 91 = 9 + 1 = 10
Cerchiamo di leggere gli insegnamenti della Cabala. La Morte ha il suo numero riflesso nella Ruota del divenire, il che vuole indicare che ogni creatura del mondo deve passare attraverso la Morte e che lo stesso sistema mondo, prima o poi, andrà incontro alla stessa fine.
Osserviamo poi che il numero 13 è come se volesse percorrere a ritroso la prima serie dei numeri dal numero 9 al numero 1 (tranne lo zero che non può morire, essendo capace di rinascere dall’abisso e quindi immortale). Infine il numero 13 dimostra di potere trasformare la natura di tutti i numeri, fino a provocarne la Morte.
In Italia il 13 è considerato un numero fortunato. La famosa schedina presenta 13 incontri di calcio, che se indovinati fanno la fortuna del giocatore che ha previsto tutti i risultati. Quando è nato questo gioco popolare evidentemente gli ideatori non hanno considerato il sistema dei numeri associati ai Tarocchi. E poi ogni numero ha una sua particolarità ed essa non è sempre la stessa, fluttua e varia in base al contesto storico, alla cultura, alle consuetudini dei vari paesi che fanno riferimento ad un particolare numero. Per esempio in Cina il numero 8 è considerato un numero fortunato per eccellenza.
Il mitico vaso di Pandora (troppo spesso dimenticato) ci dice che gli uomini sono stati puniti dagli Dei per i loro peccati, ovvero per la loro presunzione di essere il centro dell’universo. Dunque la Morte corporale non può che ricondurci al punto di partenza: all’organismo al quale siamo legati fin dalla nascita, ovvero il corpo. Il numero 3 racconta del corpo meglio di qualsiasi altro Arcano, ce ne mostra il fascino originario, prima che il peccato lo corrompesse. Il corpo originariamente doveva essere assai bello e forte, distante dalla corruzione quotidiana dell’attuale livello di invecchiamento, immune dalle malattie esistenti oggi, frutto indubbio dell’uscita dallo stato di natura. La Morte è stata semplicemente rimossa dalle discussioni quotidiane e dall’immaginario collettivo, perché la funzione degli scriventi è quella di occultare il ricordo originario e di indirizzare il popolo dei parlanti verso i paradisi artificiali propinando ogni tipo di droghe soporifere, che nessuno oserà mai proibire e mettere in discussione.
1 < 3 = 13
La Morte corporea porta a compimento quel processo iniziato con la nascita. L’individualità del Mago passa attraverso la fase della nascita e giunge fino alla Morte corporea.
Osserviamo che uno strano, complice silenzio oscura la morte e che l’Appeso, nel momento del suo sacrificio, è stato abbandonato da tutti e bandito insieme al suo messaggio. La stragrande maggioranza degli uomini posti dinanzi alla Morte si affida al conforto religioso che ha elaborato appositamente il concetto di anima proprio per garantire ad ognuno una specie di immortalità acquisita per diritto divino.
Vediamo adesso, con l’ausilio della Cabala, quali molteplici aspetti può assumere la Morte.
13 = 1 + 12
Originariamente il Mago mette in moto un processo vitale che pare concludersi con il sacrificio dell’individualità nel nome dei valori da salvare. La Morte corporea attende tanto il Mago, quanto l’Appeso.
13 = 2 + 11
Ciascuno di noi possiede un certo grado d’energia originaria, di forza interiore, che non è eterna, ma si consuma giorno dopo giorno nelle situazioni conflittuali quotidiane e questo processo porta inevitabilmente alla Morte. Ovviamente il numero 2 diventa un indice per misurare l’approssimarsi della Morte. Quando i dualismi, in senso lato, sono maggiori, tanto più grande sarà il consumo dell’energia originaria.
13 = 3 + 10
Ogni creatura quando nasce ha di fronte a sé il suo destino individuale che si compirà con la Morte corporale. Tale percorso è unico ed irripetibile. L’esistenza diciamo per esempio di 33 anni non è automatica e garantita per tutti, in quanto sappiamo che la Ruota può girare ora in un senso, ora in un altro. La vita non è un diritto naturale, né un regalo di un dio pietoso e benevolo, bensì il risultato di un impegno personale, una conquista del singolo, che viene costruita giorno dopo giorno.
Non basta essere buoni od uniformarsi in tutto e per tutto alle prescrizioni di una religione qualsiasi, per sopravvivere alla Morte corporale. E’ indispensabile conoscere l’occulto, ascoltare le voci dei Tarocchi, per potenziare le proprie energie e costruire un nuovo essere.
13 = 4 + 9
La Vita scaturisce dall’unione, in varia misura, dei 4 elementi fondamentali; fare luce sulla natura di quella unione significa attingere l’essenza stessa della Morte intesa come un processo di trasformazione.
13 = 5 + 8
La Morte attinge nello stesso tempo sia la quintessenza, intesa quale cardine che mantiene uniti i 4 elementi fondamentali, sia l’ equilibrio originario che mantiene in vita tutti gli esseri.
13 = 6 + 7
La Morte vede prevalere la stasi sul movimento, l’impotenza sull’azione, l’indecisione sulla risolutezza, perché la stessa natura ambigua dell’Innamorato, eternamente attratto dal male ed incapace di scegliere il bene, mina alla radice l’armonia originaria che è fondata sull’assenza del male. L’iconografia tradizionale sottolinea, attraverso il classico gusto medioevale per l’orrido, gli effetti devastanti della Morte sul corpo. Il classico scheletro che campeggia è frutto di una rappresentazione cara anche ai predicatori e ai moralisti il cui obiettivo principale è quello di sottolineare la precarietà dell’esistenza umana e la dipendenza dalla volontà suprema di Dio a cui tutti gli uomini devono sottostare. Il nostro obiettivo primario, ed anche quello originario dell’artefice che ha ideato i Tarocchi, è mostrare una trasformazione naturale e graduale che investe ogni corpo corruttibile nel tempo.
Il numero 11 e il numero 12 illustravano rispettivamente i risultati che possono essere ottenuti dalla Forza morale ed intellettiva, quando questa è ben indirizzata. Il numero 13 rappresenta l’esaurirsi delle energie originarie individuali.
Vedremo più avanti che il numero 14 costituisce il superamento della Morte corporale in una specie di proiezione che riporta il denso verso il sottile.
L’Arcano della Morte mostra una testa coronata ed una testa senza corona sulla nuda terra, pronta ad accogliere, nello stesso modo, il personaggio famoso e l’uomo qualunque, quasi ad ammonire che tutti gli uomini sono eguali dinanzi alla Morte. La falce che taglia le testa è la personalizzazione di un fenomeno naturale e progressivo, che diventa violento e repentino in seguito alla rottura dell’equilibrio originario.
Gli Arcani numero 3 e numero 13, rispettivamente dedicati al corpo, al suo fiorire e appassire, riconoscono nel corpo un valore unico per la sua capacità d’essere la somma d’apporti di molteplici enti e fattori.
Va ribadito che nello stato di natura originario il corpo si consegnava spontaneamente alla Morte, prima che sopravvenisse un invecchiamento innaturale. L’individuo lasciava il corpo in maniera consapevole, perché si era evoluto mentalmente e sapeva che doveva lasciare un involucro comunque corruttibile nel corso del tempo. Per cui la Morte era un passaggio, un momento di transizione. Vorremmo ricordare che in alcune tribù africane i vecchi vanno a morire nella foresta cantando; quando sentono che è venuto il momento estremo, si lasciano morire e procedono ad una specie di eutanasia volontaria.
Allo stato di natura l’uomo non invecchia, non si ammala, muore naturalmente e la specie si mantiene forte. Fuori dallo stato di natura la malattia prevale sulla salute e la specie si indebolisce e il panorama umano diventa sempre più degradato.
La Morte corporale indica l’esaurirsi di un progetto, la fine di un legame affettivo molto stretto, il repentino interrompersi di una vita di una persona molto prossima al consultante. Si tratta sempre di una vicenda che tocca direttamente, o indirettamente l’interessato.
Se il sesto Arcano del primo ciclo, l’Innamorato, personifica un immobilismo attivo e costruttivo, la stasi – in un certo senso dinamica - di fronte a due strade seducenti e percorribili; il sesto Arcano del secondo ciclo presenta il fenomeno naturale della Morte anche nella sua cieca violenza, nella sua aggressività sociale e pubblica. Se nell’Innamorato c’è ancora un equilibrio di fronte ai contrari, con la Morte tale equilibrio viene meno e la sua rottura segna la fine della vita.
Nella casa numero 1 l’Arcano della Morte investe la persona che è al centro dell’oracolo. Al Mago, l’invidia, l’ignoranza e la rabbia del popolo superstizioso, hanno riservato la sorte dell’Appeso.
Nella casa numero 2 l’Arcano della Morte mostra che i dualismi posseggono una loro forza interiore che è però destinata ad esaurirsi e che anche l’energia della Donzella può venire meno per consunzione naturale.
Nella casa numero 3 l’Arcano della Morte colpisce la partoriente, la donna gravida, la donna giovane e mostra che la Ruota gira improvvisa ed inesorabile spazzando via anche le giovani vite.
Nella casa numero 4 l’Arcano della Morte investe l’autorità dell’Imperatore, il ruolo del padre, le istituzioni e colpisce il vecchio Eremita che deve interrompere la sua ricerca.
Nella casa numero 5 l’Arcano della Morte non risparmia il Gerofante di turno e il tribunale della Giustizia comminerà sentenze di morte e di condanna morale.
Nella casa numero 6 l’Arcano della Morte non risparmia l’Innamorato tradito e avremo il compimento di un percorso, di un viaggio, di una stagione della vita, in quanto il cocchio degli Dei è oramai giunto a destinazione.
Nella casa numero 7 l’Arcano della Morte sarà rafforzato da un veicolo, da un mezzo di locomozione, da un cocchio a cui non sapremo sottrarci a causa della nostra colpevole inazione da innamorati.
Capitolo 29
Arcano Numero 14: l’Alchimista
Sentenza guida
controlla le reazioni istintive,
modera il linguaggio, l’alimentazione.
Non devi macerarti in digiuni
ed astinenze dai naturali piaceri corporali.
Fai scorrere l’energia nei meridiani che sono in te.
Impara a conoscere meglio il tuo corpo
e saprai di più sulla natura dello spirito.
Costruisci la tua immortalità,
plasma la tua anima giorno per giorno
Ascolta le voci benevole
che si affacciano nella tua coscienza.
Rintuzza le presenze malevole
che turbano il tuo equilibrio.
Impara a guarire anche senza l’ausilio di farmaci.
Dialoga con chi è diverso da te.
Apprendi i valori della tolleranza.
Esercita la tua mente
e non trascurare la cura del corpo.
Mens sana in corpore sano.
La ricchezza interiore è frutto di dedizione,
letture, confronti, meditazione.
L’Arcano numero 14 è stato chiaramente manipolato dai controllori dell’Inquisizione. L’icona numero 14 è stata denominata temperanza: una delle quattro virtù cardinali (le altre tre sono prudenza, giustizia e fortezza). Possiamo documentare una visibile e sostanziale differenza: all’Arcano senza ali nei Tarocchi Visconti, spuntano ali nella versione dei Tarocchi di Marsiglia. La nomenclatura religiosa deve trovare riscontro in una nobile figura angelicata che rafforza il credo dominante. Ogni riferimento alla ricerca degli alchimisti deve essere oscurata. Essa è considerata pericolosa perché mette in discussione i principi della santa fede.
Gli Arcani maggiori sono stati costruiti secondo una logica dinamica. Perché mai alla morte corporale seguirebbe una virtù suprema dello spirito: la temperanza che simboleggia l’equilibrio interiore in grado di controllare le tentazioni e le seduzioni dei piaceri corporali?
Dell’impianto iconografico dei revisionisti (mistici ed inquisitori) resta l’operazione del travaso del liquido fatto con maestria, perizia ed attenzione, che simboleggia appunto la temperanza. Noi riteniamo che l’Arcano originario numero 14 abbia fatto allusione ai segreti della ricerca alchemica: visualizzata proprio nel travaso del liquido. Infatti l’obiettivo precipuo degli alchimisti era il superamento dei limiti fisiologici e la scoperta dell’elisir di lunga vita.
L’Alchimista indossa una bianca tunica leggerissima e scintillante. Sul petto sta poggiato un etereo diadema costituito da due fasci di luce iridescente, che avvolgono una pietra prismatica a 14 facce: essa occupa il centro ideale del talismano e simboleggia la terra, la quale riceve l’influsso dei sette pianeti.
Un flusso di luce triangolare, che condensa le proprietà del Sole, di Mercurio e della Luna, è inscritto entro un flusso di luce quadrangolare, che assomma gli influssi di Venere, Giove, Saturno e Marte. La mano destra sostiene una brocca d’oro, inclinata verso il basso, dalla quale fuoriesce un liquido composto dai sette colori dell’arcobaleno, che va a cadere in un’anfora sottostante d’argento, sorretta dalla mano sinistra. I sette colori dell’iride fluenti entro le due anfore indicano il numero 14, evocato anche dai sette pianeti, disposti lungo i due fasci luminosi del diadema (7x2).
L’operazione di travaso è fatta con maestria, tanto che nessuna goccia del prezioso liquido va dispersa. Il liquido raggiante pare inesauribile, e i colori dell’iride, nel penetrare nel recipiente inferiore, perdono un poco del loro splendore e paiono più opachi.
Ai piedi dell’Alchimista scorre una corrente cristallina che sembra nascere dalle sue stesse piante dei piedi. Questa benefica fonte va ad intridere un suolo riarso dall’ardore del sole. Il corpo dell’Alchimista, benché poggiato sulla terraferma, pare leggero e dà l’impressione di librarsi nell’aria. Visto più da vicino il liquido è in realtà energia sottile che si trasforma in materia densa, la quale poi si tramuta di nuovo in energia. Il processo è reversibile, perché il flusso dall’anfora d’argento risale a quella d’oro. L’Alchimista sta illustrando, in maniera simbolica e visiva, il processo preposto alla materializzazione che genera il denso dal sottile e il processo successivo assimilabile alla spiritualizzazione, che ritrasforma il denso in sottile. L’intero processo avviene sotto l’influsso dei sette pianeti condensati nella pietra che muta continuamente di colore. L’Alchimista cerca di studiare ed utilizzare le forze della natura; solitamente è abituato ad operare da solo, o è circondato da una cerchia ristretta di iniziati. Tra i molti obiettivi che si prefigge con i suoi esperimenti l’Alchimista aspira sostanzialmente ad un superamento della morte corporale e a rinascere mentalmente su di un altro piano.
L’oro alchemico che tende a generare non è paragonabile a qualsiasi altra pepita che si incontra nel suolo, ma ad una forza interiore capace di rigenerare l’uomo dal suo peccato originario. La brocche che l’Alchimista tiene in mano visualizzano i suoi esperimenti. Innanzitutto più che un liquido, dalla brocche fuoriesce un’energia luminosa, iridescente che ci riporta alla natura del numero 7.
14 = 7 + 7
L’Alchimista tende ad assimilare e a consolidare la natura del numero 7: perfetta sintesi degli opposti. Nel corso del travaso prodigioso nemmeno una goccia del liquido cade in terra. Assistiamo ad un esperimento che visualizza e verifica il principio fondamentale della trasformazione, secondo cui il sottile genera il denso e il denso ritorna al sottile.
1 > 4 = 14
La grande scommessa dell’Alchimista è quella di utilizzare le forze insite nei 4 elementi fondamentali e di produrre una trasformazione che in un certo senso ripristini il ritorno allo stato originario, al numero 1, punto di partenza di tutte le cose.
Quando il Mago riesce a riportare all’unità originaria i 4 elementi fondamentali avremo inteso l’operazione che si prefigge l’Alchimista: ricondurre il denso, assimilabile al numero 4, al sottile, assimilabile al numero 1.
Se l’Imperatore domina sul mondo materiale, visualizzato dal suo trono e dai 4 elementi fondamentali; il dominio del perfetto Alchimista è proprio sull’invisibile e queste proprietà gli vengono trasmesse proprio dal Mago. Dunque l’accostamento tra il numero 1 e il numero 4 genera appunto il numero 14
1 > 4 = 14
Consideriamo l’equivalenza
14=1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+11+12+13+14 =105=1+0+5=6
secondo cui l’Alchimista partecipa della valenza del numero 1, dello zero e del numero 5, per poi riflettersi nel numero 6, ossia agisce sulla staticità dei contrasti esistenti con i poteri propri del Mago, antesignano dell’alchimia, che compie quel prodigio incredibile che è la liberazione della quintessenza. Tale processo non può essere analizzato su basi logiche, perché possiede le caratteristiche proprie dello zero, che sfuggono ad ogni regola e catalogazione.
L’Alchimista è complementare alla stasi cronica dell’Innamorato.
Infatti:
14 = 7 + 7
6 = 3 + 3
20 = 10 +10
Il denso e il sottile ripropongono la stessa dualità del bene e del male. L’Innamorato si trova di fronte a due donne e l’Alchimista deve operare con due brocche. I due processi assommati danno vita a due forme di divenire: l’una espressa da una Ruota di segno positivo e l’altra espressa da una Ruota di segno negativo. Questa due ruote spalancano le porte dell’Apocalissi espressa dal numero 20.
L’Arcano dell’Alchimista allude ad uno stato di equilibrio interiore, di poteri mentali propri del saggio che riesce a liberarsi da solo, senza l’aiuto di fattori esterni, dell’involucro corporale e attinge la perfetta atarassia degli Dei sereni ed immortali. In questo senso l’Arcano numero 14 costituisce il perfetto superamento dell’Arcano numero 13: la Morte corporale.
In seguito alla discesa del Cocchio il sottile degli Dei si espande fino alla terra e diventa denso; grazie all’Alchimista il denso ritorna al sottile e risale fino agli Dei. Il numero 14 illustra il processo per intero: la materializzazione/smaterializzazione, sottolineandone la reversibilità.
14 = 1 + 13
L’Alchimista annuncia una morte magica, una grande trasformazione degna del migliore illusionista: il ritorno del denso al sottile. Del resto i poteri del Mago di per se stessi riescono a tenere a bada la morte.
14 = 2 + 12
L’Alchimista però non agisce in maniera miracolosa, richiede il nostro sacrificio, un laborioso lavoro alchemico che trasformerà la nostra natura imperfetta, che ci consentirà di penetrare nel tempio della conoscenza e di svelarne tutti i misteri.
14 = 3 + 11
L’Alchimista sa come far sua la Forza della Donzella che doma il leone e questo gli consente di dare alla luce una creatura pura ed innocente.
14 = 4 + 10
L’Alchimista domina perfettamente le 4 virtù hermetiche, controlla i 4 elementi fondamentali della vita e può intervenire sulla Ruota del divenire, operando la più mirabile delle trasformazioni.
14 = 5 + 9
L’Alchimista - contrariamente alla morte corporale - non interviene tanto sui 4 elementi fondamentali, quanto sulla quintessenza, che viene illuminata e liberata in maniera naturale e spontanea. L’Alchimista ci insegna a morire senza traumi e a rinascere a nuova vita. La morte lascia visibilmente sul campo vittime illustri, e questo dovrebbe fare riflettere tutti; l’Alchimia è l’unica alternativa possibile per scampare alla morte del corpo che ci ospita.
14 = 6 + 8
Spesso l’individuo è bloccato ed incapace di scegliere la via da seguire; l’Alchimista ricostruisce un nuovo essere su basi armoniche, dandogli la possibilità di intravedere il cammino da seguire.
14 = 7 + 7
La presenza dell’Alchimista nella consultazione è sempre benevola. Essa denota un mutamento graduale e indolore, un miglioramento in genere di una situazione sfavorevole. La sua comparsa dopo l’Arcano della Morte ne annulla gli effetti traumatici e devastanti e prospetta comunque una guarigione possibile, una forma di sopravvivenza.
Di solito la persona che riesce a far sue le prerogative dell’Alchimista è paziente, meticolosa, volenterosa, sensibile, abbastanza tranquilla e sicura di sé, in grado di compiere azioni non ordinarie; decisamente uno sperimentatore attento, dotato di carattere; un individuo intuitivo poco riconducibile a colui che si lascia facilmente condizionare dai comportamenti usuali e consolidati.
Se il settimo Arcano del primo ciclo, il Cocchio annuncia l’avvento sulla terra degli Dei artefici dell’equilibrio originario; il settimo Arcano del secondo ciclo, l’Alchimista, mostra il processo che riconduce il denso al sottile e tende a ricostruire l’equilibrio originario infranto dal peccato originale, commesso da Adamo ed Eva.
La presenza dell’Alchimista nella casa numero 1 indica il superamento della morte, lo scampato pericolo, la guarigione miracolosa e prodigiosa grazie all’aiuto della sapienza alchemica.
La presenza dell’Alchimista nella casa numero 2 illustra la strada da seguire per il superamento dei dualismi: un grande spirito di sacrificio nel nome degli ideali più elevati fino al controllo delle chiavi dell’alchimia.
La presenza dell’Alchimista nella casa numero 3 aiuta la partoriente nei momenti difficili e sana i mali delle giovani vite trasmettendo loro l’energia che è propria della Donzella.
La presenza dell’Alchimista nella casa numero 4 consente all’Imperatore di svolgere il suo ruolo con fermezza e continuità senza temere i rovesci dovuti all’imprevedibilità della Ruota.
La presenza dell’Alchimista nella casa numero 5 riesce a contrastare efficacemente le oscure trame ordite dal Gerofante contrapponendogli efficacemente la luce benefica dell’Eremita.
La presenza dell’Alchimista nella casa numero 6 riesce a trasmettere equilibrio interiore alla stasi dell’Innamorato facendolo uscire dal suo cronico stallo, mette in moto le energie stagnanti e sopite.
La presenza dell’Alchimista nella casa numero 7 è vincente ed annuncia l’avvento di novità, di messaggi favorevoli alla persona che consulta l’oracolo e alle persone che gli sono più care e più vicine.
Capitolo 30
del Diavolo; se vuoi servirlo,
o tenerlo lontano, ascolta la voce
dell’inconscio originario collettivo
dove si cela fin dai primordi.
Lui ha bisogno di te,
per interagire nel mondo,
con le persone; per interferire
su eventi, circostanze, progetti.
Vi sono combinazioni dei Tarocchi
che svelano la presenza del Diavolo.
Vi sono in circolazione immagini
subliminali che lo evocano,
te lo portano direttamente in casa, nel letto.
Se hai paura del Diavolo
sarai alla sua mercé;
se vuoi servirlo, non hai bisogno di vendergli l’anima
già la controlla, non essere troppo generoso.
Se sarai contro Satana,
sarai allo scoperto, perseguitato,
contrastato, censurato, catalogato.
In certi casi impara anche a servirtene;
quando non hai un altra alternativa possibile.
Per tenerlo a bada devi coltivare la meditazione,
lo yoga, la riflessione interiore, il senso critico.
La preghiera in certi casi serve per darti forza;
tuttavia non illuderti che i rituali tradizionali
possano tenerlo lontano;
al contrario sono proprio le consolidate credenze
che le rendono più aggressivo e più forte.
L’icona originaria del Diavolo
Anche se la nostra appare un’affermazione paradossale, forse l’icona del Diavolo è quella più difficile da ricostruire nella sua forma originaria. Molti invece danno per scontato che, essendo il Diavolo ben nitido nell’immaginario collettivo, l’Arcano corrispondente non ha bisogno d’ulteriori elementi chiarificatori. Non sappiamo come fosse veramente rappresentato il Diavolo nei Tarocchi Visconti. La versione a noi nota è successiva e si tratta di una raffigurazione che attinge certamente alla tradizione pittorica consolidata. Potremmo supporre che il Diavolo originario dei Tarocchi abbia fatto una brutta fine: arso in qualche rogo insieme a qualche strega. Forse la carta originaria è stata rimossa, occultata, per non farla conoscere ai profani. Svelava forse l’icona del Diavolo segreti che non dovevano essere divulgati? Sembra che Éliphas Lévi, adepto della massoneria francese, occultista esoterico, nel suo libro Dogme et rituel de la Haute Magie, ne fosse convinto.
Noi neghiamo che esista uno spirito del male che tenta l’animo umano. Piuttosto siamo propensi a pensare che il Diavolo sia il camuffamento più geniale che l’inconscio originario collettivoabbia saputo partorire per celare la sua natura malvagia, inventando dal nulla un’entità maligna a cui la specie umana, credendovi, ha dato spessore, rafforzandone i poteri, estendendoli a macchia d’olio.
L’iconografia del Diavolo
Neghiamo che esista uno spirito del male che tenta l’animo umano. La storia dell’umanità ha ignorato l’esistenza dell’inconscio originario collettivo, abilmente camuffato sotto le spoglie sataniche che lui stesso sapientemente ha saputo confezionarsi nel tempo, senza troppa fatica, per avere trovato ovunque servitori fedeli disposti anche a vendergli l’anima: dono prezioso che il Dio creatore avrebbe fatto al genere umano. L’esistenzialismo ateo di Jean Paul Sartre ha pure scritto un superbo lavoro teatrale ‘Il Diavolo e il Buon Dio’. Quante persone lo hanno letto e meditato? Una sparuta timida minoranza. Al contrario le superstizioni e le credenze religiose sono le più diffuse tra la gente comune ed hanno maggiore amplificazione e risonanza, per via che il potere occulto della classe dominante le tiene in massima considerazione e se ne serve come oppio dei popoli.
La città del Diavolo appare come una fortezza medioevale circondata da mura ciclopiche. L’unica porta d’accesso alla città è posta al di sotto di un gigantesco idolo di pietra che sbarra il passo a chiunque voglia entrare entro quelle mura. Il piedistallo su cui l’idolo sta seduto ha la forma di un altare e la porta quasi si confonde col riquadro d’oro che è posto al centro. Un uomo per entrare deve chinare il capo e passare sotto le gambe dell’idolo oscenamente divaricate. Chiunque può identificare la natura satanica della statua dalla testa che è simile a quella di un capro dalle corna d’oro, le quali, congiuntamente alla barba appuntita e alle aguzze orecchie, configurano esattamente un pentagramma invertito, simbolo del male.
Il pentagramma, costruito con 5 tratti della mano e costituito da altrettante linee e 10 punti, rimanda al numero 15. Dalla schiena si aprono due grandi ali; danno la sensazione di contenere la città intera e sembrano stringere in una morsa infernale chiunque si approssima all’idolo. Le ali non hanno nulla della soavità e della magnificenza tipiche degli uccelli più nobili, perché assomigliano a quelle di un enorme pipistrello: mezzo volatile e mezzo roditore che si nutre del sangue delle sue vittime. Le braccia e il petto sono quelle di una femmina attraente. Dalla vita in giù, fino alla caviglia, il corpo coperto di squame, ricorda quello della mitologica sirena, parte donna e parte pesce.
Le zampe con zoccoli, coperti di fitto pelo, riprendono la foggia del capro. L’idolo di pietra vivente è continuamente animato da una forza possente, che lo percorre da cima a fondo, paragonabile ad una scarica elettrica che tramuta la statua in fibra vivente. Il Maligno, avvolto nell’oscurità perenne, prende vita, come se qualcuno, a tratti, con una torcia, ne illumina gradualmente le parti per conoscerne meglio la natura: a partire dalla testa rossa avvinazzata del capro dagli occhi di fuoco, passando per le ali violacee e fluttuanti nell’aria pronte a spiccare il volo, accarezzando la carne rosa delle mammelle profumate di latte, esaminando le squame verdi umide d’acqua delle gambe, fino agli zoccoli del capro neri come il carbone della terra. L’escrescenza carnosa, a forma di pentagramma, che sporge dalla fronte dell’idolo, si anima e si spalanca come una bocca e lascia fuoriuscire ora delicati profumi d’incenso, ora fumi pestilenziali. Sicuramente sta lì il centro propulsore dell’idolo che riesce a fare suoi i sussurri spasmodici della lussuria condensata nella città e li tramuta nella voce di Satana, che fuoriesce da quell’antro di carne e conosce tutte le lingue di coloro che hanno trapassato il fiume infernale dell’Averno.
Le braccia tatuate e piegate formano uno stendardo svolazzante su cui sono impresse quindici lettere.
D I S S O L V E / C O A G U L A come voci infernali, cupe ed ansanti di fatica e piacere, sono scandite indefinitamente ed alternativamente dalla bocca dell’idolo. La mano destra stringe una torcia incendiaria che non si esaurisce mai, essa simboleggia l’appetito sessuale degli uomini che mai si appaga; la mano sinistra regge un pentacolo, simbolo dell’unione sessuale. Le energie che alimentano il Diavolo derivano invece dalla natura stessa della copula sessuale. L’energia fluisce dal maschio alla femmina, quando lo zampillo spermatico feconda l’uovo femminile. Il maschio, nel fare scorrere il fluido accumulato, a poco a poco si esaurisce - D I S S O L V E -, mentre la femmina capta, solidifica tale corrente vitale nel suo ventre - C O A G U L A - . E’ evidente che il Maligno sovrintende, guida e rinforza gli appetiti sessuali, al punto che nessuno dei due copulanti ne esce mai soddisfatto. L’impulso è quello di rincorrere il piacere sessuale indefinitamente. La schiavitù agli appetiti sessuali d’altronde è eloquentemente riscontrabile nei due uomini nudi ai piedi dell’idolo. Entrambi incatenati per il collo ad un grande anello d’oro, che sporge dall’altare, hanno delle piccole corna ed un’aria satanica che li fa assomigliare, il primo, ad un satiro ebbro, e la seconda, ad una faunessa in calore. Nonostante la due creature siano incatenate sotto l’altare satanico, esse celebrano con entusiasmo e frenesia ogni tipo di lussuria. Attraverso ripetute copule rendono possibile il cerchio della schiavitù sessuale, i cui strumenti passivi sono la lascivia femminile e l’eretismo maschile.
Il Diavolo (alias inconscio originario collettivo)
Un evento perturbatore primordiale, progettato dal Diavolo (alias inconscio originario collettivo) ha incrinato l’atmosfera paradisiaca che contraddistingueva il mondo in perfetto equilibrio tra tutte le creature nel suo stato originario.
L’attrazione fisica e sessuale, solo in parte sublimata dall’amore, col tempo è diventata un subdolo mezzo di dominio e sopraffazione reciproca. In tal modo, attraverso l’istinto sessuale, il Maligno signoreggia la materia e la mantiene eternamente aggregata, a spese dell’etereo. E’ lui indubbiamente il grande controllore del mondo materiale.
L’idolo del Diavolo, descritto da Oswald Wirth, che schiavizza gli umani incatenati ai suoi piedi presuppone un riconoscimento indiretto ad una entità definita che incarna il male e spinge le creature a compiere ogni tipo di nefandezza possibile .
La chiave dell’intera vicenda del mondo sta proprio nel cercare di smascherare la natura del Diavolo.
Il Diavolo sta dentro le cose, come il 5 all’interno del cosiddetto quadrato magico.
4 9 2
3 5 7
8 1 6
Questo quadrato magico percorso nei suoi lati, assi e diagonali dà sempre come risultato il numero 15 ripetuto per ben 8 volte; sembra quasi un’iterazione mistica religiosa che si appropria dell’armonia prestabilita originaria e la stravolge in un ente satanico.
15 x 8 = 120
120=1 + 2 + 3 + 4 + 5 +... + 120=726=7 + 2 + 6= 15=1+2+3+4+5+....+9+10+11+12+13+14+15=120
Moltiplicando il numero 15 per 8, abbiamo il numero 120, che, se sottoposto ad un processo di scomposizione e di riduzione, dà sempre il numero 15. Anche il numero 15, frazionato in numeri sommati tra loro, equivale al numero 120. Fatto questo assai sorprendente e singolare! Tra il 15 e il 120 v’è una indubbia correlazione che va letta e interpretata alla luce della Cabala.
La sequenza naturale dei numeri è 1 - 2 - 3. Il Diavolo, camuffato entro il quadrato magico e criptato dal numero 120, ci rimanda alla terna 1 - 2 - 0; ovvero alla sequenza naturale sostituisce il numero 3 con lo zero, alla Dea-Madre lo Zero, l’elemento perturbatore della Follia. Il non-essere riprende il posto della genesi dell’essere e questo spiega la genesi del Diavolo, camuffato come inconscio originario collettivo.
1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15
Altra constatazione cabalistica più sorprendente è che il numero 5 - che è relazionato con chi amministra il sacro e manipola la quintessenza - evoca sempre il numero 15. Come a dire che il Diavolo alberga sempre a ridosso del sacro ed è l’essenza stessa delle religioni monoteistiche che hanno bisogno proprio del diavolo per funzionare nella testa della gente.
Tutti noi sottovalutiamo la funzione che il Diavolo riveste nei sistemi religiosi e pensiamo che si tratti di un semplice corollario; mentre invece svolge un ruolo fondamentale, infatti ogni teologia crea, attraverso Dio, insieme al mondo, anche il suo Diavolo. Non ne può fare a meno del resto, perché senza Diavolo l’intera impalcatura non si reggerebbe. Nel Discorso sosteniamo che nessun dio ha creato nulla, ma che il mondo si è organizzato per virtù intrinseca ad opera di molteplici Dei che sono stati spodestati ad opera dell’arroganza del monoteismo. Con altrettanta fermezza dobbiamo sottolineare l’esistenza di un principio originario che gestisce il male e lo alimenta con creature, umane e non umane, schiave dei suoi voleri. Il principio del male non è esterno alle creature, ma esso alberga nella coscienza, allo stato latente, nascosto, sotto forma di inconscio originario collettivo. Il male originario, si è incarnato nell’uomo alle origini per perseguire il suo progetto di corrompere il mondo.
Vasta è la schiera delle creature del Maligno che hanno sviluppato poteri paranormali e se ne servono per instaurare il loro invisibile impero criminale a danno dei malcapitati che capitano loro sotto tiro. Queste persone per lo più operano da sole e svolgono professioni che in un certo qual modo hanno a che fare con l’occultismo. Attirano gli ingenui nella loro sfera d’attrazione e sferrano il loro colpo mortale per il gusto del male fine a se stesso. Operano come assassini senza usare armi letali che lasciano impronte, o tracce di sangue. Nessuna prova concreta contro di loro li può inchiodare in un’aula di un tribunale di giustizia. Le schiere dei criminali sono ampie. Le leggi partorite dal potere corrotto garantiscono impunità. I crimini che vengono alla luce sono i meno numerosi e compiuti da coloro che dispongono di mezzi meno sofisticati. Il male si è esteso a macchia d’olio, come una malattia, visibile ed invisibile.
1 > 5 = 15
Nel Diavolo ci sono le proprietà magiche del numero 1 e la sua natura, imparentata con il numero 5, sfugge al dominio dei sensi ed è invisibile come la quintessenza.
Posto immediatamente dopo l’Arcano numero 14, il Diavolo contrasta l’opera dell’Alchimista teso a riscoprire le autentiche forze della natura e le origini del mondo. L’unico vero antagonista del paziente lavoro dell’Alchimista è il Diavolo che si sente minacciato dalla logica della ragione e di ogni costruzione intellettiva fondata sui numeri. A ben vedere la posizione del Diavolo è strategica: infatti astutamente si pone tra l’Arcano dell’Alchimista e l’Arcano della Torre; s’insinua nel cuore della ricerca alchemica per vanificarla, confonderla, ostacolarla, ritardarla, orientarla verso lidi e rituali satanici.
1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15
I primi cinque numeri, sommati tra loro, danno come risultato il Diavolo: egli fa sue le proprietà creative ed originali del Mago, e sa come custodire i segreti della sua ambigua natura come la Vestale, sa nascere in ogni cuore come la Dea-Madre, detiene un potere assoluto come l’Imperatore, accompagna ogni evento sacro come fa il Gerofante.
15 = 14 + 1
Il Diavolo ha assimilato le proprietà dell’Alchimista, in quanto riesce a trasferirsi indifferentemente dal sottile al denso e viceversa e grazie a questo può nascondersi, mimetizzarsi e illudere come il Mago.
15 = 13 + 2
Il Diavolo ha trasferito l’essenza della Morte corporale all’interno del tempio della conoscenza ed è riuscito ad uccidere la consapevolezza nella specie umana. Parimenti il Diavolo ha fatto suo il tempio della conoscenza e ha conferito ai dualismi universali una connotazione diabolica: vita e morte - principio del bene e principio del male.
15 = 12 + 3
Il Diavolo ha fatto sue le proprietà generatrici della Dea-Madre e, ai fini del suo disegno universale, riesce sempre a dare vita a creature disposte a sacrificarsi come l’Appeso, in nome dei più alti ideali e in modo di potere alimentare la rappresentazione del bene sulle pubbliche piazze. Da individui eccezionali che si immolano, il Diavolo riesce sempre a far scaturire le peggiori conseguenze. Dalla predicazione di Gesù è nata una Chiesa intollerante che ha avuto nell’Inquisizione la sua arma più efficace per sconfiggere l’eresia.
15 = 11 + 4
Il Diavolo ha fatto sua la Forza della Donzella, questa forza è analoga al legame debole che tiene uniti i 4 elementi primordiali: fuoco, terra, aria, acqua. Senza il Diavolo sarebbe possibile scomporre il legame alchemico per dare vita ad una sorta di smaterializzazione del corpo, che poi potrebbe essere ricomposto altrove e potrebbe muoversi liberamente nello spazio, senza usare mezzi di trasporto che consumano vari tipi di energia.
15 = 10 + 5
Il Diavolo è diventato la quintessenza del divenire e la storia umana è sotto la sua egida. Il Diavolo è nelle cose, non fuori di loro; non è un’entità definita che si lascia osservare e studiare, che mostra la sua vera identità; è capace di usare come veicolo la quintessenza per camuffarsi.
15 = 9 + 6
Il Diavolo è riuscito persino ad insinuarsi nelle riflessioni pacate dell’Eremita e a strappare l’Innamorato dalla sua vocazione verso il vero amore. Sa stare in attesa, immobile ad aspettare la sua preda e sa andare in cerca della sua vittima predestinata senza stancarsi mai e con la sua luce finisce sempre per scovarla.
15 = 8 + 7
Nessun numero riesce ad appropriarsi nello stesso tempo delle particolarità del numero 7 e del numero 8. Il Diavolo invece riesce a mimetizzarsi benissimo, ad assumere le vesti della perfetta sintesi e dell’equilibrio e quindi è riuscito a penetrare nello stesso progetto cosmico.
Consideriamo adesso l’equivalenza cabalistica:
15=1+2+3+4+5+....+9+10+11+12+13+14+15=120=1+2+0=3 che ci consente d’analizzare meglio la natura occulta del numero 15 attraverso i 4 numeri ottenuti dal suo ‘frazionamento’: 1, 2, 0 e 3. Il Diavolo, facendo propri i poteri del Mago, del tempio della conoscenza e del Folle, perviene alla sua stessa genesi. Grazie a questi poteri riesce a camuffarsi completamente, a farsi cercare dove non sta e ad essere dove nessuno si aspetterebbe di trovarlo.
Abitualmente, per tradizione religiosa consolidata, si è soliti associare il Diavolo ai piaceri carnali, che naturalmente sono i più naturali ed istintivi che ci siano. Questo consente al Diavolo d’essere evocato ogni volta che il trasgressore si procura dei piaceri, più o meno proibiti. Il Diavolo dunque trova alimento e si rafforza nella sessualità proibita. Se la sessualità fosse lecita e considerata con naturalezza, il Diavolo dovrebbe trovare un altro meccanismo per essere evocato.
Tutte le religioni hanno sempre alimentato le fobie del sesso ed ovviamente questo non ha fatto altro che centuplicare le forze di Satana. Ogni religione fa il gioco del Diavolo, che per essere più potente si spaccia per un’entità maligna antagonista del Dio buono. Il Diavolo è una manifestazione dell’inconscio originario collettivo che si nasconde e progetta tabù sessuali; è il progetto originario di essere Dio del cielo e della terra.
Al Diavolo non si sfugge pregando, o ricorrendo ad ogni altra forma di superstizione, o alienazione. L’unica forma per difendersi è di affrontarlo, di guardarlo in faccia. Lui si nasconderà per non essere decifrato, individuato, riconosciuto nelle sue metamorfosi più subdole ed abituali.
Farsi l’esame di coscienza allontana il Diavolo meglio che mille preghiere ed incantesimi che finiscono per alimentarlo. Per intendere la natura del Diavolo dobbiamo proprio partire dal quadrato magico che fotografa il numero 15. Percorre il Diavolo tutti i primi nove numeri, portando al loro interno lo scompiglio, il massimo disordine, snaturando, volgendo al negativo tutto quello che in loro era di positivo. Ovviamente il Diavolo agisce sempre sulla quintessenza delle cose, utilizzandola sempre per i suoi scopi malefici. Non esiste un modo per esorcizzare il Diavolo. Croci ed acqua santa, rituali sono un pretesto. Il falso prete che dice di operare in nome del buon dio prende sotto custodia il cosiddetto indemoniato: il quale si agita e grida solo perché sta cercando di non farsi schiavizzare dal Maligno. A cerimonia conclusa egli dirà di essere tornato perfettamente normale. Infatti non è più in contrasto col Diavolo, ma è stato perfettamente assimilato.
Ovviamente il Diavolo è la personificazione stessa del male in tutte le sue più svariate manifestazioni, ma una delle caratteristiche essenziali del Maligno è quella di mimetizzarsi, di mascherarsi, di occultarsi, di presentarsi sotto una forma mimetica, oscura, per non essere individuato e di questo si deve tenere conto se lo si vuole combattere e non lo si vuole servire.
Se il primo Arcano del primo ciclo, il Mago simboleggia il Demiurgo che mescola i 4 elementi fondamentali e dà loro equilibrio – e quindi possiamo assimilare il Mago all’equilibrio originario; e se il primo Arcano del secondo ciclo, la Giustizia mostra le forme concrete dell’equilibrio nel quotidiano, nel mondo, in seguito all’uscita dell’uomo dallo stato di natura; il terzo Arcano del terzo ciclo, il Diavolo si riferisce sempre alla sfera degli equilibri originari e naturali che il Maligno ha alterato con l’obiettivo di essere il dominatore del mondo.
Andiamo adesso a vedere, investigando il quadrato magico, quali combinazioni hanno il potere di nascondere il Diavolo.
15 = 1 + 5 + 9 Mago-Gerofante-Eremita
15 = 2 + 5 + 8 Vestale-Gerofante-Giustizia
15 = 3 + 5 + 7 Dea-Gerofante-Carro
15 = 4 + 5 + 6 Imperatore-Gerofante-Innamorato
15 = 9 + 5 + 1 Eremita-Gerofante-Mago
15 = 8 + 5 + 2 Giustizia-Gerofante-Vestale
15 = 7 + 5 + 3 Carro-Gerofante-Dea
15 = 6 + 5 + 4 Innamorato-Gerofante-Imperatore
Se nel corso di una consultazione dei Tarocchi dovessero verificarsi queste combinazioni sopra menzionate, a partire dalla prima, seconda, terza, quarta o quinta casa, è bene saperci riconoscere l’effigie potente del Diavolo camuffato, che è più temibile di quando si manifesta apertamente.
L’Arcano del Diavolo nella casa numero 1 sarà di sostegno alle aspirazioni del consultante se questo si prefigge obiettivi malvagi ed immorali; mentre sarà un freno potente per colui si prefigge obiettivi nobili ed altamente etici.
La presenza dell’Arcano del Diavolo nella casa numero 2 pone sul nostro cammino la presenza del Maligno che ci confonde con le sue tentazioni e lusinghe, promettendoci di conoscere i segreti più risposti e di conseguire il successo e la notorietà.
L’Arcano del Diavolo nella casa numero 3 consente a Satana (alias inconscio originario collettivo) di possedere la donna a noi prossima, la madre del nostro figlio e il figlio stesso. Queste creature, sue schiave devote, ci terranno in scacco e noi saremo costrette a subirle.
La presenza dell’Arcano del Diavolo nella casa numero 4 consegna al Maligno il potere temporale nelle sue svariate manifestazioni; asservisce il padre, l’autorità a noi più prossima e solo la presenza vigile della Donzella può salvarci da lui.
L’Arcano del Diavolo nella casa numero 5 costituisce il più potente legame diabolico esistente: il connubio perfetto tra Satana e il Gerofante. Tutti indistintamente ne saranno investiti.
La presenza dell’Arcano del Diavolo nella casa numero 6 rende diabolici i nostri innamoramenti, possiede le nostre donne, sue schiave devote, asservisce agli appetiti sessuali per sempre.
L’Arcano del Diavolo nella casa numero 7 mette in crisi la nostra volontà di trovare un equilibrio interiore e di rispettare il prossimo, anziché dominarlo; ostacola l’abito d’avere come compagni di vita persone buone.
Capitolo 31
Arcano Numero 16 - la Torre
persegui il tuo obiettivo.
Coltiva l’arte del silenzio
per non dissipare invano le tue energie.
Impara ad osare.
Credi nelle tue possibilità.
Volere è potere.
La tua sapienza innata racconta
più di tanti libri.
Diffida degli scriventi
e verifica quello che affermano.
Non ti fare confondere dai falsi profeti.
Quando un giorno subirai una sconfitta
riprendi subito a lottare contro le avversità.
Non ti lasciare mortificare.
Non ti deprimere.
Non pensare d’essere incapace a fare qualcosa.
Rispetta il prossimo; ma soprattutto
apprendi a farti rispettare.
Ogni giorno edificherai una piccola torre alchemica.
Ogni giorno salirai le scale
che portano in cima alla torre alchemica.
Ogni giorno instancabilmente
affermerai la tua identità, personalità e diversità.
Quando tutto questo non si realizzerà
allora avrai cessato di vivere.
Il capolavoro architettonico di Federico II
Federico II nutriva una vera passione per l’astronomia, la magia e la matematica. I dotti arabi frequentatori della corte imperiale avevano accresciuto la sua fama di eretico. Proponendo un vantaggioso accordo economico era riuscito a riprendere ai mori Gerusalemme; senza distogliere l’attenzione dalle vicende dell’Impero, senza dovere organizzare una laboriosa e dispendiosa spedizione e senza montare in sella a un cavallo per iniziare un viaggio lungo e incerto. Il Papa per questo l’aveva scomunicato, perché gli eretici dovevano essere piegati con la spada e con il sangue della Santa Crociata. L’Imperatore Federico, memore della funesta esperienza del padre Barbarossa, morto affogato in un fiume durante l’impresa benedetta, si era guardato bene dal ripercorrere la via intrapresa dai crociati.
L’Imperatore svevo prediligeva le terre fertili della Puglia e in quella regione aveva creato una rete di 111 torri la cui funzione era di mostrare le prerogative del sovrano, il suo potere simbolicamente rappresentato quasi dovunque in un progetto architettonico funzionale che controllava il territorio. Taluni di quegli insediamenti turriti non erano nuovi, ma edifici di epoca normanna, o romana, adattati. Il più insigne e ammirato di tutti, oggi chiamato Castel del Monte, secondo l’Unesco appartiene al patrimonio culturale dell’umanità con la seguente motivazione: ‘Possiede un valore universale eccezionale per la perfezione delle sue forme, l'armonia e la fusione di elementi culturali venuti dal Nord dell'Europa, dal mondo musulmano e dall'antichità classica. È un capolavoro unico dell'architettura medievale, che riflette l'umanesimo del suo fondatore: Federico II di Svevia’.
Per decifrare il sistema Tarocchi e svelarne il significato originario é necessario un approccio critico all'Arcano della Torre della seconda generazione, mancante insieme al Diavolo dal mazzo più antico giunto sino a noi: quei Tarocchi Visconti custoditi al Morgan Librery Museum di New York.
Nel mazzo ricostruito dopo l'anno 1450, la Torre era ancora intatta e solida, affatto squassata e traballante come nell’iconografia più tarda.
L’effigie originaria dell'Arcano della Torre fu manipolata anche nella dicitura, infatti nel primo mazzo storico i Tarocchi Viscontiessa ancora era contrassegnata dalla dicitura Torre, mentre solamente nei successivi Tarocchi di Marsiglia l'Arcano numero XVI porta la dicitura la casa di Dio.
Nei Tarocchi della terza generazione concepiti a Marsiglia, in pieno fervore della Controriforma cattolica operante in ogni campo, avevano cominciato a raffigurare e a stampare una torre squassata dalla forza di un fulmine, con due poveretti che crollavano al suolo insieme alle mura. Il pittore, devoto ma poco ispirato, aveva amplificato così il potere di Dio sulla natura e sulle fragili costruzioni degli umani. L’intenzione di ribattezzare la Torre alla luce dell’ideologia controriformista é lampante e si tratta di un’operazione non di poco conto, avente ampie ripercussioni nel cuore stesso del sistema dei Tarocchi come erano stati concepiti dal loro anonimo artefice.
Originariamente, in primo piano si staglia una grande torre a base ottagonale, sormontata da un’altra torre, anch’essa ottagonale, più stretta e alta esattamente la metà della sottostante. Sullo sfondo dell'icona originaria s’intravedono torri isolate di varia grandezza e foggia, sparse qua e là, che non sempre formano un complesso unitario, anche se alcune, per la collocazione, paiono corrispondersi ed avere qualcosa in comune. In cielo nuvole cariche di pioggia minacciano un temporale imminente. Nei dintorni non si nota anima viva, come se tutti gli abitanti della terra si siano dati appuntamento in una delle tante torri sparse e queste abbiano il potere di calamitare l’interesse di tutti e costituire la grande attrazione da cui non ci si riesce a sottrarre. Le torri paiono segregare gli umani, opprimerne la coscienza con il loro peso. Alcune sono illuminate e si possono udire le voci confuse, le risa e le urla degli occupanti, talora ubriachi di alcool e di droghe. Altre paiono addormentate ed essere immerse in un sonno innaturale, provocato dai perversi piaceri che offrono. Altre invece paiono respirare ed essere fatte di pietra viva, simile all’idolo di Satana ed emettono un suono soave e suadente, come quello del canto delle Sirene, mescolato al tonfo costante e sfibrante della risacca del mare. Queste ultime sono le più seducenti, ma già all’avvicinarsi provocano una strana metamorfosi corporale e psichica e possono fare perdere il senno per sempre.
In primo piano, la torre più grande rispetto alle altre, sormontata da una prima terrazza coronata da sedici merli, richiama l’attenzione perché non ha finestre. Sia la porta, completamente aurea, triangolare e provvista da una barra trasversale nel mezzo in modo da formare come una A maiuscola; sia le pietre, su cui sono stati scolpiti numerosi simboli alchemici, alludono ad uno dei grandi sogni proibiti della ricerca alchemica: riuscire ad estrarre, in piccole quantità, l’oro contenuto nei metalli non preziosi. Una porta siffatta obbliga chiunque voglia entrarvi a chinare il capo in segno di sottomissione e dedizione ai principi panteistici dell’alchimia, secondo cui l’essenza divina non è esterna alle cose, ma sta condensata nelle varie forme viventi: minerali, vegetali ed animali.
Per questo l’alchimia è praticata in segreto, entro una cerchia ristretta di iniziati. Il suo linguaggio misterioso ed oscuro la mette al riparo dall’ignoranza del volgo e dalla soffocante investigazione di tutte le Chiese, che fondano il loro potere sulla credenza popolare in un unico dio creatore, che veglia e fa prosperare i suoi figli. Negando l’esistenza di dio nelle sue forme tradizionali più accreditate, l’alchimia trova un suo spazio privilegiato ed inconfondibile in seno alla città dei Tarocchi che adora la natura in tutte le sue più svariate manifestazioni.
Penetrando nello stretto budello si comincia a salire su per i gradini di una scala elicoidale. Si avverte un senso di mancanza d’aria, di progressivo soffocamento e non si vede l’ora d’uscire all’aperto per respirare normalmente. Percorrendo la turrita ascensione, si opta per un percorso denso d’incognite, che ha come obiettivo precipuo la scoperta del significato dell'oro alchemico e spirituale.
Certo l’unicità emblematica della Torre, tempio dell’occulto, che pare disabitato ed incustodito, incuriosisce e non ci si può sottrarre dall’esplorarlo, anche se, per la prima volta, si è presi da una profonda angoscia interiore.
16 > 1 + 15
Ogni iniziato, o Mago, che entra nella Torre ha il netto presentimento che una catastrofe imminente e inevitabile sta per abbattersi sulle mura turrite di un’altra città lontana, i cui abitanti invano hanno fatto tutto il possibile per tenervi lontano il Diavolo; il che è confermato anche dalla Cabala, secondo cui la Torre attrae il Mago che esplora le forze controllate dal Diavolo.
Distillazione e osservazione dei fenomeni naturali
1 > 6 = 16
L’Arcano della Torre contiene gli elementi magici del numero 1 e la statica conflittualità dell’Innamorato. Un confronto avviene tra le magiche forze della natura e il solido fermo manufatto, ma il protagonista della Torre è indubbiamente l’uomo che modifica il paesaggio naturale e cerca di utilizzare per i suoi progetti alchemici le forze della natura come il fulmine.
16 = 8 + 8
Diciamo subito che stabilità ed equilibrio sono proprietà intrinseche del numero 8: esse si sono spostate dal piano giuridico, etico al piano fisico, architettonico. La Torre simboleggia infatti l’equilibrio trasferito nella materia. Il fatto che l'equilibrio, proprio del numero 8 e della Torre, debba poi essere messo in pericolo da un fulmine scagliato da Dio è puro e semplice vaneggiamento mistico e furore fideistico, tipico dei revisori d'ogni tempo.
Sappiamo che nessun fulmine cade dal cielo per volontà divina e le probabilità che esso colpisca una Torre fino a farla crollare sono assai remote, tuttavia esistono. La Torre è un edificio costruito dall’uomo che, con tale gesto simbolico si pone fuori dallo stato di natura e sviluppa una cultura fondata sulle competenze tecnologiche, sulla proprietà e la disuguaglianza. Gli uomini che abitano la Torre e che possono avervi comunque accesso sono dei privilegiati in senso sociale, politico e culturale. La Torre è il frutto di un progetto ambizioso: quello di controllare attraverso operazioni alchemiche le forze insite nella natura.
16 = 1 + 4 + 11
Sulla Torre, due persone, il Mago (1) e l’Imperatore (4) sono impegnate a convogliare in un solo punto le forze (11) della natura sintetizzate in un Fulmine.
16=1+2+3+4+….+10+11+12+13+14+15+16 =136=1+3+6 = 10
La natura del numero 16 è più chiara se lo frazioniamo alla luce della Cabala e consideriamo le valenze 1, 3 e 6 e il riflesso 10.
Nella Torre si ha l’illusione di avere risolto le grandi contraddizioni dell’esistenza e di avere creato un edificio imperituro e solidissimo, ma ci si dimentica che anche la Torre è soggetta alla legge della Ruota che tutto trasforma. Spericolati avventurieri sono i progettisti della Torre, folli sono coloro che credono ciecamente in lei e vi affidano il proprio destino.
La Torre è un manufatto terreno che si protende arditamente verso il cielo, essa simboleggia le città della terra, il paesaggio creato dall’uomo, la trasformazione e l’appropriazione della natura.
Dopo l’Arcano del Diavolo abbiamo nei Tarocchi quattro percorsi cosmici poi seguiti dalla deflagrazione cosmica finale: la Terra, visualizzata nel paesaggio terrestre disseminato di torri e intesa come pianeta abitato nel suo complesso e non come elemento primordiale, costituisce il primo percorso cosmico; le Stelle costituiscono il secondo percorso cosmico; la Luna costituisce il terzo percorso cosmico; il Sole costituisce il quarto percorso cosmico; l’Apocalissi costituisce la deflagrazione cosmica finale.
La Torre è un progetto umano solidissimo che le forze della natura (un fulmine, un terremoto) potrebbero abbattere solamente per un caso fortuito, in quanto il tutto è indifferente alle umane sorti. Al contrario coloro che intravedono nel mondo l’influenza della Provvidenza, potrebbero a questo momento fatidico vedere un fulmine, divino giudice, che si abbatte sulla Torre per punire l’orgoglio dei suoi abitanti e farli precipitare indifesi al suolo.
La Torre è dunque un Arcano che si presta, più degli altri, ad essere manipolato da chi propende per un determinismo teologico. Progetto ardito di uno scienziato, matematico ed alchimista, la Torre registra la discesa dei numeri nel mondo materiale. L’effetto dell’algebra sulla società è benefico e non si deve affatto gridare allo scandalo. Il vero progetto nasce sempre dall’equilibrio, ovvero dai numeri, che in questo caso aiutano l’umanità a crescere nel benessere materiale.
16 = 1 + 15
16 = 2 + 14
16 = 3 + 13
16 = 4 + 12
16 = 5 + 11
16 = 6 + 10
16 = 7 + 9
16 = 8 + 8
La Torre unisce sempre numeri che hanno qualità tra loro antitetiche, e producono effetti tra loro contrari, ma che messi insieme riescono a trovare un equilibrio comune.
16 = 1 + 15
Cominciamo dal Mago: agisce in maniera spontanea con grande vitalità, tuttavia rifugge dalle oscure trame del Diavolo. Questa volta messi l’uno di fronte all’altro quasi si scambiano le proprie qualità e prerogative per dare vita ad un manufatto, la torre, che non va visto come un’opera inerte, ma come una creatura viva che è nello stesso tempo miracolosamente magica e satanica, che può produrre incantamenti diabolici e ospitare esperimenti utili al progresso dell’umanità.
16 = 2 + 14
A sua volta anche la Vestale custode degli Arcani più misteriosi non è disposta a rivelare le sacre corrispondenze dell’alchimia. Anzi la Vestale personifica l’essenza stessa del dualismo denso-sottile, ma l’alchimista riesce a mettere in moto una trasformazione, una metamorfosi vitale che scaturisce da quello stesso dualismo. E’ stato già detto che la Torre è la sede propizia per ogni tipo di esperimento alchemico, per ogni meccanismo che voglia utilizzare le forze della natura tra loro in opposizione riconducibili ai principi cinesi dello yin e yang.
16 = 3 + 13
La stessa Dea-Madre, che dà alla luce una creatura divina e quindi potenzialmente immortale, non può che provare orrore di fronte alla morte corporale a cui sono condannati tutti gli uomini. Tuttavia sulla Torre sono possibili entrambi i percorsi: quello di una vita al di là dei confini biologici, e quello contingente di una Morte corporale che scaturisce dalle stesse forze della natura che non si possono imbrigliare senza conoscerle intimamente.
16 = 4 + 12
I 4 elementi fondamentali della vita indubbiamente costituiscono parte integrante fisica della Torre (4+4+4+4=16) e sono i costituenti attivi della sua struttura che è stata sacrificata nella staticità della materia di cui l’Appeso è simbolo passivo. Ebbene nella Torre confluiscono in pari grado la vitalità dei 4 elementi e l’inerzia dell’Appeso che non si ribella, ma si lascia modellare e si erge immobile e grave nel suo silenzio, che si riflette nell’essenza stessa della Torre.
16 = 5 + 11
La Forza della Donzella emana dalle sue mani, mentre la quintessenza si cela nelle pieghe della materia. Ebbene la Torre emana una forza interiore che ne è anche la quintessenza. La sua forza nello stesso tempo la si può toccare con mano, nei suoi costituenti, nei suoi mattoni, messi insieme con la perizia dei suoi costruttori, con la sapienza delle mani dei suoi operai.
16 = 6 + 10
L’Innamorato sappiamo che non riesce a risolvere il dualismo che lo attanaglia e lo immobilizza, mentre la Ruota del divenire non smette mai di girare e di esperimentare tutte le possibili soluzioni. Ebbene la Torre è il frutto stesso di una libera scelta tra cultura e natura ed ospita sulla sua cima l’essenza stessa della ricerca, ma al tempo stesso si trova in una posizione di stallo, perché - al pari dell’Innamorato - non riesce a decidersi tra bene e male. Sulla Torre sostano l’Innamorato e la Sfinge: il primo si interroga sul cammino da intraprendere; mentre la seconda interroga tutti coloro che sopraggiungono. Entrambi sono immobili, in piedi, come statue pietrificate, e il loro corpo assomiglia a quello di una Torre viva.
16 = 7 + 9
Sappiamo che il Cocchio riesce a superare i contrasti e che la sua vittoria esprime la presenza della Voce degli Dei e che l’Eremita se va senza posa alla ricerca della oscura verità; il manufatto Torre è esso stesso una luce che rischiara il cammino del viandante sperduto e la sua voce è altrettanto possente e foriera di future vittorie. Sulla Torre trovano quiete due essenze eternamente girovaganti: quella di Hermes e quella dell’Eremita. Uno si è avvalso, come mezzo di locomozione, del velocissimo Cocchio; l’altro è giunto a piedi, lentamente. Quello che entrambi cercano sta condensato nell’Arcano della Torre.
16 = 8 + 8
La Torre infine raddoppia l’essenza del numero 8 che ha trasferito nel manufatto e nella materia l’equilibrio e l’incorruttibilità. La Torre è infatti esempio sublime di calcolo matematico e sfida il passare del tempo mantenendosi integra pur sotto la violenza degli agenti atmosferici.
Tutto questo è la Torre nel medesimo istante, per cui vale la pena ripetere ancora una volta la sequenza delle equivalenze cabalistiche e vedere la Torre come il riflesso dell’insieme delle equivalenze.
16 = 1 + 15
16 = 2 + 14
16 = 3 + 13
16 = 4 + 12
16 = 5 + 11
16 = 6 + 10
16 = 7 + 9
16 = 8 + 8
Sommando separatamente primo membro e secondo membro avremo:
128 = 36 + 92
1+2+8 = (3 + 6) + ( 9 + 2)
11 = 9 + 11
11 > = < 20
Non sono forse 4 i biblici cavalieri dell’Apocalissi?
E 4 + 4 + 4 + 4 non fa forse 16?
Quando i legami deboli che tengono uniti insieme i 4 elementi fondamentali si saranno esauriti - ovvero quando la forza della Torre si sarà esaurita ci sarà l’Apocalissi.
16 > 0 + 16
Alla base di ogni costruzione umana sta sempre l’ombra nascosta della Follia.
Raffronto tra cicli dei Tarocchi
La Torre indica un progetto particolarmente ardito e preparato con grande meticolosità; un edificio costruito con grande perizia; una ricerca particolarmente complessa e raffinata; la volontà di sottrarsi alla cultura dominante e di elevarsi intellettualmente; lo sforzo della scienza di sondare i misteri dell’universo; un laboratorio, un centro di sperimentazione alchemica e scientifica; un semplice piano per cambiare e migliorare le proprie condizioni materiali di vita; un tentativo – riuscito o meno – di trovare un riparo sicuro contro eventuali insidie o nemici; l’aspirazione all’isolamento dal contesto ordinario riservato ai comuni mortali; la fuga dal mondo e dalla realtà.
Nella casa numero 1 l’Arcano della Torre collabora con i progetti della persona che domanda l’oracolo ed indica il buon esito finale grazie alla straordinaria capacità e volontà dimostrata.
Nella casa numero 2 l’Arcano della Torre contrasta invece con i progetti della persona che domanda l’oracolo ed indica un esito non del tutto favorevole perché ci sono barriere di vario tipo che si frappongono sulla via della realizzazione dell’obiettivo.
Nella casa numero 3 l’Arcano della Torre indica la nascita di un progetto che dovrà vedere luce in futuro, ma non è detto debba realizzarsi, potrebbe anche abortire prematuramente, o naufragare sotto le spinte distruttrici dei nemici.
Nella casa numero 4 l’Arcano della Torre si sposa bene con l’autorità; indica che il nostro progetto ha una sua logica ed un suo fondamento. Avremo dunque la possibilità di affermarci e di fare valere le nostre giuste ragioni.
Nella casa numero 5 l’Arcano della Torre sarà ostacolato visibilmente dal Gerofante di turno. L’esito del nostro progetto sarà abbastanza tormentato ed incerto.
Nella casa numero 6 l’Arcano della Torre sarà in grado di vincere resistenze di vario tipo e di scuotere l’immobilismo, scrollare le incertezze, vanificare le paure. Vi sono energie sufficienti per la realizzazione dei nostri disegni.
Nella casa numero 7 l’Arcano della Torre è sempre molto favorevole alla realizzazione degli obiettivi in gioco perché è sostenuto da fattori favorevoli di vario tipo: presenze benevole, legami affettivi; amicizie vere.
Capitolo 32
Arcano numero 17: le Stelle
Sentenza guida
Sei un tutto con il macrocosmo.
Sembra indifferente il firmamento
se non lo sai osservare con animo innocente.
Riafferra la purezza originaria dei lidi di luce.
Di notte lasciati guidare dalle stelle in cielo.
Affida il tuo destino al cosmo primordiale.
Il firmamento protegge il cammino dei perseguitati.
Ascolta la voce delle stelle apparentemente silenti.
Le corolle di luce in cielo
sono segni da interpretare.
Le stelle sono un viatico, una guida.
Tu sei un prodotto delle stelle,
una combinazione di elementi stellari
sapientemente organizzati.
Il progetto originario non è frutto del caso
ma un atto consapevole ed intelligente.
Il tuo sapere innato è stato oscurato.
Gli scriventi ti hanno manipolato.
Riconquista la tua libertà originaria.
Secondo gli antichi la Terra era il centro ideale di un universo che le ruotava attorno. Questa visione antropomorfica metteva l’uomo al centro del cosmo. Dio lo aveva creato e gli aveva affidato il dominio su tutte le altre creature esistenti sul pianeta.
Sappiamo oggi, grazie alla scienza e alla speculazione filosofica, che vi sono altri fattori in gioco e che tutto è molto più complesso di come pensavano i nostri predecessori. L’osservazione delle stelle ha sempre affascinato e fatto parte dell’immaginario collettivo. Il filone della fantascienza (romanzi e film) prende le mosse dalle stelle. Anche se talora pensiamo, erroneamente, di essere soli nell’universo; dimentichiamo che siamo circondati da stelle vive, attive, intelligenti. Il sole è una creatura; noi lo consideriamo una presenza luminosa che il caso, o il buon Dio, hanno messo a nostra disposizione. Ebbene gli alchimisti avevano intuito l’importanza delle stelle in cielo ed istituito una sorta di corrispondenza d’amorosi sensi, di dialogo privilegiato con entità preposte a vigilare sulla nostra esistenza terrena. Ci piace pensare che questa versione mistica e fanciullesca delle stelle sia autentica ed esprima la vera natura del cosmo: inteso come un laboratorio di vita intelligente che si trasforma e genera creature molteplici.
Già il filosofo Giordano Bruno, con la sua visione panteista, aveva messo in evidenza la natura pensante degli astri: creature intrinsecamente divine. Per questo l’Inquisizione l’aveva giudicato eretico e destinato al rogo. Il filosofo fu arso vivo a Campo dei Fiori a Roma; dove una statua ne ricorda il martirio.
Da allora i sistemi di repressione sono cambiati, sono più sofisticati e meno appariscenti; tuttavia i controllori restano vigili ed assomigliano al Grande Fratello raccontato da Orwell nel suo romanzo. Rimane in possesso dei pensanti (una sparuta nicchia di superstiti) una sola arma valida: la circolazione delle idee che nessuno riuscirà mai a frenare. Ebbene noi crediamo che certe idee eretiche, anche se a fatica, riusciranno a scalfire i consolidati meccanismi di controllo che servono alla classe dominante per uniformare il pensiero su basi sicure e collaudate che non intaccano i gangli vitali del potere occulto, alimentato costantemente dal Diavolo (alias inconscio originario collettivo).
Il fatto poi che in cielo esistano miliardi e miliardi di stelle ci lascia attoniti, esterrefatti. Dinanzi al tutto ci sentiamo sommersi, estremamente finiti e limitati. E’ del tutto naturale che sia così la nostra reazione. Eppure noi siamo una proiezione intelligente della materia stellare e con le nostre domande ed i nostri limiti diamo anche un senso al cosmo che ci circonda. La nostra esistenza si specchia nell’universo ed in esso, se lo si osserva, si trova una risposta ai grandi interrogativi esistenziali. Le stelle sono la chiave. Non le dobbiamo dimostrare. Esistono. Le religioni monoteiste al contrario sono una pura speculazione dell’intelletto e non hanno un fondamento logico. Esse sono un prodotto dell’inconscio originario collettivo e servono alla classe dominante per controllare le reazioni delle masse asservite a rituali, obbedienti, pronte a combattere e morire in nome di una fede santa, incrollabile, indiscutibile.
Se guardi le stelle in cielo riscopri la tua libertà originaria, offuscata da leggi, divieti. Oggi, che siamo bersagliati da immagini di ogni tipo, veicolate da cellulari, computer, televisori; dovremmo riscoprire la bellezza del cielo stellato e nutrirci di quelle meraviglie naturali che le luci delle grandi città oscurano. Abbracciamo idealmente le stelle ed interagiamo con loro per cominciare una metamorfosi delle coscienze.
Una descrizione dell’Arcano delle Stelle
La stella fissa ricorda il processo d’illuminazione degli alchimisti ed è disposta esattamente a perpendicolo sulla folta capigliatura selvaggia della donna, come a sorvegliarne e dirigerne la delicata operazione di travaso dell’acqua. Le stelle giratorie sono creature piene d’energia e ciascuna è differente. Con occhi benevoli e compiaciuti osservano il paziente travaso, come se quel flusso d’acqua sia originato direttamente dal cielo. L’immenso diadema stellato si riflette nel rivo creato dall’acqua versata e nella postura della donna e pare sussurrare che tutto ciò che sta in cima, sta anche in basso e che ci sono stelle sopra, ma anche sotto.
L’uomo, isolato e chiuso in una torre, che può ingenerare una falsa sensazione di potere e di sicurezza, ha perso il diretto contatto con le sue origini astrali, con le fresche acque celesti e si è inaridito in speculazioni intellettuali astratte, nonché in effimere costruzioni di pietra. Questa visione di donna sotto un cielo di stelle riporta tutto alle origini del cosmo. L’energia delle stelle, il flusso benigno dei 17 corpi celesti, si trasferisce nell’operazione della donna, che asseconda e distribuisce equamente il flusso d’acqua secondo le necessità.
Le Stelle riflettono la loro essenza nella figura femminile nuda inginocchiata che versa, o meglio dà vita alle acque di un torrente che sembra quasi sgorgare dalla brocca che tiene in mano. La nudità della donna è assimilabile ad Eva nel Paradiso terrestre prima del peccato originale. La posa della donna è del resto assai casta e non induce in tentazione, perché la lussuria ancora non ha fatto la sua comparsa.
1 > 7 = 17
L’Arcano delle Stelle è il frutto dell’accostamento del numero 1 al numero 7. Il demiurgo-mago originario prende posto accanto ad Hermes sull’aureo Cocchio degli Dei; ovvero l’energia originaria si è travasata nelle Stelle che sono la sintesi di ogni possibile progetto di vita di cui gli Dei sono gli artefici.
Le Stelle ricordano che l’uomo nel mondo non è solo e non può limitarsi semplicemente a intraprendere progetti audaci per sfidare la natura, ma deve considerare con più rispetto tutto ciò che lo circonda. Simbolo del macrocosmo benefico, le Stelle rammentano che tutto è in perenne movimento e in relazione reciproca. La donna nuda, che simboleggia le stelle, con le sua brocca - evidente allusione al movimento giratorio - genera un vero e proprio corso d’acqua. La vita dunque è partita dalle Stelle che sono la sintesi degli elementi indispensabili alla formazione delle creature biologicamente organizzate.
Il filamento del programma genetico è composto da catene di combinazioni d’idrogeno, ossigeno, carbonio, azoto, fosforo e zolfo. Il nostro corpo è fatto della stessa sostanza stellare organizzatasi secondo un disegno intelligente. Gli elementi semplici si organizzano per affinità, per simpatia, per complementarietà. Complice della vita non è stato certo il caso, e neppure Dio, bensì una consapevole e libera scelta collettiva, un progetto delle essenze divine.
Nell’Arcano numero 17 v’è la spiegazione della genesi del mondo, racchiusa nel gesto spontaneo e generoso della donna nuda
17=1+2+3+4+5+....+11+12+13+14+15+16+17=153 =1+5+3 = 9
Il numero 17 si riflette nel numero 9 e partecipa delle valenze del numero 1, 5 e 3. In altre parole le Stelle producono una luce che può essere altrettanto penetrante al pari della lanterna dell’Eremita, perché costituiscono un complesso unitario e magico, la cui quintessenza viene trasferita su tutte le creature che nascono. Dunque ognuno è figlio delle Stelle e ne riceve la magica luce, il che conferma quella antica leggenda secondo la quale ogni essere vivente ha la sua stella che lo guarda.
La luce delle Stelle è benefica, protettiva e costituisce una guida sicura per chi ha smarrito la strada. Gli Dei, attraverso le Stelle, osservano preoccupati il cammino delle creature che popolano la terra. Sappiamo bene che tutti i fenomeni cosmici in qualche maniera (positiva o negativa) influiscono sul pianeta e sulla vita quotidiana delle persone. Una notte stellata può giovare alla nostra salute corporale e può illuminare la nostra mente. Quando le nubi oscurano il cielo e sono cariche di pioggia il mondo si fa più piccolo e ci si sente legati agli eventi atmosferici, ai ritmi meteorologici della vita. Quando si possono ammirare le Stelle, si può viaggiare ed esplorare il cosmo con la mente; ci si sente fluttuare, liberamente. Bisogna approfittare di questi momenti di intensa libertà intellettuale per crescere moralmente e spiritualmente ed approfittarne per purificarci nel nostro egoismo, nella nostra sete di ricchezza e di possesso, nella ricerca degli onori e dei riconoscimenti ufficiali.
Non solo la mente va curata ma anche il corpo, intossicato dall’alimentazione smodata, dall’alcool e da altre simili droghe; affinché sia più leggero e possa levitare idealmente fino in cielo e dialogare con gli astri.
17 = 1 + 16
Immaginiamo adesso di scorgere sulla cima della Torre alchemica gli artefici del manufatto, per meglio osservare il cielo ed essere più vicini alle Stelle nel tentativo di sciogliere gli enigmi proposti dalla mitica Sfinge. Chi riesce a librarsi verso le Stelle è il Mago con la sua carica inventiva ed ovviamente la Torre che sale ardita verso il cielo. I due percorsi divergono, o meglio procedono in direzioni opposte, un poco come il diadema stellare che può ruotare in un senso o in altro. Ovviamente il Mago sale materialmente sulla Torre per ammirare lo splendore dell’edificio stellare che in sé ha qualcosa di magico. Come il Mago possiede la chiave di accesso alle 4 virtù hermetiche, così le Stelle partecipano della natura dei 4 elementi fondamentali e tacitamente trasmettono le 4 virtù di cui sono pregne. Il diadema stellare, a forma di svastica, posto sul capo della donna che travasa acqua è infatti costituito da 4 gruppi di 4 Stelle che ruotano attorno ad una stella centrale fissa (1+4x4=1+16=17).
17 = 2 + 15
Le Stelle irradiano la loro luce generosa ed in assoluto non hanno nulla d’oscuro e misterioso; aiutano a decifrare gli enigmi custoditi nel Tempio della conoscenza, ad intendere i dualismi e consentono di penetrare la natura occulta dello stesso Diavolo. Anzi il merito delle Stelle è quello di correlare due numeri che hanno molto in comune e di renderne più manifesto il significato. La Vestale custodisce anche l’identità, o meglio la doppia personalità del Diavolo e non è disposta a rivelarla a nessuno. Senza l’ambiguità e il sotterfugio ed un potente schermo protettivo, il Diavolo sarebbe costretto allo scoperto e quindi all’impotenza.
17 = 3 + 14
Le Stelle accompagnano il cammino celeste della Dea-Madre e ne seguono con apprensione la gravidanza; sul nascituro trasferiscono tutte le competenze che sono proprie dell’alchimista, il che consente al Figlio delle Stelle di ritornare ai lidi di luce da cui è emanato.
La Dea-Madre per partorire si lascia irrorare dal mare, che a sua volta riceve gli influssi delle Stelle. Anche l’alchimista opera sul sottile e sul denso. Il processo di generazione del Figlio delle Stelle è simile a quello inseguito tenacemente dell’alchimista. Il primo è naturale, mentre il secondo è il frutto di una lunga e travagliata ricerca ed elaborazione.
17 = 4 + 13
Le Stelle confermano il principio che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Anche i 4 elementi, o principi fondamentali sono soggetti ad un processo naturale di esaurimento. Le Stelle nascono e poi muoiono dando vita a delle supernove, che a sua volta distribuiranno altra energia nell’universo infinito.
17 = 5 + 12
Le Stelle hanno in sé la quintessenza del processo di organizzazione e hanno sacrificato tale quintessenza in silenzio, come l’Appeso, per far sgorgare la vita dalle profondità dell’universo.
La quintessenza esala dal corpo sfinito dell’Appeso, che attraverso il sacrificio la libera per pervenire alla sublime visione del disegno stellare nella sua interezza.
17 = 6 + 11
Le Stelle partecipano della stessa natura della Forza della Donzella, infatti riescono a trasmettere una sensazione di pace interiore soprattutto quando ti osservano con amore. Ti toccano con i loro flussi benefici e ti senti mitigata l’aggressività che ti porti dentro, per atavico retaggio. Quando le osservi te ne senti attratto come l’Innamorato, anche se non sai deciderti a penetrarle veramente fino in fondo, perché ti senti egualmente legato alle abitudini terrestr
17 = 7 + 10
La velocità del Carro è la stessa della luce emanata dalle Stelle che si muovono nella perfetta armonia ed osservano con apprensione gli eventi mondani scanditi dalla Ruota del divenire. Mentre il movimento della Ruota è imprevedibile ed improvviso, il movimento delle Stelle, è ponderato, definito, armonico. Senza avere il conforto del numero 7, le Stelle cadrebbero irrimediabilmente nella spirale della imprevedibilità della Ruota (essendo 17 - 7 = 10). Solo il numero 7 imprime alle Stelle un movimento giratorio armonico, simboleggiato dalla svastica stellare, che idealmente può essere assimilata ad una croce costituita da quattro braccia a forma di numero 7.
17 = 8 + 9
Le Stelle, anche se sembrano lontane ed indifferenti, trasmettono un’energia equilibrata e possono illuminare la via da seguire con la stessa efficacia della lanterna dell’Eremita. L’essenza delle Stelle è fatta di luce ed equilibrio, esse costituiscono un Arcano benefico che invia i suoi influssi positivi nell’etere.
Se il terzo Arcano del primo ciclo, la Dea, fa riferimento alla genesi di una creatura, alla nascita, riconducibili ad una trasformazione, ad un progetto di vita; se il terzo Arcano del secondo ciclo, la Ruota del divenire, accenna ad ogni tipo di cambiamento che può intervenire nella vita quotidiana e racconta il divenire, le alterne sorti della vita, spesso imprevedibili e drammaticamente casuali; il terzo Arcano del terzo ciclo illustra la genesi del mondo a partire dalla energia delle stelle.
L’Arcano delle Stelle ha quasi sempre una connotazione benigna e favorevole perché indica un influsso degli astri positivo, la proiezione d’energie che fanno crescere e sviluppano creature e frutti della terra, copiosi ed abbondanti. Le Stelle curano la sterilità, guariscono dalle malattie, trasmettono più forza anche ai sani. Attraverso le Stelle la dimensione del macrocosmo si riflette nel microcosmo, nel quotidiano. Le Stelle possono riferirsi e simboleggiano la presenza benevola di una persona, donna o uomo, che possiede poteri al di sopra del comune e viene in aiuto del consultante quando siamo in una casa propizia: quasi tutte lo sono, tranne la casa numero 2.
L’Arcano delle Stelle nella casa numero 1 indica una presenza favorevole, una donna che si interessa della nostra persona, che ci ama; una persona che cura la nostra salute, le benevole attenzioni di un vero amico; una guida spirituale al nostro fianco.
L’Arcano delle Stelle nella casa numero 2 riscontra una palese stasi dei flussi astrali benefici a nostro favore a causa di una doppia sfavorevole congiuntura: dualismi non risolti e presenze malevole e subdole attorno alla nostra persona.
L’Arcano delle Stelle nella casa numero 3 è in perfetta sintonia con la donna che porta in grembo una creatura particolarmente gradita agli astri. Avremo anche a nostro favore il sostegno dell’alchimista di turno. Questa è la posizione ideale per trarre dall’Arcano tutti i benefici possibili.
L’Arcano delle Stelle nella casa numero 4 consolida il potere, rafforza l’autorità paterna, trasmette energia al condottiero e nello stesso tempo tiene lontana la vendetta, la minaccia, la violenza cieca e brutale, i nemici, la morte e le malattie.
L’Arcano delle Stelle nella casa numero 5 combatte il satanismo, contrasta i poteri occulti, ci difende dalle insidie del paranormale, ci protegge dallo strapotere del Gerofante e consacra l’Appeso riconoscendone le alte qualità morali ed additandone il sacrificio ad esempio. Da noi richiede dedizione e lo stesso impegno esemplari, di cui l’Appeso è testimone.
L’Arcano delle Stelle nella casa numero 6 rafforza la nostra capacità di venire fuori da situazioni conflittuali, di superare ostacoli, ci trasmette l’energia interiore della Donzella e rende la nostra capacità di innamorarci trasparente. Il nostro amore senza calcoli egoistici non tradirà e saprà perdonare. Potremo incontrare la donna ideale che incarna i valori più nobili.
L’Arcano delle Stelle nella casa numero 7 ci trasmette un’energia vincente, una voglia di comunicare, di partecipare, di prendere iniziative, di ricominciare sempre come dopo un naufragio, un superstite lupo di mare. L’Arcano fa girare la Ruota a nostro favore offrendoci nuove possibilità ed opportunità d’essere protagonisti alla guida controllata del Carro e mai in balia dell’animale bizzarro, assimilabile al caso.
Capitolo 33
attenuare superstizioni e ignoranza,
arricchire i sogni,
allontanare gli incubi e le paure.
Devi accostarti a lei con fiducia,
assimilarne i flussi preziosi,
incanalare le sue energie.
Lo sfuggente e malevolo
inconscio originario collettivo
teme giustamente la Luna
che mette a nudo la sua occulta presenza.
Diciotto visioni, diciotto incantamenti,
diciotto messaggi, diciotto parole,
diciotto carezze, diciotto baci,
diciotto miraggi, diciotto anni,
diciotto torri, diciotto viaggi,
diciotto sogni, diciotto libri,
diciotto incontri, diciotto lettere,
diciotto confetti, diciotto cartoline,
diciotto combinazioni, diciotto abbracci.
Diciotto: due volte nove.
La Luna può valere l’Eremita che risolve i dualismi.
Diciotto: dieci più otto.
La Luna sottrae equilibrio alla Ruota del divenire.
Da solo sei talora impotente; insieme alla Luna, puoi!
Oggi, a differenza dei tempi andati, quando i ritmi quotidiani di vita erano scanditi da eventi naturali (il sorgere e il calare del sole, l’alternarsi delle stagioni, i cicli lunari propizi per i raccolti) siamo portati a guardare alla Luna come ad una presenza del tutto insignificante nella nostra esistenza, marcata da altri segni culturali più forti come il cellulare, il computer, il cinema. Non siamo contro la tecnologia; vorremmo che tutti ne facessero un uso più equilibrato e responsabile. La persona è al centro del nostro progetto: interpretare i segni che i Tarocchi possono trasmetterci. Pertanto vogliamo rammentare i flussi benefici che l’astro, (senza atmosfera, freddo e glaciale) esercita sulla Terra e le sue creature. La sua presenza in cielo non è dovuta al caso ma ha una sua logica intrinseca ed è la manifestazione visibile di un progetto intelligente partorito da essenze, principi vitali originari, che hanno dato vita al presente sistema solare. La Luna fa parte di quel progetto e svolge una sua funzione essenziale: agisce sulla crescita delle piante, attraverso l’attrazione che esercita sul globo terrestre consente al mare di respirare; regola i cicli mestruali degli animali; trasmette altri tipi d’influssi che regolano anche i terremoti, evitando sussulti catastrofici ed apocalittici.
Descrizione dell’Arcano della Luna
La Luna, quasi piena, illumina con i suoi raggi il vasto pianoro, qua e là un poco ondulato, e la sua luce argentina non dà più modo di distinguere le stelle. La lattea circonferenza imperfetta rammenta un viso femminile pallido, un poco sorridente e alquanto enigmatico. L’astro appare tranquillo e dà la sensazione, perché da poco spuntato, d’essere più prossimo alla terra, d’osservare le vicende del mondo con una certa curiosità tipica delle donne; ma, quando sale alto in cielo, sembra trasferire su tutto una certa freddezza ed indifferenza. Questo suo cambiamento d’aspetto nel giro di poche ore riflette un umore mutevole e la stessa variabilità della sua forma in cielo si ripercuote sulle persone dal carattere fragile, insicuro, comunemente chiamate lunatiche, il cui comportamento sfugge ad ogni tipo di catalogazione certa; nello stesso modo che la Luna rimane abbastanza indefinita ed impenetrabile nella sua essenza, alquanto enigmatica.
Tutto quello che la Luna concede è una luce non sua, ricevuta dal Sole, diffusa, abbastanza fredda ed artificiale, che confonde le ombre con i corpi e che pare essere fatta d’acqua e d’aria ed ha perso il calore e il colore del fuoco e non fa risaltare la densità terrena dei corpi, che paiono immateriali.
Sa creare la Luna un’atmosfera onirica, irreale e dà l’impressione di vegliare sui sogni delle creature e di proiettarle in un’altra dimensione. Infatti i contorni delle cose paiono avere smarrito la loro sostanza per diventare eterei. Muoversi nel paesaggio illuminato dalla Luna dà una sensazione strana, attraversata da ansia passeggera e momenti di nervosismo. Chiunque resta ammaliato dalla luce lunare e poi prova la voglia di allontanarsene. Ci si sente senza peso, in un paesaggio senza spessore. Il tempo anche fluisce molto lentamente con la stessa sonnolenza con cui si muove il nostro corpo.
Improvvisamente l’astro rinnega la propria indifferenza e torna a farsi sensibile e pietoso, a versare lacrime sulle umane sorti. Particelle di nebbia finissima, lasciate cadere dall’astro d’argento, si condensano in virtù dell’aria fresca della notte e formano come una pioggerella finissima, lieve, impalpabile. Il processo d’aggregazione dà vita a 18 bulbi opalescenti che galleggiano nell’aria come bolle di sapone e paiono morbido vetro incandescente soffiato nell’aere. I 18 corpi fluttuanti prendono a salire verso il cielo, omaggiando la Luna, che sembra volersi riprendere avaramente il frutto del proprio corpo che non intende condividere a nessuno.
Poggiata con il mento nel bel mezzo di due colline, la faccia ironica della Luna pare invitarci a raggiungerla.
Per arrivare fino a lei bisogna percorrere un sentiero stretto e sinuoso, che sale in fondo alla valle, alla quale si può accedere solo dopo avere superato una grande palude melmosa, abitata da rospi invisibili che gracidano sotto il fogliame, il quale può nascondere altri animali. Le insidie ignote della palude possono essere di qualsiasi natura e i nemici invisibili sono i più pericolosi. Ugualmente sentiamo l’impulso di avventurarci nelle acque limacciose e scure. Bisogna affrontare l’ignoto, non ci si può arrestare per lo spavento, non ci si può lasciar contagiare dalla sonnolente atmosfera lunare. Solo ricorrendo a doti mentali l’iniziato (la persona sensibile ed istruita) riesce a bloccare l’ansia e la disperazione che ci possono sopraffare. Quando si sta per uscire dalla palude, un enorme crostaceo ci para la strada, rinnovando i nostri timori. Vincendo la repulsione, non si pensa neppure d’aggirare l’ostacolo. Bisogna poggiare il piede su quella dura corazza e servirsi dell’animale come un solido punto d’appoggio per uscire fuori dalle infide acque. Frattanto avvertiamo che le nostre tenere carni sono sottoposte al tormento e al fastidio degli insetti e che ad ogni puntura si sta perdendo una goccia di sangue. Per darsi un certo sollievo bisogna pensare d’essere ricoperti dal guscio impenetrabile del crostaceo.
Due animali sorvegliano l’imbocco del sentiero e volendo possono bloccare qualunque viandante. Uno assomiglia ad un famelico lupo, l’altro, dal pelo chiaro ad un cane pastore. Ulula l’uno, guaisce l’altro. Entrambi nervosi. Ogni tanto osservano la Luna ed vanno su e giù, come belve in gabbia, incapaci di sottrarsi all’influenza dell’astro che li ha come ipnotizzati. E’ evidente che ogni presenza estranea non può certo passare inosservata al loro fiuto, anche se il loro sguardo inquieto non sa distaccarsi dal magnetico ed ambiguo sorriso della Luna, certo rallegrata di avere ai suoi piedi due guardiani, pronti a difenderla. Non bisogna pensare neppure all’ipotesi d’essere sbranati. E neppure è opportuno ricorrere ad un bastone di fortuna per affrontarli e battersi con loro. Bisogna concentrarsi al massimo, conferendo alle carni la robustezza del guscio millenario e alle mani la forza che ha consentito alla Donzella di domare il leone. I due animali neanche si fanno incontro, ci ignorano e passiamo indenni. Prossime alla sommità della collina si ergono due torri, identiche che hanno più l’aria di essere prigioni, che confortevoli ostelli. Bisogna proseguire senza fermarsi. Bisogna fortificare l’intelletto esaminando dal punto di vista della Cabala i 18 corpuscoli lunari,
18 = 9 x 2 18 = 9 + 9 18 = 1 + 8 = 9
e poi giungere alla conclusione che il fascino misterioso della Luna sta nascosto nella doppia natura della sua luce e che solo disponendo di una grande luce interiore si può evitare d’essere ammaliati dalla luce indiretta dell’astro.
Dunque dobbiamo sperimentare di persona che solo colui che dispone di un grande equilibrio interiore può produrre una luce spirituale capace di resistere all’incantesimo magico prodotto dalla Luna . La Cabala ci consente di non smarrirci di fronte alla Luna e di camminare serenamente incontro all’alba ristoratrice.
1 > 8 = 18
L’Arcano della Luna vede l’incontro del numero 1 col numero 8 e scaturisce dalla disposizione dell’energia originaria del Mago in una condizione di massimo equilibrio, di cui la Luna è per un verso l’interprete sul piano cosmico.
L’Arcano numero 18 ritrae l’astro nella fase di maggior splendore; la Luna irradia sulla Terra una bianca luce che rischiara un paesaggio non del tutto rassicurante che lascia intravedere diversi ostacoli e pericoli, visibili ed invisibili: da torri non ben identificate, a paludi che nascondono varie insidie, a cani e lupi minacciosi e impervi sentieri che attraversano tutto questo scenario oscuro e per nulla rassicurante. L’Arcano sottolinea l’interazione profonda esistente tra l’astro Luna e il pianeta sottostante Terra, tanto che la dimensione mondo è data dalla somma Luna + Terra e che la Terra è tale solo in virtù degli influssi lunari che essa riceve.
Gli influssi siderali sulle persone
Gli influssi negativi della Luna sono: nevrastenia, tristezza, solitudine, malattie, fanatismo, falsità, insicurezza, apparenze ingannatrici, la falsa via, il furto commesso da servitori o parenti prossimi, le illusioni, gli inganni, le trappole, il ricatto, lo smarrimento. In astrologia la Luna, in analogia con il suo ruolo di astro freddo, che non brilla di luce propria ma che riflette la luce solare, rappresenta il versante passivo delle cose, la notte, l’umidità, l’inconscio, l’immaginazione, il sogno, la donna e tutto ciò che è instabile, transitorio ed influenzabile.
Astro che cresce, decresce e scompare la Luna è un simbolo dei ritmi biologici, essa controlla il divenire ciclico dell’acqua, la fertilità del donna e del suolo. Ed è proprio dal suo ruolo concreto che dobbiamo partire per analizzare questo Arcano che ha un suo fascino ambiguo e che mette in moto i meccanismi del nostro inconscio.
Le Stelle sono nel cosmo, ma sono lontane, esse ci rammentano che ci sono altri mondi possibili diversi dal nostro, dove le combinazioni della vita hanno forse potuto utilizzare elementi differenti da quelli che hanno operato qui sulla Terra.
La Luna invece è molto prossima a noi, fa parte del nostro mondo, influisce sulle maree ed insieme al vento permette al mare di respirare, d’essere vivo.
Consideriamo alcuni fatti noti, ma trascurati e sottovalutati, riguardanti il ruolo che la Luna svolge sul ciclo mestruale femminile e sulla nascita delle piante. Possiamo ipotizzare un ruolo benefico più ampio anche sull’orologio biologico umano e sul processo di invecchiamento della cellula.
Secondo un pregiudizio popolare, ampiamente condiviso da molti, si ritiene che esporsi alla luce lunare faccia male. Tuttavia, considerando che le credenze sono quasi sempre infondate, frutto di superstizione e d’ignoranza, consideriamo anche la valenza positiva dell’Arcano della Luna; confortati del resto da alcune antichissime credenze cinesi che assimilano la Luna alla coppa che contiene la bevanda dell’immortalità. Sempre i Cinesi assimilano la Luna alla lepre che pesta gl’ingredienti che servono per preparare l’elisir di vita. Ancora i Cinesi traggono dalla Luna la rugiada che possiede le stesse virtù dell’elisir. La dietetica taoista consiglia di bere la rugiada feconda. Possiamo dunque concludere che la Luna ha un influsso benefico sull’uomo, anche se ce lo siamo dimenticato.
18=1+2+3+4+....+12+13+14+15+16+17+18=171=1+7+1=9=18
La natura del numero 18 può essere intesa meglio frazionandolo ed analizzando i quattro numeri cabalistici ottenuti: le valenze 1,7,1 e il riflesso 9. Possiamo osservare che la somma di tali numeri dà nuovamente il 18 iniziale, infatti abbiamo che 1 + 7 + 1 + 9 = 18.
La luce della Luna dovrebbe essere preziosa al pari della luce dell’Eremita. L’astro è in grado, al pari del Mago, di compiere prodigi ripetuti che accompagnano l’armonia delle cose alla cui realizzazione l’astro non è esente.
18 = 17 + 1
La Cabala conferma che la Luna è un astro del firmamento che esercita sulle persone un influsso primario. Più prossima di ogni altra stella, la Luna ha i poteri magici propri del numero 1 ed essa può confezionarci un elisir di lunga vita.
18 = 16 + 2
La Luna, sul versante natura, svolge lo stesso ruolo della Torre e del Tempio della conoscenza. Ci avvicina di più alle Stelle e al loro enigma e ci illustra direttamente le proprietà della vita che gli alchimisti si aspettano di capire nelle loro torri. Inoltre la Luna può insegnarci molte cose, può spiegare tanti misteri, ma le sue verità sono scritte sul libro della natura.
18 = 15 + 3
La luce riflessa dalla Luna non fa nascere creature diaboliche e mostruose dalle femmine gravide, come ritengono sciocche superstizioni; bensì fa riaffiorare il Diavolo che è nascosto nelle persone malvagie le quali hanno paura della Luna come di uno specchio che riflette la loro vera immagine.
18 = 14 + 4
Non è vero che la Luna può vanificare le operazioni dell’alchimista e confondere anche chi possiede le quattro virtù hermetiche. La Luna agisce sulle combinazioni dei 4 elementi fondamentali e compie metamorfosi sul denso e sul sottile come l’alchimista.
18 = 13 + 5
Non è vero che l’energia luminosa emessa dalla Luna provoca la lenta morte della quintessenza e per questo non è bene esporsi molto ai raggi lunari. Al contrario la Luna interviene ritardando la morte corporea dando vigore alla quintessenza che è in noi.
18 = 12 + 6
La Luna sembra stare sospesa nel cielo come l’Appeso che sacrifica se stesso in nome degli alti ideali che è chiamato a difendere. Anche la Luna, posta di fronte al confronto tra la via del bene e la via del male, ha scelto il sacrificio, personificato dalla figura dell’Appeso.
18 = 11 + 7
La luce della Luna trasferisce in noi la Forza della Donzella e tende a suscitare armonie che non sono illusorie, solo perché non trovano un apparente riscontro nella realtà. L’atmosfera creata dalla Luna, così ricca di fascino, così attraente, è naturale che ci seduca come qualsiasi altro spettacolo della natura. Solo il nostro inconscio originario collettivo ha paura di lei ed ha alimentato le leggende che ce la dipingono negativamente
18 = 10 + 8
La Luna contribuisce all’equilibrio del sistema mondo in modo determinante con la sua indispensabile presenza che è altrettanto necessaria come quella del Sole
La luce della Luna è doppia; come la luce dell’Eremita di notte ci fa vedere dove mettiamo i piedi e ci mostra le insidie che possiamo incontrare; inoltre illumina la nostra coscienza e ci mostra quello che siamo. Per questo di solito si sfugge al chiarore lunare.
Ancora una considerazione, suggerita dalla Cabala. Il numero 18 può essere ottenuto dalle seguenti combinazioni di tre numeri:
1 + 7+10
2 + 7 + 9
3 + 7 + 8
4 + 7 + 7
5 + 7 + 6
6 + 7 + 5
7 + 7 + 4
8 + 7 + 3
9 + 7 + 2
10 +7 + 1
ove la prima serie è costituita dai primi dieci numeri in ordine crescente; la seconda, dal numero 7 ripetuto 10 volte, la terza, dai primi dieci numeri posti in ordine decrescente. Sommando i numeri che compongono le varie serie, avremo i numeri 55, 70 e 55, che ridotti danno nuovamente le valenze 1, 7, 1, che avevamo già ottenuto sottoponendo il numero 18 ad un processo di riduzione cabalistica. La Luna attrae col suo magnetismo i primi dieci numeri e li fonde insieme, in virtù della sua luce dal grande fascino, dando vita ad una combinazione che è sempre riconducibile alla natura del numero 18 in cui la Luna si specchia.
1 - 7 - 10
10 - 7 - 1
Il Mago chiede di conoscere il proprio destino già scritto nella Ruota governata dalla Sfinge, sulla quale pesa la presenza oscura del Folle; l’enigmatica Ruota attrae la curiosità del Mago, ma si sottrae ad ogni tipo di decifrazione. La corrente a doppio senso, d’attrazione e repulsione reciproca, è appunto uno dei molteplici volti della Luna, Arcano che l’inconscio originario collettivo teme più di ogni altro.
2 - 7 - 9
9 - 7 - 2
La Vestale custodisce e non è disposta a rivelare quello che l’Eremita sta cercando; l’Eremita, prima o poi, accede al Tempio della conoscenza e s’accorge d’essere stato ingannato, perché nel suo inconscio originario collettivo già sta scritto tutto quello che ha cercato con tanta fatica di scoprire; anche la Vestale guarda all’Eremita con una certa invidia ed interesse, perché lui è capace di vedere senza avere letto nulla sui libri di cui lei è la custode. L’inconscio originario collettivo, che non vuole farsi rischiarare dalla Luna, avvicina ed allontana l’Eremita dalla Vestale.
3 - 7 - 8
8 - 7 - 3.
La Dea-Madre dovrà dare alla luce il Figlio delle Stelle, dal quale nasceranno le basi per la fondazione del Nuovo mondo (3x7=21); il regno fittizio della giustizia, sentendosi minacciato, farà di tutto per consentire ai vecchi equilibri di permanere. Il vigile inconscio originario collettivo osserva gli eventi preoccupato e cela in ogni modo la propria vera natura.
4 - 7 - 7
7 - 7 - 4
I 4 elementi fondamentali della vita per ben 4 volte sono posti accanto all’armonia del numero 7. E’ segno che la Luna esercita influssi benigni. Inoltre la Luna può farci ascoltare la voce degli Dei, ma l’inconscio originario collettivo, sempre vigile, oscura la comunicazione con il suo silenzio pieno di nulla.
5 - 7 - 6
6 - 7 - 5
La quintessenza dovrebbe potersi muovere liberamente, invece rimane prigioniera di un meccanismo perverso, di cui anche l’Innamorato è schiavo. L’atmosfera onirica e sonnolenta di cui la Luna è madre fa emergere l’inconscio originario collettivo, volendo o no, lo fa levitare, ce lo illumina ed è per questo che lui teme il chiarore lunare.
L’inconscio originario collettivo è assimilabile ad un silenzio pieno di nulla, ad una voce che si nasconde e che crea delle barriere per non essere individuata.
L’inconscio originario collettivo è un meccanismo psichico perverso e sottile preposto al controllo della coscienza. Quello che sa non lo dirà mai, tenderà a tenerlo nascosto con tutti i suoi possibili mezzi a disposizione. Svelare l’inconscio originario collettivo equivale a risolvere l’enigma della Sfinge, a spalancare le porte del Tempio della conoscenza.
L’inconscio originario collettivo è possente come il Diavolo e le sue potenze sono le forze del male, che si camuffano sotto le mentite spoglie del bene.
L’inconscio originario collettivo conosce il programma originario e tiene prigioniere le energie sottili che non possono liberarsi definitivamente dalla materia.
L’inconscio originario collettivo è frutto di un progetto originario: l’antagonista che vuole dominare come Dio sul mondo degli Dei. I Tarocchi, nati quale benefica emanazione degli Dei verso gli uomini, sono uno strumento di conoscenza dell’inconscio originario collettivo e quindi un mezzo di redenzione per ogni creatura che voglia liberarsi dalla sua servitù.
L’inconscio originario collettivo sovrintende, osserva, illumina, ma non si lascia illuminare; può trascinare le anime negli abissi del male, assumere le fattezze più strane, compiere tutte le metamorfosi possibili, conoscere i segreti del nostro cuore, confondersi nei nostri pensieri; apparire e scomparire, ingrandirsi e rimpicciolirsi, rinascere dall’abisso come lo zero, confondersi nello splendore delle Chiese che adorano un unico Dio; confondere la fede con la superstizione e l’intolleranza, il delitto con il dovere; prolungare la vita dei suoi devoti ed obbedienti sacerdoti, ostacolare la marcia di tutti i Maghi che lo hanno incontrato sul loro cammino e non lo hanno scambiato per il loro Signore.
Se il quarto Arcano del primo ciclo, l’Imperatore è incentrato sulla forza che unisce i 4 elementi fondamentali; se il quarto Arcano del secondo ciclo, la Donzella indica la forza interiore che non traspare e che tutti posseggono; il quarto Arcano del terzo ciclo la Luna descrive la forza universale che tiene uniti gli astri tutti sul piano cosmico e nello specifico il legame che mette la Luna a diretto contatto con la Terra che le consente di trasferire la sua forza sulla natura, sulla marea, sugli uomini e le loro emozioni.
Le valenze dell’Arcano della Luna
L’Arcano della Luna indica il flusso diretto dell’astro a noi più prossimo che regola i cicli della fertilità femminile, scandisce i raccolti e le semine, determina le attività agricole in genere; nonché influisce sullo stato d’animo degli uomini e sul comportamento, anche sessuale, degli animali. Tale influsso astrale è benefico, ma l’inconscio originario collettivo degli uomini vi associa ansie e paure. La donna si sente minacciata, insicura, volubile. L’uomo diventa più aggressivo, più insonne, più nervoso. Entrambi si sentono scrutati nel fondo dell’animo. La Luna porta alla luce la conflittualità con il nostro inconscio originario collettivo che tenta di sottrarsi allo sguardo indagatore di chicchessia.
Nella casa numero 1 l’Arcano della Luna è particolarmente benevolo nei confronti di colui che consulta l’oracolo; nel senso che lo incoraggia ad agire riducendo le sue ansie e le sue paure, gli trasmette sicurezza ed un poco delle prerogative del Mago. Quanto a fermezza di carattere e decisione questa persona non dovrà temere confronti.
Nella casa numero 2 l’Arcano della Luna getta una luce inquietante sui nostri dualismi interiori e fa affiorare la nostra coscienza malvagia, per cui la sua presenza è foriera di fobie, di tormenti, d’incertezze.
Nella casa numero 3 l’Arcano della Luna agisce soprattutto sulle creature femminili predisponendole alla fertilità, alla sana maternità, all’affetto verso il figlio e verso il marito e trasmette un’energia benefica riconducibile all’alchimista.
Nella casa numero 4 l’Arcano della Luna agisce con particolare forza sul maschio, rendendo il suo carattere fermo e deciso, allontana la malattia, la minaccia, il nemico, ci aiuta a combattere contro le insidie che sono nascoste.
Nella casa numero 5 l’Arcano della Luna non è certamente benefico, rende instabile la nostra salute mentale, rafforza involontariamente l’inconscio originario collettivo, maschera le insidie, oscura la retta via, richiede grandi sacrifici, spesso inutili, fiacca la nostra volontà.
Nella casa numero 6 l’Arcano della Luna interessa soprattutto la sfera emozionale, fa innamorare perdutamente, ci rende attraenti, ci seduce e ci stordisce all’unisono, rende il nostro corpo più sano e più forte, perché ci trasmette una grande energia assimilabile a quella della Donzella.
Nella casa numero 7 l’Arcano della Luna influirà soprattutto sulle nostra fortune e spesso cambierà in bene il corso degli eventi, ci aiuterà a vincere contro i nostri nemici e ci farà conoscere persone influenti e comunicative.
Lascia che l’astro primario
risplenda sulla tua vita.
Come un beduino sperduto nel deserto
inchinati a ricevere la luce del Sole,
per scorgere un’oasi ristoratrice.
Il Sole è il vero unico ente
che ha generato le tue particelle
nate da una generosa stella materna.
Non oscurare la benefica luce;
che il Sole purifichi le tue fibre,
le tue giornate, la tua abitazione.
Ti sorrida il destino.
Impara ad afferrare il tempo propizio.
Il Sole ha trasmesso la sua energia inesauribile
alla lanterna dell’Eremita;
illumina il tuo incerto cammino;
sorprende per avere assimilato le abilità
illusionistiche e creative del Mago.
Il Sole trionfa sulla Morte,
sulle presenze malevole,
sulle paure, sulle ansie,
sugli incubi, sulle incertezze.
energia, luce, intelletto, origine, sostanza primaria.
Il ruolo primario del Sole
Secondo la scienza, tutti gli elementi della materia vivente sono scaturiti dalle stelle e sono i medesimi in tutto l’universo. Noi siamo creature figlie del Sole, che è il nostro progenitore più prossimo e più plausibile. Oramai è noto che gli antichi Maya adoravano il Sole tributandogli sacrifici ed elevando templi in suo onore. Per chiunque sarebbe impossibile alterare l’icona dell’Arcano del Sole che rimane in sostanza la medesima, nella sua essenza inattaccabile ed indistruttibile.
Il filosofo Tommaso Campanella, nel delineare il suo regno utopico e ideale, lo denominò metaforicamente come città del Sole, traendo ispirazione dalla Repubblica di Platone e dalle ricerche degli alchimisti, che ai suoi tempi erano considerati per metà scienziati e per metà occultisti.
Il Sole comincia a sorgere e poco dopo la Luna si fa più eterea e sbiadita sino a sparire. L’astro più luminoso di tutti oscura la Luna, come questa a sua volta è stata capace d’oscurare le Stelle.
Ci si sente subito rincuorati dalla tiepida luce che illumina il cammino. La natura trasparente e sincera del Sole, la sua funzione vitale ed insostituibile sono espressi efficacemente dal rispettivo simbolo alchemico, che sembra focalizzare un unico centro generatore di luce, attorno al quale ruotano tutti gli astri estremamente più freddi. Non sappiamo se questo dato immediato, questa simbologia elementare che allude alla teoria eliocentrica, sia stato sufficientemente valutato e quanto Copernico debba alle intuizioni degli alchimisti.
L’essenza del Sole non ammette discussioni, non genera equivoci, o dubbi di sorta. Il Sole è l’unica vera forza benevola visibile dell’universo di fronte a cui ci si deve inginocchiare in terra in segno di gratitudine ed affetto perché la sua vista ci riempie d’ottimismo e felicità.
Generosa e sincera creatura, il Sole sta dispensando una pioggia d’oro copiosa e incessante che ricade in un sereno giardino circolare, entro il quale 19 fiori di diversi colori formano come 19 corone circolari.
La pioggia si condensa in 19 pietre filosofali indistruttibili: simbolo della grande opera degli alchimisti che si propongono di redimere l’uomo, di rigenerarlo dalla sua caduta originaria attraverso la divulgazione dell’oro spirituale, prodotto dall’osservanza della loro dottrina.
E’ meraviglioso ascoltare la melodiosa voce di un’arpa animatrice che un alato Cupido, assiso su di un globo di puro oro posto nel mezzo del giardino, sta suonando. Le pietre grezze prendono vita e si sistemano da sole nella costruzione di un muro che delimita il giardino e lo pone al riparo da ogni influenza ostile. All’interno del giardino protetto, sull’erba, due ragazzini, un maschietto ed una femminuccia, giocano, ridono, scherzano, si rincorrono spensierati. Si muovono, ma i loro piedi delicati sfiorano l’erba senza calpestarla. Ogni loro gesto è spontaneo, istintivo e naturale. Le loro menti sono aperte. Esposte ai benefici raggi solari non hanno niente da nascondere, né agli altri, né a se stessi; conoscono e si conoscono. I loro corpi sono completamente nudi, perché non conoscono il senso del pudore e non provano vergogna. Sorprende la loro purezza: frutto vivente di un’educazione libera dai tabù sessuali. Le mura che delimitano il giardino proteggono una comunità ideale, libera da ogni intolleranza ed ingerenza esterna ed indicano chiaramente, al di fuori, l’esistenza di una realtà diversa, sotto l’egida del male.
I due bambini sono i precursori di una nuova condizione umana, ma l’Eden è riservato ad una minoranza. L’élite della Città del Solenon è libera d’uscire; resta prigioniera del proprio mondo, come l’oro della Torre alchemica riservato a pochi iniziati.
La minoranza eletta e privilegiata che vive nella Città del Sole conferma l’esistenza di un dato di fatto che domina nel mondo: una diffusa disuguaglianza in base alla quale tutte le creature non sono uguali, neppure naturalmente; ma sono determinate da precise circostanze ambientali e ricevono una sorta di condizionamento, che ne uniforma il modo di pensare, inoltre sono differentemente dotate di capacità fin dalla nascita e raggiungono livelli di sviluppo mentali differenti, determinati dal contesto familiare e dall’educazione ricevuta.
Il Sole indirettamente conferma che tutti gli uomini non sono uguali neppure davanti alla legge e che il Regno della Giustizia è assai ristretto, limitato e circoscritto alla Città del Sole amena e verdeggiante. Quel Regno ancora deve nascere, qualcuno deve procurarsi alleati potenti e lottare per instaurarlo.
Tale analisi è del resto confermata dalla Cabala, in base alla quale i principi astratti della giustizia devono essere sorretti dalla Forza per trovare un’applicazione in una società illuminata dal Sole.
8 + 11 = 19
Lo stendardo svolazzante dei Catari svetta sulla rocca più alta della Città del Sole, dove anche gli adulti giocano e tornano bambini in quel giardino riservato agli eletti, ai fortunati. Il mondo deve essere rigenerato dalle fondamenta e i migliori non possono illudersi d’essere i prescelti solo perché la Ruota della Fortuna li ha beneficiati. Anche quell’Eden protetto va visto con maggiore distacco, bisogna fare trionfare la giustizia, eliminare la schiavitù della morte, smascherare il Diavolo, spalancare definitivamente le porte del Tempio della conoscenza. Bisogna andare avanti, come il Folle, anche oltre la luminosa Città del Sole, oltre l’incanto della luce ed attingere l’abisso della verità per recuperare l’essenza smarrita.
1 > 9 = 19
L’accostamento del numero 1 al numero 9 definisce la natura del numero 19, ove l’energia originaria del Mago, unita alla luce sempre splendente dell’Eremita, si trasferisce dal piano del microcosmo alla dimensione del macrocosmo, personificato proprio dal Sole. O meglio l’energia primordiale del Sole si è trasferita nel Mago e nella lanterna magica dell’Eremita.
L’Arcano del Sole completa il ciclo cosmico e mostra un sole splendente che stende i suoi benefici raggi su di un giardino dove danzano sorridenti due fanciulli nudi, un maschietto ed una femminuccia. Le casta nudità dei fanciulli sottolinea come gli eletti - dopo il peccato commesso da Adamo – hanno recuperato la sessualità originaria e non sono più condizionati da proibizioni e tabù sessuali. Il muro che delimita il giardino è necessario ai cultori delle scienza esoteriche proprio per conferire alla società dorata baciata dal Sole un’impronta elitaria. Il muro è comunque una barriera, una protezione, delimita uno spazio, circoscrive un gruppo privilegiato d’iniziati, forse di alchimisti che propugnano un sapere riservato solo a pochi eletti. Sempre il muro personifica il regno dell’utopia, dunque un progetto che deve essere difeso ad ogni costo, perché oltre quella barriera, che può essere anche fragile e facilmente sormontata, v’è il dilagare della barbarie, dell’assenza di civiltà. Tuttavia il muro è perfettamente legittimo e plausibile e riconducibile a chi ha conquistato una sorta di condizione comunque precaria di sapere privilegiato. Il giardino simboleggia anche l’Eden degli albori della vita a cui questo Arcano allude. Il Sole è l’astro che con il suo calore rende possibile la vita sul pianeta. Egli svolge un ruolo fondamentale. Egli occupa il centro astronomico attorno a cui tutto ruota. Se l’uomo non fosse uscito dallo stato di natura – simboleggiato dal Sole - non avrebbe provato vergogna del proprio corpo e non avrebbe eretto muri per proteggersi da eventuali nemici. E soprattutto non sarebbe stato solo con la propria volontà di potenza, ma avrebbe avuto il conforto della comunicazione con altre creature terrestri (animali, piante) con cui non riesce più a comunicare.
Dopo il peccato originario l’uomo è stato isolato e riesce a comunicare solo in virtù del linguaggio. Le altre specie si compenetrano e per comunicare non hanno bisogno della parola, sentono, intuiscono, osservano, captano il flusso della coscienza e dei pensieri, anche se la presunzione dell’uomo ha solennemente affermato che solamente la sua specie può dirsi intelligente e si è persino attribuito un’anima divina e immortale.
La vita è organizzazione dal semplice al complesso.
L’organismo uomo è il risultato di un processo, è a + b + c + d; in lui c’è l’ossigeno e l’idrogeno e il carbonio e l’azoto e il fosforo e il silicio originario, che già di per sé hanno una coscienza ed hanno reso possibile il formarsi di tutte le creature viventi.
La luce, benefica e vitale, accompagna sempre i grandi progetti di rinnovamento dell’umanità. Sotto lo sguardo benevolo del Sole maturano nuove speranze e crescono grandi ideali. Allevati al culto dei sacri raggi, i figli del Sole giocano come fanciulli, in un giardino ricco di frutti. La terra, non più avara, sembra essere tornata rigogliosa; abbondanti e fresche sono le acque e anche la temperatura dell’aria ha raggiunto il giusto punto di equilibrio tra i rigori del freddo e il caldo soffocante.
19 = 1+2+3+4+5+6+.....+16+17+18+19 = 190 = 1+9+0 = 10
Frazionando il numero 19 secondo le note regole della Cabala, avremo le valenze dell’uno, del nove e dello zero e il riflesso dieci. Il Sole trasmette vita ai numeri stanchi e logorati, li ripercorre dall’uno al nove, pone le basi per un Nuovo mondo, completamente rinnovato. Anche il Folle guarisce e dà il suo contributo positivo in originalità, fantasia, innocenza.
19 = 18 + 1
Il Sole, l’astro sovrano su tutti, rende possibile la vita delle creature sulla Terra. E’ lui l’unico Dio visibile, l’unica forza degna di questo nome. E’ il numero 1 per le funzioni che svolge dal punto di vista energetico, perché mette in moto il processo evolutivo del mondo che gli ruota attorno. L’Arcano ingloba in sé anche le funzioni della Luna, astro freddo che si contrappone al Sole, ma completa il sistema.
19 = 17 + 2
Nel Sole noi vediamo una stella, quella a noi più vicina. Il Sole è anche il simbolo del firmamento. I dualismi naturali, come la luce e la notte, sono anche riconducibili al Sole, che con la sua luce oscura le Stelle e spalanca le porte del Tempio della conoscenza, mette a nudo le contraddizioni che giacciono nascoste nel profondo della psiche, sotto cui l’inconscio originario collettivo si cela.
19 = 16 + 3
Il Sole accompagna sempre favorevolmente la nascita dei nuovi progetti positivi, grandi e piccoli che siano. Il Sole stesso va visto come un progetto, come il Figlio visibile degli Dei, come un manufatto divino partorito della Dea-Madre del cielo. Il Sole è sul piano cosmico l’equivalente della Torre sul piano umano.
19 = 15 + 4
Il Sole è in grado di competere con il Maligno, d’accecarlo utilizzando le 4 virtù ermetiche da cui dipende il legame che unisce i 4 elementi fondamentali della vita.
19 = 14 + 5
Il Sole riesce a compiere le stesse operazioni proprie dell’alchimista ed è in grado di intervenire sulla quintessenza liberandola dalla schiavitù del Diavolo.
19 = 13 + 6
La luce del Sole trionfa sulle indecisioni, sulle paure, sui dubbi, sulle incertezze di ogni tipo e trasforma in cenere le ambiguità, le passioni smodate, gli eccessi di ogni tipo e fa nascere una creatura nuova, dalla coscienza trasparente, cristallina, pura, senza niente da nascondere. Insomma fa morire l’Innamorato e lo fa rinascere a nuova luce.
19 = 12 + 7
Il Sole incarna il messaggio degli Dei e si sacrifica come l’Appeso per trasmettere la vita. La luce del Sole illumina come il viso dell’Appeso, il cui sacrificio gli è valso il raggiungimento della sublime armonia.
19 = 11 + 8
Il Sole è preposto all’equilibrio cosmico, grazie alla forza interiore che possiede. La forza del Sole non conosce ostacoli di sorta, ma tale forza non è esagerata, ma dosata con equilibrio, amministrata con saggezza. Il Sole attraverso il processo di fusione dell’idrogeno produce energia pulita che dura milioni di anni. Gli eccessi sono dannosi alla vita, anche il Sole lo sa e lo insegna.
19 = 10 + 9
Il Sole illumina il mondo, come la lampada dell’Eremita, che illumina il suolo mostrandone le asperità e le insidie nascoste. Alla luce del Sole corrisponde quella della lanterna dell’Eremita. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si corrispondono. Il macrocosmo si riflette nel microcosmo. Il mondo - 10 - sta nel mezzo - tra il 19 e il 9 - rischiarato dal calore del Sole, ed illuminato episodicamente dalla luce dell’Eremita.
1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9
18 - 17 - 16 - 15 - 14 - 13 - 12 - 11 - 10
19 - 19 - 19 - 19 - 19 - 19 - 19 - 19 - 19
I tre cicli dei Tarocchi a confronto
Se il quinto Arcano del primo ciclo, il Gerofante, prende in esame la personificazione del sacro, il Dio invisibile, che si arroga il diritto di essere creatore e signore del Cielo e della Terra; se il quinto Arcano del secondo ciclo, l’Appeso prende invece in esame la figura dell’eretico che indica la presenza del sacro nelle forze della natura da cui tutti dipendono ed attribuisce alla stessa una spiritualità ed un’intelligenza che solamente l’uomo presume di possedere; il quinto Arcano del terzo ciclo ci mostra la luce, il dio visibile, quello autentico, reale che si contrappone alla mistificazione del sacro di cui il Gerofante è la personificazione.
Il Sole indica un cambiamento profondo nelle abitudini di vita, nei valori quotidiani, nelle istituzioni che vengono smantellate per restaurare l’anarchia positiva delle origini.
Il Sole abita in una città prediletta, anch’essa cerchiata di mura merlate, la sacra città dei Catari che non conosce il delitto e non prolifera in nome del Dio unico.
Solo una minoranza di poche persone si libera dai condizionamenti del monoteismo instaurato da Satana e dagli illusori condizionamenti impartiti dalle chiese che adorano Dio.
L’Arcano del Sole indica un cambiamento in positivo, un luogo privilegiato dove la gente vive felice, una città ben difesa dall’assalto dei nemici, l’innocenza perduta, l’infanzia senza paure e preoccupazioni, una grande energia che ci riscalda e ci fa bene, una minoranza di privilegiati, il paradiso terrestre perduto, l’avvento di una nuova era, le leggi della natura, la divinità che ha generato il mondo per trasformazione, l’energia originaria, la speranza, la cura salutare, la luce nelle tenebre.
L’Arcano del Sole nella casa numero 1 sta ad indicare che la sua protezione dai nemici riguarda chi consulta l’oracolo ed i suoi familiari e parenti vivranno tranquilli, ma questi non dovranno temere e rifuggire la luce della Luna.
L’Arcano del Sole nella casa numero 2 prospetta un felice superamento delle controversie, delle difficoltà, dei dualismi, perché riesce ad armonizzare il nostro spirito col moto del firmamento.
L’Arcano del Sole nella casa numero 3 illumina beneficamente i figli, la madre e ci aiuta ad erigere ostelli solidi dove trovare riparo.
L’Arcano del Sole nella casa numero 4 è in grado di tenere lontano l’insidia del Maligno perché sa infondere le 4 virtù ermetiche: sapere, osare, volere, tacere.
L’Arcano del Sole nella casa numero 5 sarà in grado di smascherare i falsi amici, i falsi medici, i falsi profeti, coloro che dicono di parlare per bocca di Dio e saprà indicarci la via che porta all’alchimia.
L’Arcano del Sole nella casa numero 6 ridarà linfa all’amore che non è più corrisposto, riunirà gli amanti divisi, darà speranza all’innamorato respinto, riuscirà a contrastare la morte e tutti i mali che la precedono.
L’Arcano del Sole nella casa numero 7 consentirà all’Appeso di vincere la sua battaglia, per cui il suo sacrificio non sarà stato inutile, il suo messaggio giungerà alla comunità e quindi le lotte saranno ricompensate e i giusti valori trionferanno.
Unico Arcano tra tutti, il Sole possiede una sua valenza intrinseca positiva. Certamente sarà il contesto delle carte poste a fianco del Sole, che avranno un peso ed un’influenza nefasta sull’Arcano numero 19 e ne attenueranno i benefici e persino ne oscureranno la luce.
Capitolo 35
A volte è necessario un cambiamento
repentino e salutare
per spezzare la routine, la noia,
scalfire l’indifferenza e trasfigurarci.
Se ti isoli in te stesso
e non dialoghi, non cerchi il confronto,
é solo perché hai paura della novità.
Puoi rinascere, solo se accetti
la trasformazione e la fai tua.
Dunque ben venga una graduale metamorfosi
nelle abitudini, nei comportamenti, nel gusto.
Concediti una vacanza per rinnovarti.
Intraprendi un viaggio per darti prospettive diverse.
Talora basta mutare d’abito,
inventare un nuovo look.
Non puoi restare granitico ed immutabile
nella tua torre d’avorio.
Immagina un nuovo lavoro. Provaci.
Forse starai meglio, se cambierai città, paese.
Talora sopraggiunge un improvviso distacco,
anche doloroso e inevitabile.
Forse cerchi una nuova relazione sentimentale.
Tua moglie ti ha chiesto il divorzio.
Tuo figlio cambia casa e lascia la famiglia.
Eventi naturali: possibili.
ancor prima che sopraggiunga
ed essere pronto ad ogni nuova sfida.
L’Apocalissi nell’immaginario collettivo
Poeti vati, indovini, occultisti, profeti hanno condiviso e alimentato nell’immaginario collettivo il sopraggiungere della fine dei tempi e lo hanno dipinto nei modi più disparati. Tutte le religioni monoteiste (giudaica, cristiana e islamica) fanno riferimento all’Apocalissi e prospettano un giudizio universale e agli spiriti eletti promettono anche la resurrezione dei corpi e la vita eterna.
Noi, tormentati dal dubbio metodico e scettici per natura, non condividiamo questo tipo di scenario apocalittico, con tanto di giudizio di Dio. Le tavole della legge sono già impresse nella nostra coscienza; già sappiamo se siamo stati buoni, o malvagi. I puri di spirito sono tali ancor prima che un improbabile evento teatrale li promuova nella classe dei buoni.
Le nuvole sopraggiungono ad oscurare la luce del Sole e la città degli eletti (descritta nell’Arcano numero 19) è sparita. Le mura ciclopiche che la proteggono non hanno resistito agli squilli della possente tromba degli Dei che le ha come sgretolate.
Il paesaggio è diventato tutto pianeggiante e si vede fino all’orizzonte. Non ci sono più vallate e monti, antri dove nascondersi, luoghi ove isolarsi, case con camini per proteggere la propria intimità e nascondere i propri vizi. Un manto d’erba continuo, senza più recinzioni, corre uguale fino all’orizzonte. Alcuni uomini, paralizzati dalla paura, osservano istintivamente il cielo, che si è coperto di molte lingue di fuoco e pregando aspettano il giudizio della fine dei tempi. Altri invece corrono, ma non trovano un posto ove nascondersi e sentendosi minacciati e impotenti sono i più disperati. Anche i morti, in virtù di quegli squilli di tromba, paiono essersi risvegliati e escono dalla zolla ricostituendosi dalle proprie ceneri.
Le vibrazioni della crosta terrestre aumentano sensibilmente e preannunciano un terremoto terrificante. Il mare sembra essere stato inghiottito dall’abisso. I cambiamenti in atto stanno assumendo proporzioni fino ad allora impensate, perché è arrivato per tutti il momento dell’Apocalissi. Tutto ciò che accade in basso, accade anche in alto. Le Stelle cadono risucchiate come da un vortice. La materia stessa si trasforma e la straordinaria metamorfosi mostra il vero volto delle creature. Tutti i malvagi non riescono più a mimetizzarsi. Tutto, nel breve istante fatale, è improvvisamente chiaro. Qualsiasi uomo conosce le proprie origini, il proprio cammino e il proprio obiettivo; anche l’essere più idiota saprebbe adesso rispondere con esattezza agli eterni interrogativi senza risposta della Sfinge. La natura di ogni mistero è rivelata, o meglio conosciuta, dall’interno della propria coscienza che non è più in grado di nascondere nulla. Il mondo si sta aprendo come uno scrigno e la coscienza delle creature insieme a lui. Ci sente quasi assorbiti da questa visione cosmogonica dell’Arcanoche riassume la storia dell’universo: dalla sua genesi alla sua dissoluzione finale.
L’evento, prospettato come una punizione divina, va inteso come una conseguenza dell’uscita dell’uomo dallo stato natura. Il peccato originario ha segnato il trionfo della violenza del più forte sul più debole. Le armi hanno proliferato; sempre più ingegnose e micidiali, fino alla bomba atomica che ha provocato la frattura dell’atomo. I legami della materia collassano. Un buco nero dovrà riassorbire l’energia originaria che si è dispiegata nel presente sistema solare.
L’Apocalissi vista alla luce della Cabala
Atterriti dalle proporzioni immani dell’Apocalissi non possiamo rinunciare al conforto e alla sapienza della Cabala neppure questa volta.
20 = 2 > 0
I segni inconfondibili dell’Apocalissi già sono preannunciati e custoditi nel Tempio della conoscenza ed il Folle - lo zero – mentre si lascia cadere nell’abisso ne riceve come una premonizione.
20 = 18 + 2
La luce della Luna e i suoi magici influssi, uniti alla sapienza occulta della Vestale possono aiutare a decifrare l’avvento dell’Apocalissi .
20 = 10 + 10
Gli enigmi della Sfinge e i destini del mondo saranno chiari solo nell’istante finale dell’Apocalissi.
20 = 4 + 4 + 4 + 4 + 4 = 4 x 5
I quattro Cavalieri che annunciano l’Apocalissi, come si legge nel libro omonimo di San Giovanni, nell’Arcano numero 20 compaiono per cinque volte. I Cavalieri si manifestano sotto forma di fuoco, terra, acqua, aria e quintessenza. Simboleggiano i 4 elementi fondamentali e la stessa quintessenza che li tiene insieme. L’Apocalissi libera la quintessenza, imprigionata nella materia. La crisi, endogena alla materia stessa, a causa delle ripetute esplosioni nucleari, scaturisce dal venir meno dei legami deboli: ossia le forze di attrazione tra molecole. Dal 1945 ai nostri giorni se ne contano circa 2020, quasi a voler chiosare proprio il numero che ci accingiamo qui ad esaminare. In internet un ricercatore giapponese presenta un efficace modellino che mostra il susseguirsi dai test nucleari (in cielo, sottoterra e in mare) effettuati dalle potenze mondiali che dispongono di un arsenale nucleare.
L’Uomo - proteso verso il dominio del mondo - per accentuare la sua diversità dal resto delle altre creature - non solamente ha preteso di essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio, ma si è dotato anche di un’anima immortale, e, per non dover rinunciare definitivamente anche al corpo, ha ampiamente assicurato i suoi discendenti con una resurrezione finale.
La specie umana alla speranza e alla garanzia di Dio non vuole rinunciare, perché solamente Dio giustifica la sua esistenza solitaria e mortale a cui altrimenti non riuscirebbe a dare un senso. Abbandonata la via della ragione, per non mettere in crisi se stesso e per non volere andare a conoscere le sue radici, il popolo dei parlanti ha avallato quanto è stato gestito dal popolo degli scriventi. Nello stesso modo il male originario, che è dentro di lui, è stato proiettato verso un entità chiamata Diavolo a cui vanno imputati tutti i crimini dell’umanità. In tal modo l’uomo si è già assolto, perché in lui fa sempre brillare un lumicino di bontà che mette in mostra nelle occasioni importanti, nelle grandi feste dell’ipocrisia.
Frazionando secondo la Cabala il numero 20 abbiamo che:
20 = 1+2+3...+11+12+13... +16+18+19+20=210=2+1+0=3
Il numero 20 si riflette dunque nel 3 e contiene le valenze del 2, dell’1 e dello zero. Possiamo osservare che il 20 percorre a ritroso la natura del 2, del numero 1 e dello zero, come se l’albero della cabala venisse inghiottito nell’abisso dello zero e tutto tornasse alle medesime condizioni di partenza, all’uovo originario, alla Dea-Madre a cui allude il numero riflesso 3.
L’Apocalissi riporta tutti i numeri allo zero, all’istante iniziale che precede la nascita del mondo.
20 = 2 > 0
Il numero 20 nasce dall’accostamento del numero 2, il dualismo originario, allo zero; quando si è stretti tra la morsa del numero 2 e dello zero si sta avvicinando la fine dei tempi. Lo zero attizza il fuoco lacerante delle contraddizioni, innescando un processo di rottura degli equilibri che regolano micro e macro cosmo. All’approssimarsi dei tempi apocalittici le contraddizioni esplodono fino all’inverosimile, in maniera sconsiderata e folle. Il trionfo della follia e dei dualismi sconvolgono l’unità delle cose e scaturisce l’Apocalissi, dalle stesse viscere della terra.
Il numero 2.000 è un numero apocalittico per eccellenza: i tre zero mettono in moto la genesi stessa della fine dei tempi.
A partire dall’anno 2000, le genti della Terra saranno percorse da forti emozioni e la materia da forti cambiamenti.
L’Apocalissi ha le sue chiavi d’accesso; nel senso che alcune circostanze renderanno possibile e vicina la fine dei tempi. Vi saranno dei fattori inarrestabili che concorreranno ad essa. Le numerose esplosioni nucleari a cui abbiamo alluso ne sono la causa più diretta; la miccia della fine è stata già innescata e nulla potrà fermarla. Gli Dei, sempre preposti al cambiamento, comunque ne vigileranno lo svolgimento. Infatti nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
20 = 19 + 1
L’Apocalissi porrà al centro del processo il Sole che svolgerà un ruolo primario riportando il tutto all’istante originario. Nel Sole i 4 elementi fondamentali manipolati dal Mago coesistono allo stato originario, perché nel Sole si manifesta la grande energia originaria da cui tutte le cose sono scaturite. Quando nel Sole si riprodurrà l’istante iniziale della vita, personificato dal Mago, allora il ciclo si sarà compiuto ed avremo l’Apocalissi.
20 = 18 + 2
L’Apocalissi chiamerà in causa la stessa Luna che svolgerà un ruolo attivo nell’accentuare quei dualismi che costituiscono la linfa vitale che alimenta l’inconscio originario collettivo. I dualismi, come caldo e freddo, sono elementi indispensabili alla genesi della vita perché rendono possibile il movimento e le trasformazioni. La Luna è l’astro preposto ad ogni tipo di cambiamento e l’Apocalissi sarà resa possibile dalla sua piena luce.
20 = 17 + 3
L’Apocalissi è annunciata dalle nuove Stelle che brilleranno e nasceranno nel firmamento. Dalle Stelle è scaturita la genesi delle creature, come progetto collettivo degli Dei. L’Apocalissi va intesa come una trasformazione ulteriore del mondo a cui parteciperanno tutte le Stelle.
20 = 16 + 4
L’Apocalissi coinciderà con un preciso evento, quando la torre alchemica riuscirà a liberare i 4 elementi fondamentali, ora uniti, legati e combinati in maniera diversa. Sulla torre alchemica le 4 virtù ermetiche agiranno in modo tale da mettere in moto il processo apocalittico.
20 = 15 + 5
L’Apocalissi scaturirà dal conflitto, dallo scontro tra il Diavolo e la quintessenza. La quintessenza e il Diavolo interagiscono. Quando la quintessenza si sarà liberata dalla morsa di Satana, le energie potranno fluire di nuovo dal denso al sottile e il flusso apocalittico sarà inarrestabile.
20 = 14 + 6
L’Apocalissi sarà il compimento del processo alchemico: sottile > denso - denso > sottile. Il lavoro alchemico darà i suoi frutti nel corso della paziente opera di distillazione e l’Innamorato, infranta la stasi epocale, riuscirà a distinguere nitidamente il bene dal male e a separare Satana dalla materia. Così inizierà la grande trasformazione dell’Apocalissi.
20 = 13 + 7
L’Apocalissi determinerà la fine di ogni armonia che tiene uniti gli opposti e struttura la stessa materia vivente. L’armonia e l’equilibrio sono gli elementi caratterizzanti della vita. Quando queste fondamenta vengono meno e si esauriscono ogni organismo muore. Quando l’alterazione dello stato di natura sarà giunto al limite estremo avremo appunto la fine del mondo: ovvero l’Apocalissi.
20 = 12 + 8
L’Apocalissi si approprierà dell’equilibrio cosmico esistente che per tanto tempo è stato sacrificato alle leggi inflessibili della materia. Paradossalmente scopriamo che l’Apocalissi ripristinerà un diverso equilibrio rinnegato e sacrificato, e che essa è sì sconvolgimento del mondo attuale, ma anche base per qualcosa di radicalmente nuovo.
Il sacrificio dell’Appeso nel nome degli alti valori morali, nel corso dei tempi porterà ad un nuovo equilibrio universale e questo renderà possibile l’Apocalissi, che sarà anche il frutto di una personale libera ricerca.
20 = 11 + 9
L’Apocalissi farà sua la Forza della Donzella e produrrà la stessa luce dell’Eremita per leggere nel fondo della coscienza delle creature, costringendo l’inconscio originario collettivo ad uscire allo scoperto. L’Apocalissi scaturirà dal di dentro, da un’energia interiore simile a quella che possiede la Donzella e sarà intravista dalla luce sprigionata dalla lanterna dell’Eremita.
20 = 10 + 10
L’Apocalissi ci interrogherà con la stessa forza che emana dalla Sfinge e instaurerà un altro mondo fondato su altri equilibri. La Ruota del divenire gira ora in un senso, ora in un altro e questo rende possibile il divenire e le trasformazioni. L’Apocalissi vedrà il comparire di un’altra Ruota, assimilabile all’energia di un buco cosmico nel firmamento.
L’Apocalissi, sempre annunciata dai profeti di tutti i tempi e sempre vista come prossima, fa parte del bagaglio inconscio che ci portiamo dentro. La rottura degli equilibri originari, l’uscita dallo stato di natura, implica, prima o poi, un azzeramento del processo iniziato.
Sarà la fine dei tempi ad illuminare il cammino delle creature che popolano il mondo. Beati coloro che avranno la sorte di assistervi, perché le loro tribolazioni, le loro angosce e schiavitù saranno finite per sempre.
Nel libro dell’apostolo Giovanni dedicato all’Apocalissi incontriamo alcuni numeri decisamente cabalistici. Tra essi spicca decisamente il numero 666, evocato dalla Grande Bestia, che, se sottoposto al processo di riduzione cabalistica, equivale esattamente a 222111, che va inteso come una sorta di proiezione tridimensionale del numero 21
21
2 1
2 1
Se il sesto Arcano del primo ciclo, l’Innamorato, personifica un immobilismo attivo e costruttivo, la stasi – in un certo senso dinamica - di fronte a due strade seducenti e percorribili; se il sesto Arcano del secondo ciclo presenta il fenomeno naturale della morte anche nella sua cieca violenza, nella sua aggressività sociale e pubblica; il sesto Arcano del terzo ciclo, l’Apocalissi, ha per oggetto la morte cosmica, estesa all’intero mondo e non solamente ad una singola creatura.
Le valenze dell’Arcano numero 20
L’Arcano dell’Apocalissi generalmente riguarda un cambiamento dovuto a fattori esterni e non voluto dall’interessato, che avrà per effetto anche dei radicali mutamenti interiori. Scendendo nel particolare esso indica la fine repentina di un legame affettivo, il cambiamento improvviso di una situazione, un grande capovolgimento sociale e politico, una grande crisi economica, il mutamento di un regime a causa di una rivoluzione popolare, un terremoto fisico, la frattura di un’amicizia, mutate abitudini di vita, una crisi dell’identità personale, un nuovo lavoro, una nuova città, una nuova donna, una grande paura collettiva, la collera degli Dei, la punizione dei cattivi, la ricompensa dei giusti, il giudizio delle nostre azioni, l’avvento assai prossimo della fine del mondo.
Nella casa numero 1 l’Arcano dell’Apocalissi riguarda chi consulta l’oracolo in prima persona e gli riserva grossi cambiamenti, talora dolorosi e traumatici che coinvolgeranno anche persone a lui prossime.
Nella casa numero 2 l’Arcano dell’Apocalissi scaturisce dall’esasperazione dei dualismi che cozzeranno fino a determinare un sovvertimento radicale della situazione. Ci sono anche grandi contrasti con la propria coscienza che è combattuta, tentata da profonde forze occulte che agiscono per toglierci la serenità, per infonderci ansie e paure. Le nostre certezze vacilleranno. A rischio anche la salute mentale.
Nella casa numero 3 l’Arcano dell’Apocalissi riguarda soprattutto la genesi di situazioni inaspettate, la presenza di nuove creature femminili nella nostra vita. I mutamenti in atto saranno nel complesso gradevoli perché nascono sotto l’auspicio dello sguardo amorevole delle Stelle e della Dea-Madre. In questa posizione la valenza dell’Arcano è sostanzialmente positiva.
Nella casa numero 4 l’Arcano dell’Apocalissi riguarda soprattutto colui che detiene il potere. Il padre, l’autorità perderanno il loro prestigio, saranno messi in discussione, detronizzati. Anche gli edifici più solidi, sia nel senso metaforico, che letterale, saranno scossi nelle loro fondamenta e destinati al crollo.
Nella casa numero 5 l’Arcano dell’Apocalissi riguarda cambiamenti in genere che possono riguardare anche la sfera religiosa e mistica. Si profilano conversioni, nuove guide spirituali. Satana sarà allontanato, reso inoffensivo. La valenza positiva dell’Arcano però sorprenderà anche coloro che ne saranno beneficiati
Nella casa numero 6 l’Arcano dell’Apocalissi indica che l’Innamorato titubante dovrà fare le proprie scelte per forza, che ogni incertezza sarà improvvisamente superata. L’azione dell’Arcano, traumatica e non indolore, sarà circoscritta alla sfera affettiva e a quella lavorativa.
Nella casa numero 7 l’Arcano dell’Apocalissi comporterà dei cambiamenti piuttosto traumatici e repentini che potranno provocare persino la morte improvvisa di una persona a noi cara. Le situazioni prima abbastanza equilibrate saranno soggette a mutamenti inattesi. L’Arcano agirà senza nessun segno premonitore, inatteso, come un fulmine nel cielo sereno.
“Il sobrio pennello intriso nei numeri
descrive l’Apocalissi,
accostando il 2 allo zero
e riconducendo i dualismi all’abisso originario.
Il 20, scomponibile in un 5 ripetuto 4 volte,
mostra quando la quintessenza
non amalgama più i quattro principi
fondamentali della vita.
Se la Ruota del divenire,
raffigurata dal numero 10,
s’affida alla sapiente costruzione dell’Uno
e alle potenzialità infinite dello zero germinativo;
l’apocalittico 20
capovolge la rotazione
nel verso contrario e lo zero
svolge una funzione esattamente opposta,
riconducendo il tutto alle origini.
Senza numeri non sarebbe possibile
descrivere il mondo e l’armonia
essenziale al suo dispiegamento.”
Capitolo 36
Arcano Numero 21: Palingenesi
Trionferà comunque l’armonia,
troverai il tuo equilibrio interiore,
sarai più tranquillo e sereno.
Alimentati in maniera naturale e salutare.
Fai liberamente circolare
l’energia attraverso il corpo.
Medita in silenzio e riscopri la purezza originaria.
Rispetta il simile, la creatura al tuo fianco.
Ammira lo splendore del firmamento.
Resta affascinato dalle meraviglie del microcosmo.
Una palingenesi spirituale è possibile,
sempre che tu voglia guardarti allo specchio,
metterti in discussione
e pensare con le tue facoltà critiche
che il potere degli scriventi hanno cloroformizzato
e le sacre scritture hanno oscurato.
Il sistema degli Arcani maggiori:
palingenesi finale
La sequenza degli Arcani maggiori non è casuale. La successione delle icone ha una sua logica intrinseca. Dopo la Torre, le Stelle, la Luna e il Sole, che delineano un percorso cosmico (fatto di quattro tappe a partire dalla Terra, simboleggiata dalla Torre: un manufatto terrestre edificato dall’uomo); abbiamo la deflagrazione cosmica: l’Apocalisse, l’Arcano numero 20.
Alla luce di quanto detto l’Arcano Numero 21 non può avere avuto originariamente l’appellativo di Mondo, con cui è stato ribattezzato nelle edizioni successive. Noi preferiremmo chiamarlo Nuovo Mondo, proprio per indicare che si tratta di un percorso del tutto nuovo, svincolato dal precedente visualizzato da venti Arcani. A ben pensare il termine dotto palingenesi ci sembra quello più proprio per caratterizzare l’Arcano Numero 21. Siamo infatti in presenza di un nuovo ciclo, o meglio di una nuova genesi. Palingenesi, secondo il vocabolario della lingua italiana Zingarelli, indica nelle religioni messianiche ed escatologiche il rinnovamento finale del mondo dopo la distruzione e nel cristianesimo la restaurazione finale del regno di Dio. Dunque il termine palingenesi, da attribuire all’Arcano numero 21, appare quanto mai sequenziale alla sopravvenuta apocalisse descritta dall’Arcano numero 20. Siamo rimasti nell’alveo già tracciato dal primo ciclo e la nostra quindi non è una pura speculazione intellettuale, ma una rivisitazione logica e coerente che tende a ricostruire la vera natura dell’Arcano Numero 21.
2 > 1 = 21
Il numero 21 vede l’accostamento del numero 2, simbolo dei dualismi, al numero 1, simbolo delle origini del tutto. Concettualmente i dualismi si ricompongono, si conciliano in un’unità e ne scaturisce una vera e propria palingenesi. Ancora una volta avere ribattezzato l’Arcano numero 21 si dimostra un’operazione affatto arbitraria, bensì fondata alla luce della filosofia dei numeri.
Le vicende toccate all’Arcano numero 21 non sono state finora analizzate minuziosamente dai tanti appassionati di Tarocchi in circolazione; ne ignoriamo la ragione; eppure tutti gli interpreti dovrebbero avere ben presente davanti agli occhi l’icona più antica: quella del mazzo espressamente eseguito per Filippo Maria Visconti; assai diversa da quella nota e riprodotta nel mazzo più popolare: i Tarocchi di Marsiglia: la città che lo stampava e lo esportava in mezza Europa, accumulando una grande fortuna.
L’Arcano numero 21 raffigurato nei Tarocchi Visconti
Nei Tarocchi Visconti l’Arcano numero 21 mostra due graziosi amorini che, con una mano, in maniera delicata, quasi senza sforzo, sorreggono il mondo racchiuso entro un tondo, simbolicamente assimilabile al cerchio, dove si distingue una città medioevale fortificata in cima a un colle. Sopra risplendono il cielo e le stelle del firmamento. Il mondo qui raffigurato non è semplicemente una regione specifica della terra, ma il mondo nella sua totalità. L’Icona, su fondo dorato, appare luminosa e trionfante e mostra la grandiosità del creato. Sottilmente ne indica la genesi, ne raffigura la complessità, l’intima profonda armonia. Due mani, due amorini: il rimando al dualismo originario alla base del tutto è abbastanza esplicito. Non possiamo ignorarlo; è essenziale. Il tondo simboleggia l’unità profonda del creato e riflette l’insegnamento alchemico, secondo cui esiste un’intima corrispondenza tra il macrocosmo e il microcosmo. L’icona è contrassegnata dal numero 21. Il numero 21 accosta il 2 al numero 1. La scena presenta 2 amorini ed 1 tondo, assimilabile al cerchio, simbolo di perfezione.
21 = 2 > 1
Il mondo sintetizza, riassume l’intero processo descritto dagli Arcani precedenti: dal Mago fino al Giudizio.
Base ottagonale del Castello di Federico II
Se osserviamo bene la pianta della città raffigurata nell’Arcano numero 21 dipinto per i Visconti, ci accorgiamo che la sua base è ottagonale. Costruita in cima a una collina, ricorda la perfetta geometria del castello fatto erigere da Federico II nei pressi di Adria, in Puglia. L’attuale sito di Castel del Monte è considerato patrimonio dell’umanità dall’Unesco e presenta alcune particolarità che mettono in risalto il numero otto: la pianta è ottagonale, la vista dalla corte interna è pure ottagonale, le otto torri perimetrali sono anch’esse ottagonali. Questa meraviglia concepita dall’Imperatore svevo non era destinata ad essere una residenza e per il suo valore simbolico costituisce un manifesto visibile delle sue simpatie verso la cabala, l’alchimia e la magia. Nella corte imperiale erano confluiti diversi dotti arabi, di cui amava contornarsi per conoscere meglio la cultura di un popolo con cui necessariamente ci si doveva confrontare.
Sostanziale metamorfosi iconografica
A un dato momento storico, nei mazzi di Tarocchi successivi ai Visconti, l’impianto iconografico del mondo cambia profondamente. Non ne conosciamo le ragioni, ma possiamo facilmente intuirle. I Tarocchi con l’invenzione della stampa non sono più un diversivo per nobili di alto rango, ma possono facilmente circolare tra la borghesia e arrivare fino al popolo minuto. Proprio allora diventano uno strumento importante di persuasione e di propaganda. Siamo negli anni successivi alla Riforma luterana e la Chiesa cattolica deve fronteggiare lo scisma protestante. In un clima di Controriforma anche le carte diventano uno strumento di lotta da non sottovalutare e quindi è possibile trasmettere certe idee attraverso il mezzo apparentemente solo ludico. Bisogna controllare il modo di pensare della gente; per questo nascono le chiese monumentali e proliferano le pitture sacre, tutti elementi che possono colpire l’immaginario collettivo.
Oswald Wirth: disegnatore di un popolare mazzo di Tarocchi
L’interprete più autorevole e moderno della tradizione del filone cabalistico, alchemico, panteista, rimane indubbiamente Oswald Wirth che ha disegnato un mazzo di Tarocchi celebre. Vorremmo ripercorrerne la vicenda biografica, perché bisogna sempre sapere chi è l’autore di un libro e conoscere a fondo qual è la sua formazione culturale.
“Dedicandomi alla pratica dell’occultismo prima di approfondirne la teoria, all’inizio del 1887 prestai le mie cure di magnetizzazione ad un’ammalata che si addormentava sotto la mia influenza. Era un soggetto lucido, che m’informava sulle condizioni dei suoi organi e sull’effetto prodotto dal mio fluido. La sua tendenza alla loquacità si traduceva spesso in rivelazioni spontanee del tutto inattese, alle quali io prestavo scarsa attenzione. Un giorno, tuttavia, rimasi molto colpito dal tono convinto della mia veggente, che sembrava percepire qualcosa con una chiarezza maggiore del solito.
“Lei sta per ricevere una lettera sigillata con un sigillo rosso che porta uno stemma!” gridò, come se si trattasse di un particolare molto importante.
“Sa dirmi chi manderà questa lettera?”
“E’ scritta da un giovane biondo dagli occhi azzurri, che ha sentito parlare di lei e vuole conoscerla. Le sarà molto utile e v’intenderete alla perfezione.”…
…non ricordai neppure la predizione, quando ricevetti una lettera con il sigillo rosso stemmato. Stanislas de Guaita mi invitava a fargli visita… Era lui l’amico, il protettore annunciato dalla mia paziente addormentata!..…L’incontro......fu per me un evento d’importanza capitale… Mise a mia disposizione la sua biblioteca e trassi molti benefici dalla sua conversazione: ebbi in lui un professore di Cabala, di alta metafisica e di lingua francese, poiché Guaita si preoccupò di formare il mio stile e di sgrezzarmi dal punto di vista letterario…Guaita...partendo da Éliphas Lévi era risalito ai cabalisti del Rinascimento e ai filosofi ermetici del medioevo, leggendo tutto e comprendendo tutto con una facilità prodigiosa….Sapendo che io ero disegnatore, mi consigliò, durante il nostro primo colloquio del 1887 di restituire i 22 Arcani dei Tarocchi alla loro purezza geroglifica, e mi diede immediatamente una documentazione, consegnandomi due mazzi di Tarocchi, uno francese e l’altro italiano e il Dogma e Rituale dell’Alta Magia, l’opera fondamentale di Éliphas Lévi, nella quale i Tarocchi sono oggetto di copiosi commentari….Con l’aiuto di Stanislas de Guaita, mi misi al lavoro per acquisire la scienza del simbolismo che mi avrebbe aiutato a ricostruire i Tarocchi nel disegno e nei colori conformante al genio medioevale….Non esiste raccolta di simboli paragonabile ai Tarocchi, visti quale rivelazione d’una saggezza che non ha nulla di arbitrario, poiché ciascuno la discerne liberamente, senza subire altra suggestione che non sia quella delle immagini mute.” (I Tarocchi – Oswald Wirth – Edizioni Mediterranee pag.25-29)
La versione finale di Wirth dell’Arcano XXI, che abbiamo sotto gli occhi, non si discosta molto da quella dei Tarocchi di Marsiglia. Il disegno è più puntuale e netto, la giovane donna che sembra danzare entro la ghirlanda ovale a tre file di foglie verdi è forse più eterea ed elegante, appare sospesa nel vuoto. I tre Animali e l’angelo sono forse meno rozzi e abbozzati dei suoi precursori; ma l’impianto iconografico resta il medesimo. Strano che dopo tanti preziosi insegnamenti non abbia avuto altre illuminazioni.
“Il mondo è un vortice, una danza perpetua in cui nulla si ferma: tutto vi gira incessantemente, perché il movimento è il generatore delle cose. Questo concetto, che la scienza moderna non rinnega, risale alle età preistoriche, come ci permette di stabilire la venerazione tributata alla svastica: questo è il nome della croce gammata, dalle braccia ripiegate a squadra, o incurvate ad uncino. Questo emblema…ricorda il movimento della volta celeste che, agli occhi dei nostri lontani antenati, si comunicava, agli esseri e alle cose, Animando gli uni e muovendo le altre… I Tarocchi s’ispirano a queste idee dieci volte millenarie quando ci mostrano la dea della vita che corre entro una ghirlanda di foglie come uno scoiattolo che fa girare la sua ruota. ..Questa divinità amabile.. è pudicamente velata da un drappo rosso, colore dell’attività…E’ l’Anima Corporea dell’Universo, vestale del fuoco di vita che arde in tutti gli esseri. Questo suo ruolo spiega le due bacchette che tiene nella mano sinistra: terminano in sfere, una rossa e l’altra azzurra. Con la prima si captano le energie ignee, destinate ad associarsi al fuoco vitale che languirebbe se non fosse costantemente rianimato dal soffio aereo attirato dalla sfera azzurra. Le forze captate vengono trasmesse dalla mano destra al velo rosso che la giovane trattiene.” (I Tarocchi – Oswald Wirth – Edizioni Mediterranee pag.258-259)
Sono le parole dello stesso Wirth a spiegarci il suo simbolismo. Eppure qualcosa non ci convince. Perché sbiadire l’icona originaria detta dei Visconti, infinitamente più poetica e viva, pittoricamente più valida e commovente con tratti a dir poco approssimativi e stentati, per tirare fuori dal cilindro della cabala quattro figure ai bordi della ghirlanda, che potrebbero far pensare ai quattro elementi primordiali della vita secondo gli alchimisti. Indubbiamente per ribadire che il mondo scaturisce dall’unione di elementi fondamentali; ma poi l’icona laica originaria viene contaminata con quattro simboli sacri: l’Angelo e i tre animali sacri: il Toro di San Luca, il Leone di San Marco, l’Aquila di San Giovanni.
“Vestito di rosso, quest’angelo si cinge di nuvole, al di sopra delle quali tende le ali d’oro: queste ali lo innalzano alla più pura idealità, di cui s’impregnano i vapori sublimi che si condensano attorno a lui, in attesa di risolversi in piogge spiritualmente fecondanti.”(I Tarocchi – Oswald Wirth – Edizioni Mediterranee pag.260-261)
Uno strumento di divinazione nell’antica Cina
Consideriamo ora lo strumento di divinazione dell’antica Cina: i Ching con cui spesso ci siamo confrontati: una insuperabile costruzione logica che sta alla base dei 64 esagrammi che combinano due linee, una breve ed una lunga. Non si possono contraffare in nessun modo. Quelli sono simboli eterni. Ed anche il loro antico nome non è mutato, mentre la Torre originaria dei Visconti si è ritrovata addosso con la dicitura la casa di Dio, perché in un clima di Controriforma la presenza del divino doveva investire anche le carte da gioco, che da un lato erano condannate, dall’altro erano tollerate e servivano per entrare in ambienti malfamati, come i bordelli, le osterie e i teatri; dove il sacro, pur se camuffato, poteva fare il suo ingresso e magari salvare pure qualche anima destinata alle pene infernali.
Dai dualismi verso la ricostruzione del mondo originario
1 Mago > 20 Giudizio = 21 mondo originario
Quando il percorso naturale, dalla genesi magica della vita alla fatale Apocalisse finale, sarà completato, allora torneremo alle condizioni iniziali del mondo originario, prima che il peccato di Adamo turbasse l’equilibrio e l’armonia primordiale. Inizia dunque una nuova era storica, perché si è completato l’antico ciclo dominato dall’egoismo e ci sono le premesse perché possa iniziare un nuovo ciclo. Non si tratta dell’eterno ritorno dell’identico descritto dai Greci e neppure dei corsi e ricorsi storici di Vico. Siamo ad una svolta radicale, siamo ad una palingenesi.
2 Papessa > 19 Sole = 21 mondo originario
Il Sole risplende sui dualismi sopiti, la conoscenza illuminante alberga nella coscienza di ognuno e non viene più confinata in Templi inaccessibili. Crolla uno dei pilastri del potere detenuto dagli scriventi sul popolo dei parlanti. La luce del Sole rischiara i meandri più oscuri del Tempio della conoscenza. L’inconscio originario collettivo, abilmente camuffato entro le pieghe oscure della cultura di ogni tempo, viene folgorato dalla luce del Sole.
3 Imperatrice > 18 Luna = 21 mondo originario
La Luna influisce da sempre sullo sviluppo e la crescita delle creature, figlie della rugiada lunare irradiata beneficamente sui comuni mortali. L’Imperatrice Dea-Madre genera figli sani, che non conosceranno la Morte, in armonia col vivente circostante.
4 Imperatore > 17 Stelle = 21 mondo originario
I 4 elementi fondamentali della vita vengono ricondotti nell’alveo originario che li ha generati: le Stelle. Tutte le creature si riconoscono figlie delle stelle.
5 Papa > 16 Torre = 21 mondo originario
Nel mondo originario la quintessenza non è imprigionata nei legami alchemici, ma si muove liberamente e consolida un edificio imperituro fondato sull’equilibrio: la Torre.
6 Innamorato > 15 Diavolo = 21 mondo originario
Da sempre, secondo una consuetudine moralistica che relega il corpo nell’alveo dell’imperfezione e del peccato, abbiamo temuto l’amore e non siamo riusciti a viverlo nella sua pienezza, per avere introiettato una cultura spiritualista che riservava all’anima la pienezza della vita eterna, mentre il corpo imperfetto e corruttibile era destinato alla morte. Il Diavolo, simbolo del male, riusciva a dominare sui corpi e sulle passioni carnali e ci trascinava nel vortice della lussuria; allontanandoci dalla salvezza eterna ci spingeva sull’abisso degli Inferi. Queste proibizioni hanno funzionato per quasi due millenni, dopo il trionfo del cristianesimo sul paganesimo.
L’Arcano trionfante del mondo restaura l’amore nella sua pienezza originaria, riscatta il corpo dal dominio del male.
7 Il Cocchio>14L’alchimista= 21 mondo originario
Il Cocchio del messaggero degli Dei simboleggia già di per sé la condizione originaria, che viene attinta attraverso i percorsi e le trasformazioni illustrate dagli alchimisti. Ad una cadenza ritmica del numero 7 ritorna il mondo originario.
8Equilibrio>13Mortecorporale= 21mondo originario
Il mondo originario comporta il ripristino dell’Equilibrio primordiale e il riscatto dalla Morte corporale di tutte le creature viventi.
9 Eremita > 12 Appeso = 21 mondo originario
L’Eremita e l’Appeso simboleggiano due grandi risorse della mente: hanno percorso due cammini apparentemente differenti che producono un grandioso effetto finale, quando vengono accostati insieme. Il primo ha percorso la realtà in lungo e in largo investigando senza posa, il secondo si è confinato nel suo misticismo per attingere la purezza interiore al riparo dalle tentazioni corporali.
La Ruota rende possibile ogni tipo di trasformazione; la forza interiore che anima la Donzella viene trasmessa indistintamente a tutte le creature del mondo animale e vegetale e anche l’apparente bruta materia si riscatta e si vivifica.
Il monismo riduce l’essenza del tutto ad un unico e solo principio originario. Il monismo è una forma d’integralismo concettuale. Ha generato l’assolutismo dei sovrani e il monoteismo delle religioni. Se osserviamo la natura, essa al contrario rivela un’infinita varietà di forme e di creature. La natura non è monista, bensì pluralista. Pensare un unico Big Bang che abbia dato origine al tutto equivale ad applicare concettualmente alla scienza il modo di pensare del monismo. Dio, spodestato dai filosofi laici, si ripresenta mascherato sotto le forme accattivanti del Big Bang e trova anche autorevoli intellettuali, che, in buona fede, sono disposti a credere che il loro alambicco concettuale abbia un fondamento scientifico.
Le valenze dell’Arcano numero 21
L’Arcano del Nuovo mondo indica un cambiamento in positivo; il ritrovamento della pace interiore; la riscoperta dei valori morali; buoni propositi; una grande conquista spirituale; un viaggio; doti artistiche e musicali; l’avvento di una persona geniale; la visita di un paese sconosciuto e meraviglioso; una scoperta scientifica rilevante; un nuovo compagno di viaggio; una rigenerazione interiore; un cambiamento fortemente voluto e alla fine raggiunto con pieno successo; una nuova tappa nel cammino di una persona, che si trasforma ed affronta la vita con equilibrio ed ottimismo e guarda la realtà con occhi diversi, mostrando empatia, affinità, solidarietà verso tutte le creature perché sono svaniti la superbia prevaricatrice e l’antico cieco ottuso egoismo.
L’Arcano numero 21 nella casa numero 1 indica un cambiamento in positivo per la persona che consulta l’oracolo. Costui vedrà realizzate le proprie attese, le proprie speranze. Vi saranno benefici d’ordine materiale, come grossi guadagni o vincite al gioco. Cresceranno le opportunità, la creatività. Le facoltà intellettive daranno frutti significativi.
L’Arcano numero 21 nella casa numero 2 riuscirà a trasformare in positivo i dualismi che agitano i protagonisti, i misteri saranno svelati, la conoscenza non sarà patrimonio esclusivo di eletti, non ci saranno ostacoli alla diffusione delle idee eretiche, nascerà una nuova età dell’oro, inteso nella sua accezione spirituale.
L’Arcano numero 21 nella casa numero 3 vedrà la nascita di individui eccezionali dotati di grandi qualità, trasmetterà i propri benefici alla madre, alle donne in genere, i raccolti saranno abbondanti e di qualità superiore, il clima mite, la coscienza serena e tranquilla, le paure sopite.
L’Arcano numero 21 nella casa numero 4 trasfigurerà l’autoritarismo del padre, del capo; il potere e la legge non avranno più bisogno della forza per farsi rispettare, s’instaurerà il regno del rispetto reciproco; l’imperativo morale nascerà dal di dentro di una coscienza rischiarata dalla Luna, l’inconscio non farà sentire più la sua voce tentatrice.
L’Arcano numero 21 nella casa numero 5 darà ampia libertà di movimento alla quintessenza che saprà come manifestarsi; la sapienza originaria oscurerà il sapere esclusivo e riservato ad una casta d’eletti; nessun edificio sarà abbattuto in nome di presunte fedi o presunti ideali o da presunte vendette divine, le porte dei Templi saranno spalancate ed aperte a tutti.
L’Arcano numero 21 nella casa numero 6 renderà trasparenti e disinteressati gli amori tra le creature, non ci saranno più tabù sessuali, i camuffamenti di Satana saranno smascherati e tutti i malfattori e gli intrighi ai nostri danni saranno colti sul fatto e verranno alla luce del sole.
L’Arcano numero 21 nella casa numero 7 vedrà il trionfo dell’armonia e dell’equilibrio originario, il ripristino della legge degli Dei, il ritrovato Paradiso terrestre, la fratellanza universale tra le creature, la fine di ogni tentativo di egemonizzare o dominare il mondo.
Per l’Arcano numero 21 in sintesi non esistono valenze negative; viene meno il concetto applicato a tutti gli Arcani maggiori che presentano un aspetto positivo ed uno negativo.
Le origini
Ogni discorso filosofico dovrebbe rispondere ad una questione essenziale ed ineludibile: il problema annoso ed irrisolto delle origini: le nostre e quelle del Mondo in cui viviamo.
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove stiamo andando? Questi tre massimi quesiti esistenziali, ancora avvolti da misteri, nel nostro Discorso sono stati affidati all’intuizione di Edipo che risponde ai quesiti che la Sfinge gli sottopone. Il mito nel tempo si è intrecciato con la storia della filosofia e la religione ha monopolizzato per l’eternità l’interrogativo, e in parte sembra vi sia riuscita. I progressi della ricerca scientifica oggi si scontrano con la creazione dal nulla, opera del Dio unico. Il Sommo Fattore muove il sole e le altre stelle? Il monismo teocratico di fatto impedisce la crescita intellettuale delle masse succubi dell’educazione e della cultura religiosa. Questi i dati di fatto incontrovertibili.
Il nostro Discorso ha cercato di ricostruire le origini dei Tarocchi alla luce della filosofia dei Numeri. A nostro avviso possiamo e dobbiamo estendere il campo d’indagine fino ad investigare sulle origini:le nostre e quelle del Mondo in cui viviamo. Dobbiamo potere ricostruire una scena credibile che spieghi in maniera logica la nostra genesi; senza farci condizionare dai dogmi religiosi e neppure da improbabili spiegazioni scientifiche, spacciate come veritiere, che neppure saremmo in grado di fornire. Seguiremo il metodo dell’intuizione logica.
Nel cercare di rispondere al problema del male, il filosofo tedesco Leibniz, coerentemente alla sua prospettiva razionalistica, definì il mondo, opera di Dio, come il migliore tra quelli possibili. Dai suoi contemporanei era considerato un genio universale. Modificò una calcolatrice inventata da Pascal per eseguire somme e la sua macchinetta con ruote dentate riuscì anche a fare prodotti. Gareggiò con Newton per avere la paternità della scoperta del calcolo infinitesimale. Occupandosi di logica e di matematica codificò un linguaggio binario basato sullo zero (il nulla) e sul numero 1 (Dio). Grazie ai suoi frequenti contatti epistolari con i Gesuiti in Cina, conobbe anche il Libro dei Mutamenti e i 64 esagrammi usati per la divinazione.
Il mondo in cui viviamo non è il migliore dei mondi possibili, ma solo uno dei molti possibili. La scienza ci dice che non è stato creato in sette giorni. Ci sono voluti milioni di anni e varie complesse trasformazioni e passaggi. Affermare che un Dio unico ne è stato l’artefice, equivale a un atto di fede. Sappiamo bene che la religione è l’oppio dei popoli; essa si fonda sulla superstizione e l’ignoranza, sulla paura della morte. La religione è funzionale alla classe dominante che detiene il potere politico ed economico su una massa priva d’istruzione. Essa costituisce il collante della società primitiva, sostanzialmente patriarcale e contadina. Nel tempo la religione è stata sistematicamente scalfita, ma è risorta miracolosamente dalle sue ceneri, come il mito della Fenice; e questo grazie al fatto che la classe egemone ha preferito riproporla in altre maniere più evolute e subdole.
Rammentiamo episodi eclatanti d’intolleranza come la crociata contro gli albigesi, bandita da Papa Innocenzo III nel 1208. La tolleranza religiosa dovrebbe essere un valore universale, e la pratica religiosa non dovrebbe influire sulle regole della società civile, laica e improntata a principi di libertà ed uguaglianza.
Ci sembra logico e intuitivo (potrebbe arrivare a questa conclusione anche il senso comune, se fosse libero d’esercitare le proprie funzioni e non fosse censurato sistematicamente dall’inconscio originario collettivo) che il mondo non è frutto del caso e neppure l’opera sapiente ed impareggiabile di un Dio unico.
Tutti sanno che la vita è possibile in quanto diversi fattori fisici e chimici la rendono tale. Noi siamo una combinazione d’elementi fondamentali: ossigeno, idrogeno, carbonio, azoto, eccetera. Dio avrebbe potuto creare dal nulla corpi perfetti incorruttibili e immortali. Sembra anche che lo abbia fatto con angeli, che non abbiamo mai avuto ancora il piacere d’incontrare, nella forma alata e leggiadra delle sacre rappresentazioni pittoriche.
Sostengono alcuni che Dio ci abbia un tempo creato felici e forti, ma che il peccato originale ci abbia fatto perdere l’innocenza e il Paradiso originario a cui eravamo stati destinati. La questione del peccato originale è un passaggio cruciale, non marginale, su cui dovremo ritornare nel corso della nostra appendice a questo Discorso.
Cercheremo di dimostrare che il mondo è frutto di un lento e graduale, sapiente progetto di un certo numero x d’essenze originarie che hanno dato vita a un mondo complesso ed interconnesso in tutte le sue parti: macrocosmo e microcosmo.
Capitolo 38
Approssimarsi all'Occulto
Nei confronti dell’occulto un dato è inconfutabile: gli strumenti logici sono a prima vista impotenti. Tuttavia l’occulto non é un dato accidentale; né può essere considerato una manifestazione naturale, bensì é tale per una somma di sapienti operazioni mimetiche dell’ente x che volontariamente si nasconde, opera svariate metamorfosi e maniere per non essere identificato.
Nessuno finora è riuscito a dimostrare che esistono veramente i fantasmi. Eppure sembra che intraprendenti spiriti dei defunti sappiano produrre fenomeni come suoni, visioni ed altre stravaganti manifestazioni. Come poi un ente, senza peso, possa produrre ad esempio il rumore dei passi su scale di legno - secondo quanto riferiscono dei testimoni, anche in buona fede - ci sembra alquanto paradossale, e meriterebbe un’attenta disanima. Intuitivamente possiamo solo supporre che i rumori vengano avvertiti come tali solo dalle persone che subiscono l’interazione spiritica e ne sono gli agenti.
Sono stati scritti libri importanti sullo spiritismo. Esiste anche una forma di religione, piuttosto diffusa in Brasile, che assegna agli spiriti compiti educativi, morali. Tuttavia nessuno ha fornito prove scientifiche dell’esistenza degli spiriti; che medium accreditati affermano di riuscire a contattare. Durante le sedute spiritiche un gruppo di persone evoca l’anima di un sedicente defunto che interagisce con i presenti e risponde ad alcune domande. In questo caso allora siamo veramente riusciti a dialogare con uno spirito? Taluni sostengono di sì; ma non esistono prove certe ed attendibili. Il paranormale resta un enigma insoluto.
L’uomo, secondo alcuni filosofi, possiede un’anima immortale, destinata persino a un ciclo indefinito d’incarnazioni per purificarsi. Invero siamo piuttosto scettici sul fatto che l’anima sia innata; piuttosto riteniamo, sulla scia del sensismo di Condillac, che siamo le sensazioni a produrre la conoscenza e a fare scaturire la coscienza. La complessa funzione celebrale ci consente d’interagire con la realtà circostante; essa accumula dati sensoriali, li elabora e il nostro cogito ergo sum è il prodotto delle sinapsi e delle connessioni nervose. Le cellule celebrali sono sublimi: senza di esse non avremmo musica, arti figurative, letteratura, arte culinaria, sesso, sport. Nulla. La cellula sa come crescere, come specializzarsi, come posizionarsi nello spazio e nel tempo. Essa opera in base al codice genetico: un programma piuttosto complesso.
Gli evoluzionisti hanno intravisto che vi sono dei percorsi, di cui l’uomo sarebbe il prodotto finale, più eccelso. I teisti vedono la mano provvidenziale di Dio. Che un unico ente, da solo, abbia realizzato un mondo così complesso ed articolato è piuttosto improbabile.
Siamo liberi pensatori scettici. Sosteniamo che Dio, forse più dei fantasmi, è indimostrabile. Un dio unico costituisce solamente una risposta comoda, edificante, rassicurante ai grandi temi esistenziali irrisolti.
Dio è una rappresentazione funzionale al disegno dell’occulto. Paradossalmente si nasconde alla maggioranza degli uomini e si manifesta ai pochi mistici che giurano d’avere ascoltato la sua voce ed interpretato le sue volontà. Non siamo neppure sfiorati dal pensiero che alcuni di loro siano stati in mala fede; anzi riteniamo che erano tutte persone degne del massimo rispetto e che la voce che hanno udito non era quella di Dio, ma la voce del proprio inconscio originario collettivo: il Grande Occulto, che da secoli plagia coscienze, forgia credenze, promuove santi ed eroi, esalta scriventi, mortifica i diversi, destinandoli al silenzio e alla follia (come Nietzsche).
Immaginiamoci a come sarebbe stato il corso della storia senza il fardello delle religioni, che si sono contrapposte e massacrate da secoli, nel nome di Dio. Saremmo stati liberi, sapienti; invece siamo asserviti ed ignoranti.
Questo Discorso sopra la natura e le origini dei Tarocchi, alla luce della filosofia dei numeri pretende d’investigare l’occulto, di smascherarlo. Dobbiamo spalancare la porta del Tempio della conoscenza che la Vestale custodisce, insieme alla Sfinge da tempo immemorabile. Dobbiamo avere il coraggio di dire la verità che gli scriventi hanno camuffato, grazie alle forze occulte che l’inconscio originario collettivo asservisce ai suoi voleri. Dobbiamo fare luce sulle origini. Dobbiamo fare tabula rasa secondo i dettami propedeutici della filosofia di Cartesio; il quale, forse per non essere processato per eresia, o meglio per essere stato manipolato dal suo stesso inconscio, ritorna verso Dio, dopo essere partito dal cogito.
Osiamo, possiamo, dobbiamo, sappiamo. Abbiamo solo dimenticato. Conoscere, secondo Platone, è ricordare il mondo delle idee; ripristinare il contatto con le essenze originarie da cui il mondo attuale è scaturito.
Prima del peccato originario, l’uomo primordiale viveva in armonia con la natura e le altre creature viventi; era innocente, felice, sano. Conosceva le proprie origini. Riascoltiamo le parole di Rousseau sul mito del buon selvaggio e condividiamole!
Un evento ha infranto l’equilibrio originario: il peccato compiuto a ridosso delle origini. Se sapremo fare luce su questo evento primordiale, avremo svelato la natura capricciosa e minacciosa dell’occulto che sovrasta le umane sorti.
Se un’appendice ad un trattato sui Tarocchi sarà capace di compiere quest’ardua impresa, ciò potrebbe essere imputato ai meccanismi preposti all’evoluzione della specie. Miliardi di uomini si sono interrogati e non hanno saputo rispondere ai grandi quesiti esistenziali: chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Forse, per un accidente del percorso evoluzionistico, potremmo essere gli artefici di una svolta che segnerebbe il corso della storia della filosofia.
Capitolo 39
Ipse dixit
Anticamente l’ipse dixit veniva associato all’autorevolezza della filosofia di Aristotele, divenuta la spina dorsale del pensiero scientifico e della stessa teologia cristiana, che lo aveva assimilato. Il pensiero aristotelico, durante tutto il Medio Evo, venne accettato acriticamente e non poteva essere messo in discussione. Quindi la terra rimase per secoli al centro dell’universo, e la rivoluzione scientifica operata da Copernico fu ostacolata fortemente dalla Chiesa cattolica. Oggi tutto ciò, forse, fa anche sorridere e viene alquanto sottovalutato. Non si riflette a sufficienza sul peso che le autorità religiose (cattoliche, ortodosse, protestanti) ebbero sulla vita sociale e politica del continente europeo.
Napoleone Bonaparte è stato il primo Imperatore che ha voluto, nella Chiesa di Notre Dame a Paris, incoronarsi da solo. Il Papa, nella celebre raffigurazione pittorica di David, compare in secondo piano ed assiste come spettatore. Dietro questo gesto v’è la cultura laica che aveva da poco prodotto la rivoluzione francese, di cui il generale Bonaparte era stato il fedele scudiero. Il gesto simbolico di Napoleone resta come esempio della volontà laica di instaurare uno stato separato dalla Chiesa, svincolato dai suoi dogmi e credenze religiose. Non è un problema da poco, specialmente oggi, se pensiamo che l’islam resta una teocrazia di stampo medievale.
In passato le classi sociali erano ben differenziate e riconoscibili: nobiltà, borghesia, terzo stato (contadini e proletari). Noi proponiamo una visione inedita del popolo suddiviso non in base al censo, bensì in base alle capacità intellettuali, alle attitudini, agli interessi: pensanti, scriventi, parlanti.
Il popolo degli scriventi, al servizio del Grande Occulto, orienta e plagia il popolo dei parlanti, interpreta le volontà dell’ipse dixit, scrive libri che vengono divulgati, pubblicizzati, premiati; in passato ha anche redatto libri Sacri, indiscutibili, come la Bibbia ed il Corano.
Il popolo dei pensanti non è asservito al pensiero dominante, ha una coscienza critica, pensa con la propria testa ed agisce in maniera autonoma, indipendente.
Ovviamente tra queste tre fasce simboliche di persone (non sono fasce sociali) vi sono dei flussi, degli scambi reciproci, delle interazioni. Esse non sono statiche, ma dinamiche.
Tutti noi siamo stati, in tempi diversi, parlanti, scriventi e pensanti. Le trasformazioni possono essere rapide, o più graduali. Esse sono possibili, o impossibili. Dipende tutto dal contesto sociale, temporale, psichico nel quale siamo inseriti e con il quale interagiamo. Tutto dipende anche dalla nostra volontà d’essere artefici, o meno del nostro destino. Noi possiamo essere, se lo vogliamo, pensanti, scriventi, o semplicemente parlanti.
Un tempo, prima d’uscire dallo stato di natura, a cui eravamo destinati prima del peccato originario, siamo stati anche delfini, gufi, aquile, fiori profumati ed alberi, come pioppi, pini, querce.
Oggi siamo confinati nella nostra quotidiana ansia e routine esistenziale. Non sappiamo più chi siamo stati; lo abbiamo dimenticato. E neppure vogliamo veramente ricordare le nostre origini. Perché abbiamo una terribile paura di guardarci dentro. Di ammettere che siamo stati ingannati; che ci siamo sbagliati a restare in silenzio per secoli, senza ribellarci, senza volontà d’essere liberi, veramente e pienamente.
Sarà arduo, ma non impossibile dare voce alla nostra coscienza, senza essere imbrigliati da una rete sofisticata di sottili, invisibili ipse dixit. Incontreremo sigilli, lacci, freni di ogni tipo e alla nostra voce imporranno il silenzio. Sembra che i grandi misteri debbano restare tali. Svelarli, metterebbe in crisi il sistema d’idee che sta praticamente in piedi da quando l’uomo è uscito dallo stato di natura.
Capitolo 40
Politeismo, monoteismo, progetto intelligente
Un dato di fatto è inoppugnabile: l’uomo vive, interagisce e dipende dall’habitat in cui vive: il mondo. Esistono interazioni tra microcosmo e macrocosmo. Il Sole, la Luna e le Stelle esercitano influssi benefici sulle creature sottostanti. Apparentemente siamo gli unici animali ragionevoli in grado d’interrogarsi sulla natura del mondo in cui vivono. Alle altre forme viventi, considerate inferiori, attribuiamo funzioni vegetali, animali; tuttavia neghiamo loro le facoltà intellettive che contraddistinguono l’uomo. Tuttavia finora non siamo riusciti a spiegare le origini miracolose della vita. E ci interroghiamo se esistono altre forma di vita intelligenti negli altri pianeti.
Non abbiamo ancora capito che il resto del vivente, le piante, i minerali sono l’espressione di una energia cosciente ed intelligente che attraversa e permea tutto l’universo. Un unico ente non può essere stato l’artefice del tutto. Il Mondo è un progetto intelligente frutto di enti, o essenze. Svariati dei originari hanno ideato, progettato, creato il mondo che è un’emanazione, una manifestazione di dei che gli antichi uomini intuitivamente adoravano, fino a quando le religioni monoteistiche non spazzarono via quasi del tutto ogni forma di culto animistico e le altre divinità che i pagani adoravano.
Il politeismo era assai più vicino alla realtà di quanto lo sia il monoteismo che si è consolidato quasi ovunque. Culti pagani certamente ancora esistono; ma in forma piuttosto circoscritta costituiscono una nicchia, un retaggio del passato e non hanno voce, non esprimono i convincimenti radicati nella stragrande maggioranza della popolazione. Comunque anche tra i paesi che abbracciano una fede monoteistica vi sono degli atei, degli scettici, che conducono un’esistenza all’insegna dei valori materiali e forse neppure credono che esista un’anima immortale.
Oggettivamente le religioni servono ancora alla classe dominante per controllare il popolo, i sudditi. Lo hanno dimostrato autorevoli filosofi in passato. Credenze, superstizioni fanno parte di un retaggio antichissimo che non sparirà mai. In nome della religione vi saranno sempre individui disposti ciecamente ad obbedire, combattere ed uccidere. Purtroppo l’intolleranza ancora persiste e divide i popoli della terra.
Milioni di uomini non sono attraversati dal dubbio e non prenderanno mai un libro in mano; ma adoreranno Dio in maniera fanatica e totale. Sarà sempre così, per l’eternità. A nulla serviranno le scoperte scientifiche e le parole dei filosofi. Ci siamo domandati più volte perché tutto ciò sia possibile e solamente l’esistenza occulta dell’inconscio originario collettivo spiega il persistere del fanatismo religioso e dell’ignoranza. E nel corso del nostro Discorso più volte lo abbiamo evidenziato, per suscitare consapevolezza e spirito critico.
Forse noi siamo stati un’emanazione gli Dei. Forse presumiamo di esserlo. Forse nessuno ci leggerà; perché i meccanismi di controllo dell’informazione ci destineranno al silenzio. Sosteniamo tesi ardite, con la massima onestà intellettuale che ci caratterizza. Nonostante i venti siano avversi e sfavorevoli, perennemente alimentati e sfiorati dal dubbio cartesiano, siamo qui per svelare l’occulto che ci ha sovrastato per millenni, oscurando la ragione e le vere origini della specie umana. Oggi però, in questo preciso frangente, ci sentiamo veramente più vicini agli Dei, perché ci mettiamo in discussione e non diamo per scontate verità acquisite.
Se un uomo qualunque si guardasse veramente allo specchio, saprebbe, anche senza grandi strumenti culturali, rispondere ai grandi quesiti esistenziali. Se non lo fa e perché non vuole conoscersi, preferisce non sapere; e questa stasi della coscienza è indotta sapientemente dall’inconscio originario collettivo.
Forse noi, artefici del presente Discorso, siamo più vicini agli Dei di altri. Eppure noi non siamo più intelligenti. Siamo solo più scettici.
Platone sostiene che il mondo è una copia, imperfetta, del mondo delle idee, perfetto. Aveva intuito giusto. Sempre il filosofo greco afferma che conoscere è ricordare. Aveva ancora una volta ragione e scoperto la chiave di volta della conoscenza dell’Assoluto.
Gli Dei sono assimilabili alle essenze originarie, figlie del Tao primordiale: l’Uno indifferenziato. Il Tao primordiale è il solo vero unico Dio, che si è scisso, trasformato e non è più.
Se siamo stati accanto agli Dei, o siamo noi stessi Dei; ci siamo smarriti. Abbiamo dimenticato le nostre origini. Siamo caduti nella barbarie dell’ignoranza, per nostra stessa colpa, per avere commesso un peccato di dimensioni bibliche che ha comportato l’uscita dallo stato di natura, la cacciata dal Paradiso terrestre a cui eravamo stati destinati.
Quanto dolore, quante lacrime, quanto sangue, da allora. La sofferenza più atroce, più drammatica, più infinita e ricorrente, è l’essere confinati nell’ignoranza. Il pastore errante s’interroga sul proprio destino e la natura silente non risponde. Leopardi, che non crede, non pensa minimamente d’ascoltare la voce di Dio. Attende una risposta dalla Luna. Anche noi, nel XXI secolo, lanciamo sonde nello spazio per inviare messaggi della nostra presenza ad altre forme di vita. E i radiotelescopi ascoltano la voci possibili provenienti da altri pianeti. Sono cambiati gli strumenti tecnologici a nostra disposizione; ma è sempre il pastore errante che s’interroga e confida d’ascoltare una voce amica e rassicurante.
Per rispondere ai quesiti esistenziali abbiamo solo un’unica possibilità: affidarci agli strumenti logici della ragione per sfidare l’occulto. La sola strada percorribile è una rivoluzione nella coscienza. Siamo tutti stati ingannati. Ci hanno occupato i pochi spazi di libertà interiore. Sono entrati nella nostra mente. Presidiano il nostro tempo libero. Ascoltano le nostre conversazioni. Prigionieri tutti. Abbiamo una sola chance di vittoria. Chiamare il Grande Occulto con il suo vero nome. Spodestarlo dal suo anonimato. Farlo regredire verso il Nulla. Non può restare sommerso per sempre. Deve prendere aria, luce e voce. Dovrà assumersi le responsabilità e raccontarci come veramente sono andate le cose.
Capitolo 41
Il dubbio come atto di libertà
In passato Cartesio ha ottenuto un’ampia e meritata dose di notorietà quando ha formulato la celebre affermazione cogito, ego sum; penso, dunque io sono. Sempre Cartesio si è fatto promotore del dubbio come metodo per l’investigazione filosofica. Noi vorremmo riproporre il dubbio metodico, come atto sistematico della coscienza, che, proprio mettendosi in dubbio, in discussione, si evolve in forma autonoma, senza vincoli, e trova la sua valenza più pura in quanto espressione e manifestazione di libertà.
Per attingere l’essenza della libertà, l’uomo deve necessariamente attraversare la dimensione del dubbio. Il dubbio è la manifestazione più limpida del mio essere un uomo libero. Io divento libero attraversando significativi momenti di dubbio. Esercitando l’opzione del dubbio, articolo la mia coscienza verso un gradino superiore: io mi penso soggetto attivo del mio io. Attraverso il dubbio maturo, evolvo. Non solo io penso secondo schemi logici precostituiti, ma percorro sinapsi possibili, creo nuove connessioni, una nuova coscienza superiore: dall’io penso al mi penso.
L’uomo di fede, che accetta passivamente l’ipse dixit, non esercita la propria opzione libertaria. L’uomo di fede dipende da un sistema d’idee assolute, indiscutibili, eterne, che la ragione non può assolutamente investigare.
Sostiene Rousseau, nel discorso sulle origini della diseguaglianza, che l’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene; quando, uscendo dallo stato di natura, un primo uomo ha sancito la proprietà privata affermando: questa porzione di terra è mia!’ Gli uomini, liberi ed uguali, nello stato di natura primordiale, vengono fatti schiavi dalle differenze economiche, che comportano una diversa istruzione ed un diverso grado di crescita intellettuale. I figli dei più ricchi studiano e prosperano; i figli delle classi povere muoiono per denutrizione e restano analfabeti. La libertà scopriamo che è una funzione variabile, sulla base delle possibilità economiche. Più ho soldi, più sono libero. La schiavitù è sempre esistita fin dall’antichità. Anche se è stata abolita, esistono forme mascherate di schiavitù. Non è forse la manodopera cinese sottopagata una forma di schiavitù? Le ragazze povere africane non vengono sfruttate come schiave ed avviate alla prostituzione?
La scuola obbligatoria, estesa a tutte le classi sociali, promuove l’uguaglianza e la crescita intellettuale. Riflettiamo su un dato di fatto oggettivo. Quando nasciamo abbiamo un solo bene veramente nostro: il corpo. Ebbene la scuola laica moderna, paradossalmente, non ci mette in condizione di conoscere adeguatamente le funzioni integrali del nostro corpo; non insegna come ci dobbiamo alimentare per restare in salute; non ci insegna di fatto l’igiene dentale; non ci fa capire l’importanza della ginnastica. Il corpo, che dovrebbe essere una priorità, passa in secondo piano, a favore della matematica, della storia, della letteratura, della religione. Eppure di fatto un uomo possiede solamente il proprio corpo: la macchina biologica che conosce meno e che una classe dotta e sapiente di dottori più tardi dovrà curare con farmaci prodotti dall’industria farmaceutica. Esistono di fatto rimedi naturali; la natura ha provveduto a piante medicamentose in grado di curare e di prevenire tutte le malattie; tuttavia solo una minoranza è a conoscenza delle potenzialità offerte dalla natura.
L’esercizio delle libertà più elementari è faticoso, arduo, riservato a pochi eletti e privilegiati. Il popolo dei parlanti è sempre più ampio. Gli scriventi si sono lasciati plagiare. I pensanti vengono messi a tacere, emarginati dal sistema, esclusi. Le voci ricorrenti di dissenso sono ancora ampie ed estese. Fino a quando? Fino a che punto possono incidere?
Una rivoluzione delle coscienze è ancora possibile. Dobbiamo dare voce al dubbio che sottace nella nostra coscienza. Silente da secoli deve trovare la forza d’esplodere, di sovvertire il sapere, la scienza. Solo allora non avremo più bandiere, confini, padroni, condottieri, soldati, re, sacerdoti. Saremo veramente liberi nell’anarchia primordiale dell’uomo ritornato allo stato di natura.
Capitolo 42
Il problema del Bene e del Male
Nel cercare di spiegare l’origine del mondo, l’uomo ingenuo e buono formula la tesi del Dio unico, creatore e Signore del cielo e della Terra. Nel cercare di spiegare l’origine del Male, l’uomo furbo e cattivo, ipotizza l’esistenza del Diavolo.
Il Diavolo e il buon Dio sono due facce della stessa medaglia, in quanto l’uno non può fare a meno dell’altro. La natura del Diavolo ha bisogno di Dio, e Dio pure ha bisogno del Diavolo. I due enti vanno a braccetto, sono inseparabili. Quando una filosofia nega l’esistenza di Dio, deve necessariamente negare l’esistenza del Diavolo (almeno nelle forme abituali in cui viene rappresentato).
Secondo la Bibbia, un Angelo si è ribellato a Dio. Secondo il Corano, un Angelo, invidioso per la creazione dell’uomo, si è messo di traverso ed ha fatto di tutto per tentare l’uomo ed indurlo al male. Pensare ad Angeli con gli stessi difetti degli uomini ci fa un poco sorridere. Tuttavia sembra che nessuno si sia dato da fare per sfatare certe leggende, senza alcun fondamento logico. Anzi il Diavolo gode ancora di buona salute e di una ottima reputazione e a quanto pare al suo servizio avrebbe uno stuolo di demoni malvagi che lo servono. Alcuni uomini gli hanno pure venduto l’anima. Noi, che a malapena siamo riusciti a costruirci una coscienza rispettabile, non osiamo neppure fargli certe proposte indecenti; anche perché non ci vorrebbe tra i suoi devoti e saprebbe che potremmo denigrare la sua onorata carriera. In passato i manichei attribuivano al Dio del Male poteri superiori anche allo stesso Dio del Bene; tanto che il manicheismo fu condannato dalla Chiesa in un noto Concilio; segno che la storia di questo Signore ha tenuto insonni le menti più acute. A Satana nessun bambino sembra abbia avuto il coraggio di scrivere una bella lettera nel giorno di Natale; magari per indurlo a cambiare strada e convertirsi sulla via del Bene!
Se neghiamo in maniera perentoria l’esistenza del Diavolo (come ci viene raccontato); non possiamo prendere sottogamba il problema del male: ci prenderebbero per folli. Allora cerchiamo di capire, secondo una prospettiva logica, l’origine del male e di raccontarne la genesi.
La Bibbia narra le circostanze che hanno preceduto la scrittura dei 10 comandamenti sulle Tavole della Legge. Alcuni Ebrei adoravano ancora idoli e commettevano ogni tipo di peccato. Dio volle perentoriamente rammentare per sempre a tutti gli uomini i suoi comandamenti, impressi sulla pietra a lettere di fuoco. L’episodio è emblematico e forse uno dei più importanti; a prescindere da ogni cultura e credo religioso, traccia regole di vita universali e quindi valide per ogni persona ragionevole.
Noi, sospinti da eccessivo spirito critico, ci domandiamo erano necessarie le Tavole della Legge? Non erano già nitide nella nostra coscienza; quando appunto, entrati nell'età della ragione, cominciamo a discernere il bene dal male? A nostro avviso erano già presenti in noi, se ammettiamo, sulla scia del pensiero di Kant, che esiste una morale autonoma latente nella nostra coscienza di uomini che non avrebbe bisogno di ulteriori codici morali, spiegazioni e corollari.
Caino uccide suo fratello Abele, dopo la cacciata dal Paradiso terrestre. Lo uccide perché vuole sbarazzarsi di un rivale e padroneggiare una situazione che non riesce a dominare. Nega persino di averlo ucciso, quando Dio lo chiama a rispondere del suo delitto.
Il quinto comandamento: non ammazzare è ben stampigliato nella nostra coscienza originaria. Tutti sappiamo quando abbiamo compiuto una cattiva azione. Il codice morale è quasi una forma di consapevolezza innata e non ha bisogno di un’ulteriore scrittura.
Secondo alcune credenze religiose esistono degli spiriti malvagi che ci inducono a compiere azioni riprovevoli: li chiamano demoni. Qualcuno è riuscito persino a catalogarli. E lo stesso dicasi per gli spiriti buoni: angeli, arcangeli, cherubini, serafini, dominazioni e troni.
Neghiamo che siano mai esistiti demoni ante litteram; prima della comparsa dell’uomo sul pianeta terra. Parimenti anche gli angeli così numerosi nelle sacre raffigurazioni sono il parto di una religiosità acritica che favoleggia di spiriti buoni creati da Dio prima della genesi del mondo.
Neghiamo pure che sia esistito un Satana primordiale che abbia tentato Adamo per fargli commettere il peccato originale.
L’uomo originario ha commesso un peccato per sua stessa volontà; per volontà di dominio sulle altre creature. Nessuno lo ha indotto al male. Ha scelto il male liberamente, autonomamente.
Satana non si è mai ribellato contro Dio. Satana è il parto di una favola bella che spiega in maniera piuttosto superficiale e comoda la genesi del male, imputandola ad uno spirito tentatore.
Noi scegliamo il male, quando lo vogliamo, quando ci fa comodo. Le credenze popolari, le superstizioni hanno bisogno di credere all’esistenza di spiriti malvagi che fanno parte integrante dell’immaginario collettivo. Sono secoli che ne parliamo, che li raffiguriamo; ne raccontiamo le malefatte.
La nostra coscienza, senza esserne pienamente consapevole, ospita l’inconscio originario collettivo: il solo ed unico responsabile del male e del bene, che ci sospinge a scegliere la via del male, quando si presenta come demonio; e ci sospinge verso il bene, quando veste i panni dell’angelo. La nostra coscienza, quotidianamente, viene sollecitata in una direzione, o nell’altra. Tuttavia essa sceglie il male, piuttosto del bene, in maniera autonoma; in quanto le aggrada, o le è più congeniale. Vi sono creature che provano piacere nell’essere malvagie.
Non esiste un Male assoluto; bensì esistono uomini malvagi che accondiscendono agli impulsi generati dall’inconscio originario collettivo. Il Male si è camuffato nelle forme più subdole ed impensabili; lui, l’inconscio originario collettivo, ora angelo buono, ora demone malvagio, ha saputo tessere la trama di una rappresentazione infinita, grazie alla quale veri farabutti incalliti ed integrali possono ottenere sconti di pena, fare la parte delle vittime, addurre scuse, chiedere perdono, pentirsi e piangere per le malefatte. Il Male nel tempo, grazie ad un impianto giudiziario, sempre più permissivo e fragile, si è costruito una sorta d’impunità permanente, a tutto vantaggio del ceto benestante che può permettersi di garantirsi la difesa di illustri maestri del foro.
Capitolo 43
L'inconscio originario collettivo
Tra evoluzionismo e creazione
Il pensiero scettico
In cauda venenum, o dulcis in fundo? In entrambi i detti latini v’é un fondo di verità. Alle fine, dicevano i nostri nonni, i nodi vengono al pettine, in un modo, o nell’altro, o velenosamente, o dolcemente.
Che l’uomo sia al vertice delle creature viventi è indubitabile; ha prodotto scrittura, arte, musica, edificato cattedrali; si è distinto in chimica, biologia, informatica. Profeti autorevoli hanno dialogato con Dio, il quale avrebbe messo a disposizione delle creature umane un’anima immortale e un intero pianeta da colonizzare. Crescete e moltiplicatevi in mio nome avrebbe detto il Creatore.
Tuttavia riteniamo che nel processo descritto dai fautori dell’evoluzionismo qualcosa non torna e neppure siamo in sintonia con il monismo teocratico, secondo cui il creato emana da un unico ente: Dio.
Il Grande Occulto
Per sfuggire ai collaudati ingranaggi, fatti apposta per il controllo degli scriventi, ci siamo infiltrati attraverso le maglie della rete. Divenuti sempre più microscopici, proprio nell’infinitamente piccolo abbiamo intravisto un’impercettibile anomalia, che abbiamo battezzato inconscio originario collettivo. Gli abbiamo chiesto se voleva concedere un’intervista. L’inconscio si è guardato bene dal risponderci. Del resto è in silenzio da secoli. Anche se volessimo invitarlo a partecipare ad un pubblico dibattito, neppure si presenterebbe. E troverebbe una miriade di scriventi disposti a sostenere la tesi che non esiste ed è solamente il frutto di una farneticazione.
Come nei film gialli, dove l’investigatore che ha dipanato la matassa scopre alla fine il misterioso assassino, cercheremo di attestare, con tanto di documento di riconoscimento, l’esistenza dell’inconscio originario collettivo, nascosto tra le pieghe della nostra coscienza; il quale si presenta a volte sotto forma di angelo custode, a volte come diavolo tentatore. Noi gli abbiamo conferito, nel corso della stesura del Discorso, l’appellativo di Grande Occulto, che crediamo lo abbia inorgoglito, tuttavia non lo ha scalfito minimamente.
Mettere a fuoco l’inconscio originario collettivo
‘Nel passato l’interpretazione dei sogni era affidata a vere e proprie istituzioni sociali oracolistiche. Secondo le antiche credenze, l’oracolo manifestava la parola divina trasmessa agli uomini in un dato luogo, da persone consacrate al culto di una divinità. Nella Bibbia degli Ebrei si hanno molti esempi di sogni profetici. Anche nei Greci si crede nel carattere soprannaturale del sogno profetico, molto diffuso nelle opere di Omero. Nel secondo secolo dopo Cristo, con la sua Oneirocritica, Artemidoro, nativo di una cittadina della Lidia, distingue i sogni profetici da quelli originati dal presente e dal passato. Secondo il greco dunque la natura del sogno è triplice e riesce a coprire uno spazio temporale assai vasto. Con Platone, nella Repubblica, i sogni liberano gli impulsi repressi, per l’attenuarsi del controllo durante il sonno e la sua teoria anticipa la concezione freudiana. Anche Ippocrate mostra di avere vedute moderne, perché è convinto che dall’analisi del sogno si possano ricavare diagnosi mediche.’ Questo riferisce l’Enciclopedia filosofica Sansoni alla voce sogno.
Con l’evolversi delle discipline connesse alla psicologia, l’attività onirica è stata analizzata in maniera abbastanza approfondita e si è appurato che durante il sonno profondo, detto anche REM, l’attività celebrale è particolarmente intensa e in questa fase prendono consistenza i sogni che lasciano anche una traccia visibile quando si effettua un elettroencefalogramma.
Da alcune recenti ricerche di laboratorio risulta che anche alcune specie animali sognano. E’ stata dimostrata un’attività di sonno REM nel gatto ed anche nel delfino. Per estensione possiamo supporre che gran parte del mondo animale sogna.
Secondo alcuni studiosi, sarebbe più dannoso per un uomo privarlo della sua possibilità di sognare, che diminuire artificialmente la sua necessità di dormire. Questo dice molto sull’importanza di un fenomeno psichico su cui è comunque difficile indagare, a torto considerato come un fatto secondario. Sognare di per sé è piacevole, tanto che nel linguaggio comune la parola sognare aiuta a superare le miserie del quotidiano.
La funzione celebrale del sogno è utile e necessaria alla psiche. Pare dimostrato che il sonno di regola sia accompagnato dal sogno, anche se il più delle volte non lascia traccia nella nostra memoria conscia.
Secondo gli antichi, il sogno era procurato da entità benefiche. E il dolce sonno era ambrosia e regalo degli dei. Il sonno e il sogno insieme coniugavano miti e credenze e suscitavano l’attenzione d’indovini e poeti.
Sognare è un fatto naturale e fisiologico, come il respirare e il bere, ma per questo non dobbiamo pensare che sia altrettanto semplice, anzi si tratta di un fenomeno complesso che coinvolge la mente e l’attività celebrale.
Le visioni oniriche non possono essere ancora registrate da una telecamera; solo il paziente può raccontare i suoi sogni e conserva una specie di diritto esclusivo sulle immagini e sulle situazioni vissute. Nessuno quindi ha la possibilità d’entrare nella dimensione onirica di un'altra creatura, perché essa è patrimonio esclusivo della mente e la scienza pure deve segnare il passo, perché non possiede gli strumenti adatti per verificare i contenuti di un sogno.
Abbiamo iniziato a curiosare nello strano mondo onirico fin da ragazzi. Spesso siamo rimasti sorpresi e irritati per avere perso il filo di un sogno e abbiamo anche escogitato un modo pratico per riprenderlo, quando s’interrompeva improvvisamente per un risveglio improvviso.
Stranamente alcuni sogni ricorrenti, dai contorni enigmatici e inquietanti, diventano una persecuzione e si tramutano in incubi a cui stentiamo a dare una spiegazione logica. Certo il sogno nella sua essenza sfugge a una rigorosa analisi e forse proprio per questo ha suscitato l’attenzione dello psichiatra Sigmund Freud.
Secondo l’analista viennese, il meccanismo psicologico della censura operata dal Super-Io interviene sui sogni, i cui contorni sono alterati, fino a renderne illeggibile e incomprensibile il contenuto. La censura sui sogni, qual è concepita da Freud, riflette il clima della repressiva morale borghese del suo tempo, di cui sono vittime le sue pazienti, incapaci di liberarsi da un’educazione rigida e puritana che negava dignità alla sessualità femminile.
Scandalizzando i benpensanti, Freud scopre la forza prorompente dell’eros ed opera una forma di legittimazione e di liberazione dello stesso. Proprio analizzando i sogni, fa il suo ingresso prorompente in scena l’inconscio, riportato alla luce dalla marginalità in cui era stato confinato dai filosofi antecedenti.
Tutti i sogni, secondo Freud, sono la realizzazione allucinata di un desiderio, o di una tendenza in parte inibita. Tale affermazione è da considerarsi riduttiva.
La tesi di Artemidoro, ossia la sua distinzione tra sogni profetici e quelli originati dal presente e dal passato, è particolarmente affascinante e ricca di stimoli.
Oggi prevale una visione naturalistica del sogno, risalente ad Aristotele, che lo considera una forma di attività psichica pura e semplice durante il sonno. Dobbiamo spogliarci di questo paludamento neopositivista e logico, per andare a recuperare la valenza poliedrica insita nella natura del sogno, a cui faceva allusione Artemidoro.
La grande scoperta freudiana è riuscita a dare uno spessore insospettato al Super-Io, nel ruolo di un censore, simile a un Dio mosaico che legifera con le sue Tavole della Legge.
Potremmo ribattezzare il Super-Io, la componente psichica inconscia, con il termine inconscio originario, mettendone in luce non solo la natura nascosta, ma il legame profondo che esso ha con le nostre oscure origini, di cui resta l’unico spettatore credibile, perché saprebbe rispondere, senza timore di sbagliare, agli eterni interrogativi formulati dalla mitica Sfinge.
Potremmo supporre anche che l’inconscio originario non sia puramente un semplice elemento individuale, scaturito dall’ambiente esterno e dall’educazione, ma che esso sia una fondamentale componente genetica ed ereditaria.
L’errore di Freud è stato di avere sottovalutato la polivalenza dei sogni, intuita da Artemidoro, per piegarli alla morale repressiva borghese. Freud non riesce a liberarsi della morale corrente che aveva introiettato ed era ben radicata nella sua persona.
Nel riappropriarci di Freud, vogliamo coniugare insieme l’inconscio e la censura onirica, per confrontarci con un dato psicologico rimasto all’oscuro per secoli e spesso frainteso e definito con termini approssimativi e riduttivi.
Chiameremo questo nascosto dato psicologico con il termine di inconscio originario collettivo, IOC. Affermare che esiste un quid psichico di natura genetica, non significa condividere i fondamenti dell’innatismo, il quale sostiene che alcune idee fondamentali non derivano dall’esperienza, ma sono presenti nella psiche fin dalla nascita.
L’anima è una credenza filosofica e religiosa, un postulato che andrebbe però dimostrato e la coscienza non esiste prima dell’esperienza. Se il concetto di persona è un indubbio valore; non significa che ogni individuo possa sviluppare un’anima immortale svincolata dal corporeo, senza un’adeguata crescita morale e intellettuale.
I programmi presenti nel DNA determinano lo sviluppo delle cellule per assolvere determinate funzioni. I neuroni celebrali sviluppano la coscienza e un particolare segmento, molto recondito, del DNA sviluppa anche l’IOC: l’unico che conserva memoria della genesi del tutto. Proprio l’IOC sta alla base della coscienza superiore delle creature umane; esse sono determinate e scrutate da un vigile occhio indagatore che ne orienta lo sviluppo psichico e la conoscenza, oscurando le origini e ponendo le basi dell’occulto, del mistero, del deus absconditus della teologia.
Questo inconscio originario collettivo finora intravisto da Freud e Jung, ancora non è stato messo a fuoco nitidamente per diversi motivi che analizzeremo di seguito.
Innanzi tutto osserviamo che ogni individuo è diverso da un altro ed è vero, ma si dimentica che la specie umana è una. Anche l’inconscio originario collettivo è uno e non varia da un individuo a un altro. Nella persona l’IOC non è attivo, ma latente, nascosto sotto la coscienza.
L’individuo tende a primeggiare e a oscurare naturalmente il proprio IOC. Esso deve mettersi da parte, per consentire al singolo di sviluppare una propria psiche autonoma ed originale.
Il progetto della specie umana originaria non è detto che coincida con i vari progetti individuali. Hegel, ad esempio, parla di un’astuzia della ragione nella Storia e vede lo Spirito manifestarsi nel progetto egemonico di Napoleone, inconsapevole strumento.
Se l’IOC non fosse latente, rischierebbe di compromettere la naturale e graduale crescita del singolo individuo.
Tutti gli uomini, almeno una volta nella vita, hanno ascoltato una voce interiore: essa parla, orienta, consiglia. Tale voce spesso è chiamata con i termini più disparati: spirito guida, angelo custode, la stella protettrice, la parola di Dio. La denominazione cambia secondo le credenze della persona.
La voce interiore è riconducibile quella dell’IOC, anche se per ovvi motivi ci fa comodo pensare che non sia nostra.
L’IOC ha una sua memoria originaria, conosce bene la natura del progetto. Se riuscissimo a farlo parlare potrebbe svelarci molti misteri. Purtroppo ostinatamente tace da secoli e vive camuffato nei meandri della psiche.
Ogni specie vivente possiede un proprio IOC.
Gli insetti, ad esempio le formiche, hanno comportamenti abbastanza uniformi che manifestamente dimostrano l’esistenza di un’unica coscienza collettiva.
Nell’uomo la singola individualità sembra avere preso il sopravvento e avere soverchiato in parte l’IOC, il quale si è abilmente camuffato scavandosi una nicchia, per sopravvivere anche a scapito dei singoli.
Ogni conflitto di natura psicologica è riducibile a un conflitto tra l’Io e l’IOC.
Esiste un perverso meccanismo di rimozione e manipolazione dei sogni. Un Inquisitore psichico si arroga il potere d’intervenire e cancella a sua discrezione una determinata situazione onirica, rendendola confusa e incomprensibile.
A prescindere dalle teorie, fondate o meno, siamo tutti consapevoli che esistono diverse categorie di sogni. Alcuni sono semplicemente ricordi delle esperienze vissute nel corso dei giorni più prossimi, che la fantasia e la mente mescolano, unitamente a desideri erotici non soddisfatti, a vagheggiamenti infantili di volare, o di visitare mondi fiabeschi mediati da letture fantastiche. Altri sogni hanno invece un altro spessore, una valenza più nitida, perché i luoghi e le creature sono pregni di vita e di colore e sembrano appartenere a un'altra dimensione nella quale, proprio in virtù del sonno, ci siamo inspiegabilmente trasferiti e di cui conserviamo una certa indefinita memoria. Non riusciamo a padroneggiare questi sogni, perché alcuni elementi sfuggono, diventano, con lo scorrere del tempo, sempre più evanescenti e bisogna correre lesti a scriverne delle tracce su di un foglio per poi poterli in parte ricostruire.
Certi sogni possono essere definiti premonitori, sembrano messaggi che qualcuno ci sta inviando, per renderci partecipi di verità che un oscuro censore cerca sempre in qualche modo di cancellare. Dunque una parte della coscienza è come illuminata dai sogni e gli orizzonti cognitivi si dilatano; nello stesso tempo un meccanismo psichico perverso fa da filtro e cancella i ricordi.
Esiste dunque un Inquisitore psicologico, perché ne sperimentiamo gli effetti proprio nel momento in cui andiamo a inseguire invano i ricordi dei sogni fuggenti. Esso ha tutta l’aria di essere un corpo estraneo al fenomeno tutto naturale del sogno, oggi inquinato, che in passato doveva avere una precisa funzione: quella di metterci in diretta comunicazione con il mondo originario da cui siamo venuti.
Il sogno un tempo era la risposta naturale agli interrogativi di Edipo, ma la censura opera proprio con l’obiettivo precipuo di cancellare i nostri ricordi, di offuscarli.
Quei ricordi originari paleserebbero l’inganno secolare perpetrato dagli scriventi al popolo dei parlanti, spodesterebbero la secolare custode dal Tempio della conoscenza, renderebbero inutili tutti i libri sacri, i suoi vati e tutte le istituzioni fondate su principi indiscutibili, ma senza alcun fondamento.
Il censore onirico fa uscire l’uomo dallo stato di natura originario e lo trasferisce in un universo di conoscenze fittizie, controllate, con i suoi misteri, i suoi profeti, perché solo cancellando i ricordi può fondare ed estendere la sua egemonia, manipolare coscienze, controllare creature obbedienti, talora potenti ma servili, oscurando in loro l’originaria libertà di esistere.
Il sogno anticamente era soprattutto una porta spalancata sul passato e sul futuro. La sua funzione naturale originaria è stata adulterata dalla censura onirica: un meccanismo indotto dall’IOC, il quale è anche capace di elaborare le più svariate forme di controllo della coscienza individuale: seleziona gli scriventi, li orienta, li tacita, plasma la classe dirigente, controlla i mezzi d’informazione. L’IOC ha sostituito il politeismo con l’integralismo monoteista e ha cancellato il ricordo originario del mondo progettato dagli dei.
La censura onirica è un fenomeno indotto, frutto e prodotto perverso dell’inconscio originario collettivo.
Oggi però noi possiamo recuperare il valore essenziale delle quattro virtù ermetiche della tradizione alchemica, sapere, volere, osare e tacere, per fonderle in una sola possente virtù: sapere di sapere. Grazie a questa formula siamo perfettamente consapevoli che, come aveva intuito già Platone, per conoscere dobbiamo solo ricordare, ossia recuperare la nostra dimensione originaria perduta.
Il processo intentato a Socrate dimostra che i guardiani degli scriventi sono attivi da secoli. La sua dottrina maieutica era giudicata pericolosa, non perché corrompeva i giovani e metteva in discussione le divinità adorate dagli ateniesi, ma bensì perché divulgava un modo di pensare pericoloso: ne sarebbe rimasta intaccata l’essenza stessa dell’IOC.
L’età dell’innocenza e l’età della ragione
Secondo la psicologia evolutiva un bambino passa dall’età dell’innocenza a quella ragione, quando appunto comincia a ragionare, ad interrogarsi, come fanno gli adulti della sua specie. Questa trasformazione viene vista come una crescita, una diversa consapevolezza del mondo che lo circonda. In passato, nell’Ottocento, quando la civiltà era ancora in parte contadina, la transizione tra l’innocenza e la ragione avveniva tra i sei e i sette anni. Oggi con la televisione e il computer e i telefoni portatili, pensiamo che tale transizione avvenga anche prima, forse già a cinque anni. Tutti sono concordi nell’affermare che i ragazzi non giocano più come una volta, che non sono più spensierati e trascorrono ore ed ore di fronte ai videogiochi e agli schermi a cristalli liquidi. Dunque l’ambiente che ci circonda determina i nostri cambiamenti evolutivi ed influisce sui tempi e sui modi di abbandono dell’età dell’innocenza. Vi sono bambini ingenui che scrivono lettere a Babbo Natale fino ad otto anni. Altri le scrivono a Bambin Gesù, perché li aiuti a restare buoni.
Angioletto di Gesù, fá ch’io t’ami sempre più. Angioletto del Signore, fà ch’io t’ami a tutte l’ore. Angioletto del Buon Dio, fà ch’io cresca buono e pio. Angioletto di Maria, siate la salvezza dell’anima mia...... I fondamentali religiosi vengono inculcati appunto nei bambini. Cresima, comunione, confessione. Siamo stati anche noi presi dall’ingranaggio.
La transizione tra l’età dell’innocenza e l’età della ragione tuttavia sembra non influisca abbastanza sulle credenze religiose, che anzi si rafforzano, si solidificano in virtù del fatto che il contesto sociale le rende più credibili, in quanto la pratica della comunità ce le offre quotidianamente; e la droga soporifera religiosa, sottilmente, ci ottunde la ragione e paradossalmente scopriamo che l’età dell’innocenza sarebbe stata più cauta ad accettare passivamente rituali, che neppure i bambini giudicherebbero doverosi e credibili.
Lo stato di natura: età dell’innocenza
La terza via: un progetto intelligente
Facciamo un esempio apparentemente banale, tuttavia efficace. Immaginiamo d’edificare un’abitazione. A tale scopo dobbiamo contattare una ditta credibile ed affermata sul mercato per realizzare un progetto che risponda ai nostri bisogni. Non possiamo improvvisare; affidarci alla casualità. Nessuna abitazione nascerà in pochi giorni. Ci vogliono permessi. Scavi adeguati. Materiali di qualità. Provetti artigiani. Mesi per portare a temine il tutto.
Noi pensiamo che anche il mondo, proprio per la sua complessità, abbia avuto bisogno, come nell’esempio precedente, di un progetto intelligente a cui hanno concorso molteplici fattori ed hanno contribuito svariati enti, o essenze, o principi originari, o dei. Il mondo non è scaturito da eventi casuali, fortuiti che hanno fatto scoccare la scintilla della vita.
Il mondo è il frutto di un progetto intelligente e la sua genesi non può essere fatta risalire solamente ad un unico Ente, perfetto che sia. Se, da un punto di vista logico e razionale, voglio spiegare la genesi del mondo; debbo, come nell’esempio iniziale, per forza pensare a un progetto intelligente a cui hanno collaborato diversi enti.
Ci sorprende che tale terza via che spiega la genesi del mondo nei secoli sia stata disconosciuta, oscurata e siano prevalse due tesi tra loro opposte: la creazione ad opera di Dio; e la casualità e l’evoluzionismo della scienza moderna. Un detto latino suona: in medium stat virtus. Se dunque la verità virtuosa sta nel mezzo, perché negli ultimi secoli sono prevalse due vie antitetiche, opposte, che si elidono e si combattono a vicenda; malferme ed insoddisfacenti sul piano logico e razionale?
L’Assolutismo dei Re assomiglia stranamente all’assolutismo delle religioni monoteistiche. L’Assolutismo dei Sovrani è stato messo in crisi definitiva nell’età dei lumi, che però, guarda caso, non è riuscita a scalfire l’assolutismo delle religioni monoteistiche.
Noi scettici conosciamo solo la nostra ragione. Noi siamo perché vogliamo, osiamo, sappiamo. Il resto, al di fuori di noi, è il silenzio. Il silenzio di Dio, appunto. Dio risorge quando lo pensiamo come esistente. Per questo le religioni monoteiste non morranno mai ed avranno sempre milioni di proseliti.
Genesi: dilemma insoluto
E’ nato prima l’uovo, o la gallina? Tale quesito, se viene posto ad un eminente scienziato, mette in difficoltà le sue competenze enciclopediche. Certo potrebbe rispondere che nel famoso brodo primordiale si é sviluppata una cellula, la quale si è aggregata ad un altra per formare un organismo vivente. Nel mare i pesci sono diventati anfibi e poi sono comparsi i mammiferi.
Queste tesi evoluzionistiche sono note e sono state illustrate da rispettabili ricercatori che si sono posti il problema della comparsa della vita, alla luce delle competenze scientifiche attuali. Lungi dal criticarli, nel metodo; vogliamo porre una questione più complessa che riguarda la genesi di una pianta: la più elementare possibile.
Si afferma che agli albori tutto il pianeta era ricoperto di acqua. Poi le acque si sono ritirate e sono comparse le piante: le quali secondo quanto sappiamo nascono da un seme. Come ha fatto il seme presente nella terra primordiale ad aggregarsi come tale nel fondo degli oceani che sommergevano tutta la terra? Può il brodo primordiale aggregarsi per dare vita una cellula che diventando più complessa ha dato poi origine ad un seme?
Il seme di per sé presuppone un progetto intelligente. Come hanno fatto miliardi di semi a svilupparsi nella terra primordiale per una serie di casualità? Non è credibile che ciò possa essere stato deputato al caso. Forse é più probabile che un’astronave extraterrestre carica di semi abbia colonizzato la terra e il pianeta. O forse erano venuti in terra uno stuolo di angeli inviati da Dio a portare tante gerle di semi. Non lo diciamo con ironia; ma con rispetto. Riteniamo a questo punto del nostro ragionamento che la probabilità di un’assemblarsi di miliardi di semi avvenuto casualmente sia quasi prossimo allo zero per cento. A nostro avviso il tanto conclamato brodo primordiale non spiega la genesi dei semi. A meno che piante già con semi siano nate in fondo alla terra e da microscopiche siano poi diventate giganti tali da cambiare lo stesso clima del pianeta, prima della comparsa degli animali. Il dilemma insoluto, alla luce della ragione e delle nostre conoscenze attuali, resta tale. Lo spartiacque di tutto scaturisce proprio dalla miracolosa comparsa delle piante che hanno reso possibile la vita degli altri animali che sono poi venuti a popolare la terra. Le piante: riserva di ossigeno, produttrici di azoto, combustibile alimentare per tutte le future creature provenienti dal mare.
Una pianta (il che ha sorpreso non poco gli scienziati) ha un DNA che è quattro volte più complesso della specie umana. Trasforma la luce solare in energia. Produce frutti che hanno ogni tipo di proprietà possibile ed immaginabile: zuccheri, vitamine, sostanze curative, veleni. Le piante ci hanno consentito di costruire abitazioni ed ogni tipo di macchinario. Dalla ruota alla faretra. Dalla carrozza al mobile. Grazie alle piante possiamo scrivere. Dai papiri, alla stampa dei libri. Le piante sono il frutto di un progetto intelligente. Forse esse stesse sono intelligenti. Hanno reazioni nervose. Reagiscono agli stimoli esterni. Ascoltano con piacere la nostra musica. Amano la nostra casa ed i nostri figli. Forse sono più di questo; tuttavia l’abbiamo dimenticato, per essere i signori indiscussi di un pianeta che appartiene a tutte le creature viventi e non solamente all’uomo.
Alla fine del ciclo dei Tarocchi viene l’Arcano numero 21, il mondo originario, nella sua purezza primordiale. Ha ospitato tutte le creature che sono passate in rassegna. Poteva sfilare, sugli altri carri allegorici per primo; forse, intenzionalmente, in segno di omaggio, ha avuto il plauso finale e l’omaggio di tutti.
Un dato di fatto é certo: non nascono piante, senza semi. Quindi indubitabilmente i semi, belli e fatti, hanno preceduto le piante. A meno che nel mondo originario, incontaminato ed incorruttibile, non siano comparse piante: siano spuntate dalla terra belle e fatte con i loro semi dentro. I prototipi, le piante progenitrici, spuntate in numero considerevole, dovunque sul pianeta terra, avevano una valenza diversa, una struttura diversa. Solo questa ultima ipotesi (apparentemente senza fondamento) é l’unica che spieghi la genesi delle piante.
La terra da sola non genera semi. V’é un’altra spiegazione che li abbiano portati gli extraterrestri, o gli angeli di Dio. Le piante - frutto di un progetto intelligente - avevano la possibilità di generare altre varianti e di adattarsi alle condizioni climatiche che sarebbero sopravvenute alla loro comparsa. La terra originaria offriva nutrienti chimici, sostanze differenti, che insieme all’acqua abbondante avrebbero permesso alle piante di colonizzare Gea: la sfera che ruota attorno a se stessa ed attorno al Sole in maniera intelligente. Il Sole che sembra fisso eppur si muove; l’intero sistema solare con lui.
Panta rei. Tutto scorre, come fa l’acqua entro l’alveo di un fiume. Solamente l’uomo, granitico ed indifferente, resta ancorato a millenari rituali infondati e si affida a credenze senza fondamento.
Anche il sapere per secoli è stato codificato, incanalato, controllato. Il Grande Fratello è figlio legittimo dell’inconscio originario collettivo. Non diteci che è una una farneticazione. Intellettualmente non siamo mai stati veramente liberi. Solo una rivoluzione delle coscienze può dare una spallata a questo sistema di servitù della mente ai comandi del Grande Fratello.
Questa straordinaria ricostruzione dei Tarocchi originari ci ha aperto uno spiraglio insperato sul mondo originario prima del peccato originale. Al peccato originario (delle origini) adesso dobbiamo prestare attenzione; il grimaldello che spalanca le porte del Tempio della conoscenza, custodito dalla mitica Sfinge, passa proprio attraverso una rilettura del peccato originario alla luce della ragione.
Il peccato originario (proprio delle origini):
tra mito religioso e realtà
Il peccato originale viene raccontato in un noto passo della Bibbia, quando Adamo ed Eva, (o meglio solo Eva, la donna curiosa) sono stati ingannati dal serpente ed hanno voluto assaporare il frutto proibito da Dio: la famosa mela. Che tale mito biblico sia alquanto ingenuo è piuttosto lapalissiano; indubbiamente si tratta di una narrazione metaforica. Adamo ed Eva hanno infranto certe regole volute da Dio. Questi nostri due progenitori hanno fatto infuriare l’onnipotente che li ha cacciati dall’Eden per farli andare a zappare la terra e partorire con dolore altre creature, destinate a scontare per l’eternità la condanna inflitta.
Risalire a come siano andate veramente le cose, oggi, a distanza di millenni, è praticamente impossibile. Al peccato originale abbiamo conferito l’appellativo di peccato originario, commesso alle origini appunto (anche per distinguerlo dall’alveo religioso da cui questo concetto proviene; non è dunque una nostra scoperta od invenzione).
Un evento drammatico ha posto fine irrimediabilmente al Paradiso originario a cui tutte le creature in armonia erano destinate. Il peccato originario segna la fine di un certo tipo di condizione esistenziale per entrare in un nuovo tipo di esistenza, dove prevale la sopraffazione (il delitto di Caino che uccide Abele), la violenza ubriacante, la solitudine, l’egoismo, il dominio del più forte sul più debole.
Tuttavia Dio non abbandona il popolo eletto e lo redime dalla schiavitù per ricondurlo nella terra promessa. Gli ebrei nel 70 dopo Cristo conoscono la distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani, che portano via l’Arca dell’Alleanza ove è custodito il candelabro a sette braccia. Un bassorilievo dell’Arco di Tito (a Roma, a fianco del Colosseo) sotto cui sfilavano i soldati imperiali in trionfo, testimonia un fatto storico indubbio. Inizia una lunga diaspora per il popolo ebraico perseguitato.
Secondo la Bibbia, se si fanno dei conti, la terra avrebbe solamente meno di diecimila anni; il Sole ruota attorno alla Terra e Dio avrebbe creato il mondo in sette giorni. Evidentemente il linguaggio di Dio scaturisce dalle conoscenze scientifiche del tempo ed ogni religione ha una sua connotazione storica. Forse gli ebrei ne sono consapevoli; ma ritrattazioni ed adeguamenti ai tempi non ci risulta siano stati fatti. Ancora attendono una venuta del Messia, perché Gesù non poteva essere il figlio di Dio. Un altro peccato originale pesa sull’umanità: l’ingiusta condanna al sacrificio della croce del Cristo. La religione ebraica tuttora nega la natura divina del profeta Gesù. Il riformatore Gesù aveva segnato una svolta; tuttavia l’integralismo ebraico vinse e gli negò la supremazia morale, la legittimità d’essere figlio di Dio, per avere condensato tutto in due parole: amore - perdono. Quel binomio faceva paura.
Il Vecchio Testamento non ha saputo rinnovarsi. Gli Ebrei sono rimasti ancorati al Libro dei Padri. Non hanno compreso il sacrificio del Cristo. Gli hanno anteposto la tradizione. La modernità sconcertante e scandalosa del pensiero cristiano metteva in crisi i fondamenti della società civile ebraica, che è rimasta nel vecchio, per paura di ascoltare il nuovo.
Secondo noi l’Uomo delle origini ha creduto d’essere il signore assoluto di un mondo che non gli appartiene ed ha usurpato diritti non suoi, autoproclamandosi a gran voce figlio di Dio. Questa la sostanza del peccato originario (proprio delle origini) che non é stato mai raccontato, sino ad oggi, nei modi giusti.
Non è l’Uomo un’emanazione di Dio, ma piuttosto emanazione di se stesso, di un progetto intelligente collettivo, di cui era il perno centrale. Certamente Dio è figlio dell’uomo, parto legittimo della sua volontà d’essere il signore assoluto del mondo. Senza Dio, questo mondo sarebbe veramente il migliore dei mondi possibili. E lo era, prima del peccato originario.
Capitolo 44
Una nuova filosofia della storia
Colpa originaria
Non sappiamo se questo Discorso sia riuscito a rispondere alla sfida lanciata dal filosofo Michel Dummet, e quindi a dimostrare che i Tarocchi costituiscono un sistema organico d’idee, espresso attraverso delle Icone che raccontano una determinata visione della realtà (scaturita, molto probabilmente, nell’ambito di una comunità d’eretici, vissuti nel secolo XIII nella regione della Linguadoca).
La successione dei Tarocchi non è casuale, bensì logica e le Icone, e i relativi numeri ad esse associate, sono l’espressione dell’ideologia medioevale che viene espressa attraverso raffigurazioni dei ruoli e dei rispettivi valori propri di quell’epoca.
L’iconografia dei Tarocchi e la stessa nomenclatura, nonché alcuni numeri, hanno subito diverse metamorfosi, talora anche sostanziali. Il filo conduttore nella sua essenza è rimasto invariato.
Noi abbiamo cercato di ricostruire l’iconografia dei Tarocchi originari. Nel compiere questo processo, sono venute alla luce intuizioni sopite nel fondo della psiche. É come se a suggerire di scrivere questo Discorso, fossero le voci dei filosofi passati, convenuti in un momento particolare della storia dell’umanità, per argomentare su questioni che erano rimaste in embrione, inespresse, cancellate, oscurate nel fondo della coscienza di ogni uomo; tuttavia non si era persa affatto la volontà di tornare a domandarsi, senza condizionamenti di sorta, chi siamo.
Forse a tratti, in questo Discorso, per volontà degli Dei, sono riapparse argomentazioni sfiorate appena da insigni scrittori; alcune che neppure erano state pubblicate ed erano rimaste a muffire nel fondo dei cassetti; altre che, dopo scritte, erano state stracciate per paura.
Nel corso della stesura di questo Discorso ci siamo accorti che ne stava scaturendo fuori una nuova filosofia della storia che imputa all’uomo primordiale una colpa originaria: la volontà d’instaurare un dominio assoluto sulle altre essenze presenti nel progetto mondo. L’uscita dell’uomo dallo stato di natura e la fine dell’armonia con il resto del vivente ha generato l’invecchiamento precoce e la solitudine esistenziale. I misteri della creazione sono stati generati ad arte. Dio è il Grande occulto; un parto geniale dell’inconscio originario collettivo che si manifesta sempre in maniera bipolare: angelo del bene, o demonio malefico.
Se, nel corso dell’evoluzione della specie, sopraggiunge un uomo (un esemplare, non diverso dagli altri, bensì solamente più pensante) che ha l’ardire d’investigare là dove molti si sono avvicinati, senza andare a fondo; siamo nel rispetto delle regole. Ci riteniamo un’eccezione, un accidente, apparso casualmente. Questa tesi potrebbe piacere agli evoluzionisti.
Siamo invece Figli delle Stelle? Inviati degli Dei? Potremmo essere l’espressione di un progetto che segna la fine del Regno del Diavolo e preannuncia anche l’imminente fine dei tempi. Una palingenesi dunque? Ai posteri l’ardua sentenza.
La nostra sensazione è che abbiamo sempre saputo, ma un meccanismo di controllo inconscio ci ha fatto dimenticare tutto. Attraverso i tempi vi sono stati i lampi di pensiero dei poeti vati, dei filosofi, dei folli. Poi subentrava la normalità, l’ignoranza, la cecità complice, devota, servile. Rari uomini in rivolta costituiscono un’eccezione alle regole dell’obbedienza. Quanti libri sono passati e non ci hanno scalfito un poco. Quante figure sono comparse sull’arenile e poi sono sparite. Sfuggono anche i pensieri, che si dileguano nell’indistinto. Resta comunque l’intenzione di lasciare un segno.
La ricostruzione dei Tarocchi originari in sintesi
Traspare dai Trionfi la religiosità eretica, che era disseminata a ridosso delle città di Lyon, Albi e Béziers. Il temuto credo dei Catari non fu totalmente estirpato nel corso della famigerata crociata, bandita da Papa Innocenzo III contro gli albigesi.
L’eresia può sempre rinascere dalle ceneri dell’originario nucleo del pensiero manicheo, quando ci si dispone a fare luce sull’identità del Maligno. Basta prendere in mano un mazzo di Tarocchi e ricostruire, nello spirito dell’antica Cabala, la loro genesi storica fino ad oggi abbastanza oscura.
Gli Arcani maggiori, venuti alla luce in Béziers, prima della sua distruzione, negli anni a seguire furono unti dal carisma della fede in un unico Dio ad opera dei revisori dell’Inquisizione. Noi abbiamo riportato alla luce il primitivo nucleo del pensiero dei Catari: i puri di spirito in lotta contro il predominio politico e spirituale della Chiesa di Roma; profeti di povertà, votati alla comunione dei beni e àuguri della fine del sacerdozio.
Fino alla fine dei tempi, la cerchia sovrana degli scriventi s’imporrà al popolo dei parlanti, spacciando menzogne per verità. Tuttavia chi ascolta le voci dei Tarocchi può uscire dal perverso meccanismo instaurato dall’inconscio originario collettivo e approdare alla libertà originaria. La Cabala insegna che il numero 20 provocherà profondi mutamenti, quando scoccherà l’ora della metamorfosi spirituale e inizierà la fine dei tempi fanatici e superstiziosi.
Uno è l’egoismo, l’autoritarismo, l’assolutismo dei sovrani. Unica ed infinita la solitudine del numero 1, eguale a se stesso. L’equivalenza 1=1 illustra il principio fondamentale della Cabala secondo cui il mondo è un prodotto della varietà delle Essenze.
L’inconscio originario collettivo ha generato i grandi misteri, per mezzo d’artifici diabolici che nascondono le verità e cancellano il ricordo primordiale. Solo meditando sulla natura del male, decifreremo i cosiddetti enigmi della vita, creati ad arte, nel corso dei tempi, per proteggere l’identità del Maligno, nascosto dietro l’ingannevole velo dei più mansueti.
Anche il libro, prodotto dai sapienti, diventa, paradossalmente, una forma di controllo delle coscienze più deboli, per impedire la libera circolazione delle idee e imporre un modello perverso,
a cui uniformarsi e sottostare.
Queste memorie di storia, viste attraverso la lente della Cabala, affidiamo e tramandiamo ai nostri fratelli perseguitati, che lottano ancora, sempre e ovunque, nel nome del libero pensiero.
Cabala applicata alla fine dei tempi
Nel libro dell’Apocalissi, attribuito all’apostolo Giovanni, la Grande Bestia, associata al numero 666, resta la chiave cabalistica più attendibile per analizzare l’avvento della fine dei tempi preannunciata nel Nuovo Testamento.
Il numero 666*, letto alla luce della filosofia dei numeri, analizzato in base al processo di riduzione descritto al capitolo 12, rimanda al numero ridotto 222111, il quale, se visto in prospettiva tridimensionale, presenta il numero 21 affiancato, disposto per ben tre volte.
21
2 1
2 1
Giorno 21; mese 21 = 12+9, ossia ottobre; anno 2021.
La fine dei tempi, criptata dal numero 666, sopraggiungerà il giorno 21/10/2021.
*666=la somma di tutti i numeri compresi tra 1 e 666 = 222111
Capitolo 45
Arcani, verità, lumi della ragione
L’etimologia della parola arcano rimanda al vocabolo arca: cassa di legno ove vengono riposti oggetti e preziosi. L’arcano dunque sembra già essere stato sigillato, sottratto allo sguardo dei comuni mortali e destinato ad essere strumento nelle mani d’eletti. Vorremmo considerare anche una certa assonanza con la parola greca arché, che indica i principi primi, o principi di ogni cosa nel suo divenire. L’arcano cela qualcosa di misterioso, di segreto che non deve essere svelato e divulgato. L’arcano per sua natura non è comune, non è volgare (proprio del volgo); ma patrimonio esclusivo di pochi iniziati. Gli archetipi di stampo junghiano derivano appunto da arché; essi giacciano sepolti nella zona arcaica del nostro inconscio; sono immagini primordiali che affondano nella notte dei tempi e appartengono alla specie umana e fanno parte del corredo evoluzionistico.
Se gli archetipi sono lontani nel tempo e sono sottratti al controllo della nostra volontà; gli arcani sono relativamente vicini a noi e sono un prodotto volontario della coscienza razionale. Gli archetipi riguardano le nostre origini esistenziali; mentre gli arcani sono un prodotto culturale, una manipolazione talora cervellotica. Gli Arcani maggiori dei Tarocchi sono una costruzione logica dell’intelletto fondata sui numeri. Lo abbiamo dimostrato nel corso del nostro Discorso. Esiste dunque una simbologia occulta che sta alla base della costruzione dei Tarocchi originari, che abbiamo cercato di ricostruire alla luce della ragione, utilizzando gli strumenti della Cabala: una forma evoluta di filosofia dei numeri.
Nell’enciclopedia filosofica Sansoni troviamo la voce inconscio collettivo: per Jung uno dei tre aspetti della sfera psichica che si trasmette per via ereditaria. Ci sembra strano che questo termine sia stato come rimosso e sia caduto nell’oblio. Noi lo abbiamo recuperato e gli abbiamo conferito una patente, una legittimità, uno spessore chiamandolo inconscio originario collettivo. Originario in quanto può essere considerato un archetipo junghiano. Collettivo perché non appartiene solamente alla coscienza individuale; ma nello stesso tempo agisce, in modi diversi, nelle coscienze di tutti gli uomini simultaneamente, inviando messaggi riconoscibili per via telepatica.
Noi abbiamo cercato di leggere gli Arcani Maggiori dei Tarocchi alla luce della ragione ed abbiamo intravisto nitidamente la mano oscura, misteriosa, vigile, occulta propria dell’inconscio originario collettivo: un capolavoro mostruoso dell’uomo originario che ha voluto signoreggiare il Mondo e costruire una rete che ha imbrigliato le altre essenze che si erano dispiegate nella costruzione di un progetto comune. Dio e Satana sono due diaboliche figure dell’intelletto, partorite dall’inconscio originario collettivo.
Siamo prossimi alla fine dei tempi. Li abbiamo intravisti, percepiti. L’inconscio originario collettivo si è palesato proprio poco prima che sopraggiunga l’Apocalissi. Ci sembra logico che sia così. Il percorso evoluzionistico ha oscurato l’inconscio originario collettivo, anche se a tratti qualche filosofo è riuscito a metterlo a fuoco per un certo momento. Poi lui si è sottratto ad ogni ulteriore analisi ritraendosi nell’oblio. Noi rivendichiamo la nostra scoperta come prioritaria e fondamentale; perché fa luce sulle origini della specie e mette a nudo l’uomo nella sua vera essenza.
Gli Arcani Maggiori dei Tarocchi sono una manipolazione consapevole dell’intelletto. Il Mondo anche è una costruzione intelligente ad opera di molteplici essenze originarie. Nulla avviene a caso, o tantomeno per volontà di un solo ente creatore ex nihilo. I lumi della ragione hanno fatto luce sui Tarocchi e svelato le trame dell’inconscio originario collettivo.
Ringraziamo l’Artefice degli Arcani Maggiori che con la sua sapiente carrellata di archetipi ha fatto indirettamente luce proprio sull’inconscio originario collettivo.
Tutti gli scriventi, laureati o meno, prezzolati o indipendenti, cercano un barlume di verità. Noi siamo certi di averla con questo nostro Discorso fotografata per una frazione di secondo, quel tanto che è bastato per eternarla e farla uscire dall’arcano che si era costruita nel tempo.
Per caso abbiamo avuto modo di rivedere un breve cortometraggio ideato e scritto da Pier Paolo Pasolini, intitolato Che cosa sono le nuvole?
Il regista Pasolini, ispirandosi a Shakespeare e rivisitando l’Otello, affidato all’inventiva dei pupi siciliani, vuole fare riflettere il pubblico e trasmettergli un messaggio importante affinché tutti possano riflettere sul mistero dell’esistenza. Otello, il comandante moro, domanda a Iago (interpretato dal grande Totò) cosa mai sia la verità e chi la possieda, visto che molti presumono di averla conosciuta. Ebbene, fuori dalla finzione scenica, il menzognero Iago svela ad Otello il suo punto di vista. ‘La verità si cela nei meandri oscuri della nostra coscienza; ma attenzione quando crediamo di averla presa tra le mani essa sfuma e si dilegua’. Noi aggiungiamo: ‘la verità come le nuvole è mutevole di forma, appare e si dilegua in un attimo; ma non per cause naturali, gli agenti atmosferici, bensì sotto l’impulso dell’inconscio originario collettivo.
Questo meccanismo di rimozione, intuito efficacemente da Pasolini, è del tutto avulso dalla nostra coscienza ed è opera sapiente del grande Occulto. Per secoli ci ha avvinto, tradito, riavviato ad altre analisi, si è camuffato, riproposto e poi è di nuovo caduto nell’oblio. Crediamo che sia finito un ciclo.
Considerazioni finali
Noi pensiamo d’avere dimostrato che il sistema organico degli Arcani Maggiori non è affatto casuale, ma la successione delle Icone, adulterate nel corso dei tempi, ha una sua logica intrinseca e riflette il pensiero di un artefice vissuto in età medioevale, presumibilmente in una comunità d’eretici, che abbiamo identificato con i Catari (secondo anche quanto affermato da Eliphas Levi).
I Tarocchi presumibilmente erano un gioco di carte già diffuso nel popolo grasso durante il Basso Medio Evo e gli Arcani Maggiori, con il loro simbolismo occulto, noto entro una cerchia ristretta di utenti, servivano anche per confezionare oracoli e fare previsioni sul futuro. Di tali pratiche non abbiamo documenti, perché a quei tempi si rischiava un’accusa per eresia ed il rogo.
Il simbolismo occulto dei Tarocchi è venuto alla luce grazie alla filosofia dei Numeri che ha messo in relazione ogni Arcano al suo numero corrispondente. Il Discorso è un trattato che fa perno sui lumi della ragione e cerca di sottrarsi ad ogni influenza mistica, o spiritualistica. Non pretende d’essere veritiero in maniera assoluta. Il nostro è un punto di vista, una prospettiva possibile.
Questo trattato sugli Arcani Maggiori è un opera filosofica, costruisce una determinata visione del mondo, scaturita dagli Arcani. Abbiamo cercato di dare una risposta logica ai grandi quesiti esistenziali: chi siamo, da dove veniamo e verso dove stiamo andando.
Nel corso dell’elaborazione del testo ci siamo imbattuti in un Arcano subdolo ed invisibile: abbiamo intravisto una presenza occulta, sottile, abile e camuffata: l’inconscio originario collettivo. Lo abbiamo raccontato, descritto, fotografato in tempi diversi ed in posture diverse. Riteniamo che questa pseudo-scoperta (già era stato chiamato in causa da Freud e Jung) sia la parte più rivoluzionaria del trattato. Essa mette in crisi l’evoluzionismo e il monismo teocratico. Racconta una genesi diversa dalle comuni credenze religiose, o scientifiche.
La verità, come le nuvole in cielo, prende sempre una forma diversa, mediata dall’inconscio originario collettivo, il quale conosce la vera natura del peccato originario che infranse l’equilibrio primordiale tra le varie creature presenti nel paradiso terrestre progettato dalle essenze, o principi primi di tutte le cose.
Capitolo 47
Tempus fugit
Alcuni profeti hanno avuto la percezione della fine dei tempi. Erano dei visionari? Ammettiamo, per par condicio, che nessuno di loro si sia ingannato ma che ciascuno abbia visto l’Apocalissi da un’angolazione particolare, seduto in loggione, platea, palco laterale destro, o sinistro, come quando a teatro assistiamo ad una rappresentazione; in questo caso erano spettatori fuori dalla prospettiva temporale abituale, immersi nella dimensione delle essenze. Dunque, stando a quanto già era scritto nel copione della pièce, il corso della storia improvvisamente s’interrompe e la genesi si completa, si confonde, si compenetra, sublima nell’Apocalisse. Prima della stesura di questo Discorso non avremmo mai immaginato di supporre l’esistenza di un teatro così speciale.
Anche noi, con grande onestà intellettuale, possiamo dire che abbiamo visto la fine dei tempi. Sappiamo che il limite della funzione tempus fugit attinge l’Apocalissi e la totalità del tempo si approssima allo zero. Esattamente non sappiamo spiegare come ciò sia possibile. Non ci sentiamo dei privilegiati; avremmo voluto non portare dentro di noi il peso della visione apocalittica.
Ora enunceremo un paradosso, scaturito da una sensazione: che lo spazio/tempo che andiamo ad occupare entro la dimensione dell’esistente sia lo stesso per tutti gli uomini. Nel teatro dell’esistente, unico e speciale, siamo attori e spettatori: attori per la parte che ci siamo voluti ritagliare e avremo il nostro tempo da sfruttare; come spettatori assisteremo al completo evolversi dei tempi e all’avvento dell’Apocalissi.
Il poeta Virgilio sta seduto, forse casualmente, alla nostra destra; il romanziere Manzoni, sta seduto, non certo per coincidenza fortuita, alla nostra sinistra. Con i due illustri vicini ci scambiamo talora delle impressioni e possiamo dire d’avere presto posto nel teatro dell’esistente quasi simultaneamente. E loro, come me, sostengono d’avere già recitato la parte a cui erano destinati. E anche loro ci conoscono già, per avere noi scritto un trattato avente per oggetto i Tarocchi, che ha avuto una certa risonanza e le cui fortune sono andate al di là delle nostre più rosee aspettative e previsioni.
In questo teatro dell’esistente così speciale, attraversato da particolari snodi temporali, siamo tutti coevi. Abbiamo preso lo stesso treno, ovviamente siamo seduti su vetture differenti. L’inizio e la fine dei tempi sono in noi, con noi, ci attraversano. Siamo la somma del passato e siamo già parte del futuro. La fine dei tempi è prossima; è sempre domani. E’ la stessa per tutti. Tutti muoiono e passano attraverso la fine dei tempi. Alcuni ne sono consapevoli. Gli individui più sensibili ed attenti.
Einstein a proposito della morte di un amico; ha fatto la medesima riflessione. Sa di morire con lui, che è già morto. Il tempo è un attimo. Medesimo per tutti. Andiamo via nel medesimo istante: alla fine dei tempi, quando i tempi sono iniziati.
Per gli Dei che hanno progettato il mondo, la fine dei tempi è la logica conseguenza di un viaggio, di un percorso quasi obbligato. Al Big Bang segue inevitabilmente il buco nero della fine dei tempi. Si parte e si ritorna al punto di partenza, tutti insieme.
L’Apostolo Giovanni ha descritto l’Apocalissi e la sua celebre narrazione è ricca di spunti e di riflessioni. Spiega la fine dei tempi come espressione della volontà divina. La sua risposta era l’unica plausibile, in base alle conoscenze del suo tempo.
Noi siamo creature biologiche organizzate e non create, figlie delle Stelle. Abbiamo registrato nello spazio l’esistenza delle supernove. Abbiamo fotografato anche il Buco Nero. Se ancora vogliamo credere nel monismo teocratico siamo liberi di farlo. Tuttavia le nostre attuali conoscenze ci dicono che il mondo è il risultato di un progetto voluto da molteplici essenze.
In questo preciso istante, mentre scriviamo, proviamo la sensazione che anche il percorso nello spazio/tempo del sole, che viaggia attraverso il cosmo con tutti i suoi pianeti ad una velocità impressionante, sia già delineato dall’inizio dei tempi e vada percorrendo un cammino che lo conduce in maniera naturale verso un buco nero che ne segna irrimediabilmente la fine. Siamo luce che collasserà verso un buco nero. L’Apocalissi è un fenomeno naturale. Scatta quando è il momento. Quando i tempi della fine sono maturi.
Il Discorso sulla natura e le origini dei Tarocchi alla luce della filosofia dei numeri ci ha suggerito anche di scrutare le origini del mondo; di investigare su chi siamo, da dove veniamo e verso dove stiamo andando. E il nostro cammino è stato libero da condizionamenti. Siamo della specie, in via d’estinzione, dei pensanti. Osiamo e vogliamo anche proporci come scriventi.
Siamo convinti; anche se dovessimo restare nell’oblio, che questo nostro trattato sarà registrato come esistente, da qualcuno che ci osserva e ci sta fotografando, come gli scienziati hanno fatto recentemente con il buco nero.
Alessandro Scalzaferri, nato a Roma, laureato in Filosofia, poeta, studioso dei Tarocchi.
- Genesi dei Trionfi, poemetto
Email di contatto: ledoslerris@gmail.com
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